SPIRITO E NATURA
Trovatevi, un mattino d’estate, in campagna, quando il sole si alza
all’orizzonte a folgoreggiare sui campi opimi e sui boschi folti di ombrose foglie,
ad ascoltare l’aura sottile che fruscia e ventila sulla nostra fronte e i canti degli
uccelletti che salutano la gaia e propizia giornata dal loro aereo nido, e allora
avvertirete il soffio che fa vivere l’universo, di cui l’uomo è particella, la più
nobile certo, ma parte d’un tutto di cui condivide le leggi e il destino.
Orbene, certo vi sovveniranno, in quel momento, le parole di Schilling: « La
natura è lo spirito visibile, lo spirito è la natura invisibile » e farete fatica a
smentirle. L’identità fra spirito e natura porta, evidentemente, ad un materialismo
dello spirito, se tale espressione mi è concessa; direi, piuttosto (e non è la stessa
cosa), che lo spirito vitale ordina e muove anche la natura vegetale come quella
animale e cioè degli esseri viventi, a qualsiasi ordine essi appartengano, sino al
protozoo o che so io, e sino ai corpi che rotano nel firmamento e alla vita che vi
ferve. Tanto l’esile filo d’erba e l’umile formichina, quanto il superbo leone e
l’altero uomo, sono accomunati da questa unitaria forza fondamentale: essi
« vogliono » vivere.
La falce che tutti eguaglia (sia essa di acciaio, come quella del contadino o di
morte come quella della nera Parca), compie lo stesso ufficio, ossia separa lo
spirito vitale dai corpi, recidendo il filo che lo lega ad essì.
Ne consegue la legittima domanda: se il corpo giace, natura nella natura e si
disfà e si sperde in essa, lo spirito ove sì rifugia? Un composto diviso, scisso, sì
disintegra, ma i componenti restano, ognuno per loro conto: e, allora, « dove » lo
spirito?
La dottrina di Cristo e quella di altre religioni ci hanno dato, da secoli, una
risposta: essa però riguarda solamente l’uomo e per chi ha fede, ovviamente essa
soddisfa all’interrogativo ed esaurisce (anzi, non lascia sorgere) il dubbio, Difatti,
se dubito segno è che non credo; se credo, non dubito: non esiste altra via, per la
contraddizione che non consente: o credente o dubbioso interrogante. Però alla
infinità degli altri esseri è negata dal Cristianesimo la continuità dello spirito
vitale, perché viene negata l’esistenza dell’anima. In effetti si fa differenza fra
spirito vitale (che è di tutti) e « l’anima », immortale; lo spirito vitale cessa il suo
ciclo con la morte del corpo, della materia, perché esso, per vivere, ha bisogno dei
sensi, dell’acqua, del cibo: l’anima, all’opposto, « non vorrebbe » il corpo da cui è
imprigionata e non aspetta che il momento propizio, giusto, per evadere da esso.
Siamo dunque di fronte, per quel che riguarda l’uomo, a due distinte
creazioni: il corpo (che è mosso, come tutto il creato, dallo spirito vitale, il quale
lo lega alla terra, all’esistenza quotidiana, alla natura di cui si nutre) e l’anima,
celeste per natura e per destino, che cerca di contemplare Dio, che ha sete e
necessita di cibarsi di Dio.
L’uomo è quindi natura privilegiata e in tal senso esso possiede il legittimo
dominio su tutti gli esseri viventi, la signoria del mondo.
Non esiste altra spiegazione: ridurre l’uomo all’ufficio e alla sorte di un
albero o di un topo, significa far ribellare la ragione (figlia di Dio), la quale non
vuole, non può e non riesce ad ammettere tale assurdità. Alla ragione bisogna pur
credere, perché io presto fede a qualche cosa appunto perché ragiono, ossia
possiedo e metto in alto il « dono divino » di esaminare e soppesare e quindi
giudicare gli opposti contrari e i simili dissimili, e di conseguenza di discernere e
di scegliere. Senza tale dono non esisterebbe (ossia, non si potrebbe realizzare) ad
esempio la libertà, che è voluta e creata dalla ragione, limite, coscienza e sostanza
dell’essere.
Orbene, concediamo all’uomo e a lui soltanto il privilegio di cui la Bibbia
testimonia, di essere alito di Dio (e come non lo potrebbe essere, come si potrebbe
provare che non lo sia?) e accettiamo, come già concluse il Locke, il Cristianesimo
come « la più ragionevole » delle religioni, quella che meglio e più risponde alle
esigenze della umana ragione, e le appaga