GIORDANO BRUNO FILOSOFO
Un profilo, seppure sommario, di Giordano Bruno filosofo potrà risultare utile per i lavori
della presente giornata di studio; ritengo però che poche integrazioni potrà offrire
il mio contributo rispetto agli interessanti interventi che abbiamo ascoltato. In particolare
l’intervento del Prof. Conci mi è sembrato estremamente efficace dal punto di vista
del metodo e anche per le connessioni che sono emerse dalla sua analisi storica, e non
meno efficace mi pare di dover dire dell’intervento del collega Chiodi per i problemi
trattati.
A proposito di Bruno, ritengo che si debba partire da un’analisi che in qualche modo
saldi la storia personale e la storia intellettuale e filosofica perché si tratta di un pensatore scomodo, come è stato ricordato. Bruno è infatti un personaggio dalle forti connotazioni intellettuali: egli appartiene, appunto, a quella schiera di pensatori che possiamo definire pensatori antagonisti, pensatori eccezionali.
Vi sono pensatori del passato che più di altri esercitano su noi moderni un’attrazione
particolare, tanto che l’apprezzamento per il loro pensiero, per la loro stessa esperienza,
non di rado induce il lettore e persino lo studioso a enfatizzare e a costruire intorno ad
essi una certa mitologia.
Ciò accade specialmente in relazione a pensatori cui la Storia sembra aver assegnato un ruolo emblematico, per via del valore simbolico che la loro vicenda umana e intellettuale
assume, ma anche per quanto di universale essì esprimono.
Si tratta in genere di pensatori eccezionali, innovatori, che hanno tentato di portare a- vanti coerentemente una personale ricerca della verità, facendo progredire il sapere in
un contesto storico e culturale refrattario ad accogliere il frutto delle loro osservazioni,
delle loro attività teoriche e dei loro esperimenti. Pensatori assunti nella coscienza storica
quale esempio di coraggiosa ostinazione, di amore per il sapere e di fiducia nella
possibilità della ragione di affermare e diffondere quei valori che fanno della persona
umana il vero centro di interesse.
Ed è grazie proprio a grandi pensatori antagonisti, sostenitori di una filosofia d’urto
proprio come quella di Bruno, se alcuni valori fondamentali dell’emancipazione umana,
sociale e politica sono diventati senso comune ed hanno contribuito a realizzare un cambiamento in senso positivo nella concezione del mondo degli uomini, e
nell’organizzazione moderna della società.
Giordano Bruno appartiene, appunto, a tale categoria di pensatori, a tale schiera di filosofi
antagonisti. che possiamo collocare accanto a Socrate, come è stato sottolineato
proficuamente da Gentile; accanto a Socrate per ciò che ha rappresentato nel mondo
antico e vicino ai vari Campanella e Galileo, respinti e perseguitati come lui in nome di
un mondo che resisteva con ogni mezzo al nuovo che nasceva.
Di fronte ad un filosofo come Bruno, multiforme negli interessi, autore di scritti densi
di suggestioni fantasiose, incline all’ermetico e al magico, giustamente come ci indicava
il Prof. Chiodi, incline all’immaginazione di un nuovo universo; di fronte a un simile
filosofo, alfiere della libertà di pensiero e per di più martire, la tentazione di cedere
all’enfasi è piuttosto forte ma non sarebbe certo questa la strada giusta per una serena
e quanto più possibile obiettiva valutazione della sua filosofia.
L’approccio più corretto dovrebbe, invece, tenere conto del contesto entro cui scaturisce
e sì sviluppa la sua riflessione. Solo così è infatti possibile cogliere in una giusta
prospettiva il senso della riflessione su temi cruciali affrontata da un filosofo come
Bruno dal quale ci separano quattro secoli.
Epperò si deve ammettere che l’interesse per il pensiero di Bruno non è mai venuto
meno e ancora oggi. gli studi sul suo pensiero fervono e si moltiplicano, anche in ragione
dell’approssimarsi delle celebrazioni del quarto centenario del rogo in Campo dei
Fiori. In particolare occorre segnalare che è attualmente in preparazione l’edizione critica
dell’opera omnia.
Lo studioso, oggi, dispone di una bibliografia sterminata che copre gli aspetti più disparati
dei suoi scritti e del suo pensiero. Sono ormai numerosi i saggi di notevole livello
scientifico che hanno contribuito a gettar nuova luce sul personaggio Bruno, e a
restituire, sulla base dei documenti disponibili, una immagine più autentica soprattutto
del filosofo, delle sue intuizioni, come anche dei suoi limiti e delle sue contraddizioni.
Come si è detto, Bruno è un pensatore antagonista, ma è anche un personaggio assai
insolito. Dai suoi dialoghi appare inquieto, estroso, sarcastico, ironico ed autoironico,
provocatore appassionato; è insomma un personaggio decisamente irregolare.
Con una particolare foga dialettica, egli porta alle estreme conseguenze l’esigenza tutta
rinascimentale del rinnovamento del sapere che sulle sue labbra e nei suoi scritti suonano
come autentica e radicale contestazione del sapere comunemente accettato.
Bruno recepisce i fermenti culturali del suo tempo, interpreta l’aspirazione ad un sapere
nuovo che è tipica del Rinascimento. Da questo punto di vista bisogna riconoscere che
egli agisce in perfetta sintonia con il proprio tempo. Vi è dunque, per certi versi,
un’intima connessione tra la personalità di Bruno ed un certo spirito dell’epoca. Se la
natura è l’oggetto dell’amore nascosto e proibito del Rinascimento appare tanto più appassionato
in Bruno. La sua arte e la sua scienza possono essere considerate un autentico
«ritorno alia natura».
La vita di quest’uomo è l’immagine dell’irrequietezza piena di fermento, di quella ricerca
insoddisfatta dalla quale sbocciarono le nuove idee, tanto nella sua fantastica
volubilità quanto nella sua tragica fine. Essa appare come l’espressione perfetta del destino
intimo ed esteriore della filosofia italiana.
La filosofia di Bruno non poteva essere inquadrata meglio perché, in effetti, proprio dal
contesto storico-culturale è necessario partire per poter delineare un profilo in qualche
modo attendibile del Bruno filosofo.
Vediamo dunque, anche se in sintesi. in quale ambito culturale si muove Bruno. Il Rinascimento,
sì sa, è sinonimo di rinnovamento. Quel periodo è caratterizzato da uno
straordinario clima di fermenti culturali, di aspirazioni nuove nei campi più diversi, che
sì accompagna ad una generale esigenza, appunto, di rinnovamento. In campo filosofico,
sopravvive la tradizione scolastica medievale, osteggiata da un aristotelismo laico.
benché in posizione subalterna che rappresentava le istanze e i motivi logici scientifici
nuovi, coesistenti con motivi cabalistici, magici, astrologici e teosofici.
Perciò Bruno vive ed opera in un ambiente culturale contrassegnato dallo sforzo teso al
rinnovamento di pensatori platonici ed aristotelici impegnati senza esito di rilievo e
convincenti a contrastare la riduzione di ogni problematica filosofica nei termini di una
religione dogmatica.
Non si intravedeva ancora all’orizzonte la possibilità di un metodo alternativo, nuovo,
di indagine naturalistica.
L’inclinazione verso la natura sembra restare tuttavia solo sullo sfondo del panorama
culturale e trovava realizzazione piuttosto nell’ambito delle arti figurative, ma non si
dimostrava capace di tradursi in nuova sensibilità verso l’indagine della realtà naturale.
Sul piano strettamente filosofico, la logica aristotelica appariva cristallizzata nel proprio
formalismo astratto e lasciava spazio alle interpretazioni cabalistiche e magiche
che di fatto confinavano la ricerca in un ambito animistico- intuitivo, che non indicava
una valida soluzione a quel tipo di filosofia.
Sul piano religioso occorre tener presente che nel medesimo quadro nel quale opera
Bruno, vanno sempre più diffondendosi i fermenti prodotti dalla riforma protestante.
Inoltre, durante il periodo della sua formazione, Bruno fece i suoi conti con un ambiente
in cui quotidianamente era percepibile la pesantezza del condizionamento della
cultura dominante.
Come è noto, Bruno era stato avviato alla vita religiosa nell’ordine dei Domenicani,
un’istituzione di stretta osservanza scolastico-tomistica. Fu proprio durante il periodo
di tempo trascorso nel Convento di San Domenico, a Napoli, che Bruno maturò una
crisi religiosa in concomitanza con la scoperta delle opere di Cusano e di Telesio.
Si ritiene che il suo distacco dallo schematismo aristotelico risulti datato da tali letture
che lo avviarono verso l’elaborazione di una concezione naturalistica della realtà. In
tale contesto risulta evidente che la svolta intellettuale bruniana non avviene immediatamente
sul terreno della contestazione dei dogmi religiosi, quanto piuttosto su un terreno
filosofico più generale. La messa in discussione dei dogmi religiosi appare come
una conseguenza dell’assunzione dei motivi della nuova impostazione filosofica.
Bruno si scontra con i propri superiori negli anni settanta. Sta per subire un procedimento
per eresia, perciò raggiunge in fretta Roma. Ormai, però, segnalato per le proprie
convinzioni, non ha più tregua. La storia dei suoi spostamenti e delle permanenze
nelle varie capitali culturali europee è fin troppo nota perché la si debba qui ricostruire
per intero. Le tappe più importanti del suo itinerario culturale rimangono quelle in cui
il soggiorno in determinati luoghi è legato all’elaborazione o alla pubblicazione dei
suoi scritti. Per esempio Parigi, dove pubblica il suo primo scritto filosofico (De umbris
idearum), Londra nel 1583, dove lo troviamo al seguito del suo protettore Castelnau,
Signore di Mauvissière, ambasciatore presso la Corte di Elisabetta. I tre anni trascorsi
a Londra furono per Bruno quelli più fecondi. In quella città infatti pubblicò i Dialoghi
italiani, ì suoi scritti maggiori, De immensoe il celebre dialogo della Cena delle Ceneri
A Londra Bruno ebbe modo di frequentare l’ambiente colto e accademico e non mancò
di attirare l’attenzione su di sé con le sue lezioni sull’immortalità dell’anima e sul sistema
copernicano.
È facilmente intuibile quale fosse il tenore delle sue lezioni, se esse furono prontamente
proibite dalle autorità.
Successivamente è di nuovo a Parigi, dove pubblica le opere latine, in seguito si sposta
in varie città tedesche poi a Praga, e infine a Francoforte dove lo raggiunge l’invito del
nobile Mocenigo di recarsi a Venezia per insegnargli la mnemonica e la geometria.
A Venezia ha termine il girovagare di Bruno; in seguito alla famosa denuncia del 1593
compirà il suo ultimo viaggio. Questa volta per Roma, per dar conto delle sue idee davanti
al Santo Uffizio.
Non è dato sapere con esattezza cosa sia effettivamente accaduto a Bruno durante i
sette anni di prigionia; abbiamo comunque delle notizie, ma la mancanza di una documentazione
esaustiva sul periodo di detenzione sul Processo, consente la formulazione
di ipotesi e qui mi pare che Conci abbia in qualche misura dato un quadro abbastanza
interessante anche della vicenda processuale.
Ma a questo punto occorre rispondere al quesito: Bruno fu condannato per una presunta
irreligiosità o per la sua filosofia materialistica?
In verità il documento parziale recante la sentenza di condanna sembra puntare principalmente
su proposizioni eretiche tratte dalle sue opere; da più parti si ritiene che
l’accusa più grave riguardasse proprio la negazione della transustanziazione, mentre
non si faceva cenno a quella relativa all’eliocentrismo. L’eliocentrismo era una dottrina
certamente, in quel tempo, sospetta ma non era stata ancora apertamente dichiarata eretica.
Infatti Bellarmino solo dopo 16 anni dal supplizio di Bruno, nel 1616 Bellarmino
formalizzò tale condanna attraverso il Santo Uffizio e con un decreto che sarà fatto
valere proprio dal Cardinale contro Galileo.
il processo a Bruno, in verità, presenta ancora alcuni lati assai oscuri; poco si sa sulla
sua detenzione, sugli interrogatori e sulla motivazione ultima della condanna. Sta di
fatto che, tre anni dopo il rogo, le opere di Bruno, con Decreto 7 Agosto 1603, vennero
poste all’Indice.
L’intera opera, dunque, venne condannata e proibita perché Bruno giustamente , come
rilevava il Prof. Concì. appariva persona scomoda a causa del suo stesso «eroico furore
». Perché mostrava di possedere una capacità dialettica eccezionale, faceva proseliti,
ed era tra l’altro sospettato di attività cospirativa e spionistica.
Con la lunga detenzione e l’estenuante procedura, si voleva indurlo ad una totale ritrattazione.
Bruno andò ostinatamente fino in fondo fino al sacrificio, consapevole di
dover consegnare la sua filosofia alla posterità. Egli stesso ha scelto di essere l’artefice
del proprio mito. A proposito della fine di Bruno, Garin ha scritto che «egli morì da
martire e confessore del proprio tempo».
Qualcuno si chiederà perché parlare tanto del personaggio e non andare, invece, direttamente
al cuore dei problemi filosofici di Bruno, Perché occorre innanzi tutto delineare
un’immagine dell’individuo per poter giungere ad una valutazione della sua filosofia.
Bruno è persona estrosa, è ironico , si è detto, sarcastico, provocatore pungente. Come
filosofo egli elabora conseguentemente un pensiero non sistematico. Ancora fino a
qualche tempo fa, vi era chi si affannava ad analizzare il suo pensiero cercando di
mettere in luce incoerenze e contraddizioni, senza capire che di fronte ad un pensatore
complesso come Bruno è cosa sterile stabilire se egli sia più scienziato, più filosofo,
poeta o cabalista. Occorre piuttosto seguirlo passo passo, ricostruire la complessità del
suo pensiero tenendo presente le caratteristiche peculiari della sua formazione e del suo
sviluppo.
Ciò che conta, e che in modo particolare interessa ancora oggi, è la valutazione della
qualità del contributo dato da Bruno all’avanzamento del sapere.
Molto ancora si è discusso, anche di recente, con pregevoli saggi critici, sul posto che
occupa in Bruno la mnemotecnica, quell’arte di cui ci ha parlato qui Chiodi; l’ars magna
mutuata dal domenicano del XIV Secolo, Raimondo Lullo.
Lullo aveva messo a punto un metodo per pensare, una specie di macchina da composta circoli sui quali venivano iscritte proposizioni universali e che si combinavano previa
rotazione dei circoli, con altre proposizioni particolari iscritte in altrettanti circoli.
L’ars magna è un metodo deduttivo per fondare la scienza universale che aveva
l’ambizione di ridurre tutte le conoscenze umane ad un numero limitato di principii
traducendo tutti i possibili rapporti di idee mediante combinazione di figure.
Si trattava di un tentativo di un’interpretazione meccanica del pensiero che partendo da
ciò che è noto si spingeva verso il non noto senza riferimento alcuno con l’esperienza.
Bruno rimane certamente attratto dal metodo Lulliano, tanto da dedicargli ampio spazio
nei suoi scritti latini, ma è alquanto difficile stabilire in quale preciso rapporto stia l’ars
magna con l’insieme delle teorie Bruniane.
Alcuni studiosi ritengono che Bruno coltivasse tale dottrina per scopi di immagine e di
persuasione; una cosa però è certa: tale interesse deve essere inquadrato nel clima generale del tardo Rinascimento che, in presenza della tradizione aristotelica, mancava di
una vera dottrina generale della scienza e di un fecondo metodo di indagine. Perciò ci
si applicava in tentativi fantasiosi di tipo logicistico, come quello lulliano, o si ricorreva
a pratiche di tipo magico, o ci si rivolgeva all’approfondimento delle arti cosiddette
occulte. L’adesione di Bruno all’ars magna non sembra essere totale ed esclusiva; per lui si tratta solo di una tecnica, di una disciplina ausiliaria capace di fornire strumenti
logici. Essa non si identifica con il sapere. In Bruno l’esigenza della verità come senso
regolato è fortissima. Egli è consapevole che l’intuizione rivoluzionaria di cui il suo
pensiero è portatore reclami un fondamento indiscutibile. fondamento che può essere
individuato solo nel rapporto tra esperienza e ragione. Questo particolare è anche un indizio della forma non sistematica del pensiero bruniano.
Il nolano infatti, non sembra avere voluto organizzare la propria attività speculativa in
ambiti rigidi o in elaborazioni schematiche. Le sue opere sono l’esito di una profonda
riflessione e di una vasta conoscenza delle problematiche filosofiche del tempo.
In ognuna di esse Bruno preferisce trattare un tema specifico, pertanto è abbastanza agevole
individuare nelle sue opere latine e in quelle italiane, tre ambiti tematici essenziali:
una fisica e una metafisica unificate, un ambito gnoseologico e logico e, infine,
una dottrina morale di tipo speculativo.
Ma l’esigenza profonda da cui muove la riflessione bruniana, che sta alla base delle
meditazioni e che sembra dominare l’intera opera . risulta dominata dalla volontà di
pervenire alla conoscenza della natura. Per Bruno un passo avanti verso la conoscenza
della natura equivale ad una vera e propria «rivelazione». Ed è ciò che giustifica il suo
entusiasmo per Copernico e la sua animosità nello sforzo di approfondimento delle
conseguenze della sua scoperta.
Tuttavia, sia sotto i! profilo della fisica che sotto quello della filosofia, Bruno non svolge
un pensiero omogeneo e lineare, o per meglio dire non presenta un pensiero organico
articolato con proposizioni rigorosamente discendenti da un unico nucleo teorico.
Infatti nello svolgimento del suo pensiero si possono individuare pensieri mistici platonici
a volte autonomi, a volte coesistenti nei quali la concezione umanistica della realtà
si presenta frammista ad elementi di trascendenza. Motivi eleatico-panteistici nelle
opere italiane, elementi dell’atomismo naturalistico democriteo nelle opere latine.
Non per ciò tuttavia, si deve pensare che dal pensiero di Bruno risulti una sorta di sincretismo
filosofico. Esso si presenta piuttosto come una concezione monistica della realtà
fondata su una nozione di materia che è il solo vero e decisivo argomento che porterà
il Bruno alla condanna. Dalla sua concezione monistica, infatti, scaturiscono conseguenze
decisive sul versante delle proposizioni religiose.
Occorre però chiarire che Bruno, riguardo alla sua concezione generale, non può essere
considerato un puro e semplice seguace e diffusore di Copernico. Bruno muove da Copernico
per andare oltre Copernico. Infatti nel dialogo La cena delle cenere, egli ha
modo di chiarire il suo rapporto con la dottrina copernicana e ha modo di presentarsi
come critico e come colui che fa affiorare e sviluppare la verità insita nei principi copernicani
che egli considera autentica innovazione dell’antica vera filosofia. La riflessione
sulla struttura dell’Universo, sulla natura del reale, inducono infatti Bruno a soffermarsi
su temi metafisici in qualche modo legati all’antica vera filosofia.
Nell’opera De la causa, Bruno sì misura con concetti centrali. | principi sono, il primo:
ciò a partire da cui qualcosa è.
Quanto alle cause, se per Aristotele erano due ( materia e forma), per Bruno esse si riducono
ad una sola in quanto egli ritiene che le forme sono immanenti alla materia.
L’uno è il principio divino in sé, ente e creante, cioè forza producente originaria.
È proprio utilizzando tali concetti, approfondendoli in relazione alla sua visione
dell’universo e, di conseguenza risalendo alla stessa causa di tutto, cioè assumendo
l’idea di Dio, che Giordano Bruno può enucleare i termini di quella visione panteistica,
ante litteram, che con troppa fretta e superficialità è stata scambiata per ateismo. La
concezione Bruniana è tendenzialmente monistica, mutuata dal naturalismo telesiano,
da cui scaturisce la prospettiva nella quale va considerata la realtà. In questo senso
Bruno vede il mondo mosso da impulsi interni, autonomo nella struttura e nel funzionamento.
Il suo monismo si fonda sulla considerazione che la materia non è sostrato
passivo capace di accogliere dall’esterno la forma, cioè Dio. Essa è vista come principio
attivo nella quale la forma, Dio, assume caratteristiche finite, sicché. in definitiva,
la materia non è limitata dalla forma e non è limitata dallo spazio e dal tempo; la materia
è dunque infinita, infinita espressione di armonia e virtù infinite.
Se per Bruno è possibili giungere ad una conoscenza progressiva, esauriente della realtà
naturale, come espressione del Divino, è possibile solo intuitivamente conoscere
l’essere in sé che, tuttavia non esiste come diverso o distinto dalla natura, ma come sua
potenza infinita. In questo contesto del discorso si affaccia un residuo di trascendenza,
essendo tangibile l’influenza dei Cusano nella definizione dell’essere in sé, Esso è
quinta essenza di tutti gli opposti, possibilità e realtà in uno che risulta dalla coincidenza
degli opposti raggiungibili mediante l’eroico furore. Sicché, come la conquista morale
non può prescindere dal superamento delle distinzioni tra bene e male, il filosofo,
come uomo, non obbedisce a precetti esterni. La sua è una morale interiorizzata e, allo
stesso modo, la più alta conoscenza non può che consistere nel superamento della distinzione
tra finito e infinito.
Il Dio di Bruno è un Dio in sé che è causa immanente del mondo. 1l filosofo lo definisce
in vari modi: lo chiama anche causa prima, principio sommo, oppure legge che
tutto domina, che tutto anima. Lo chiama intelletto universale, lo chiama artefice interno.
ma anche: capomastro del mondo che forma la materia e la figura da dentro.
Ma, comunque lo si voglia definire, si tratta per Bruno di un Dio difficilmente conoscibile
in termini razionali; lo si può solo conoscere attraverso un supremo atto intuitivo.
Qui dunque risiede la pietra dello scandalo, qui si annida l’insidia sovversiva dentro il
pensiero bruniano: nell’impossibile conciliazione di una concezione del mondo infinito,
originato da una causa o principio infinito, con una visione dogmatica fondata
sull’assioma della unicità del mondo.
Si tratta quindi di una visione inconciliabile con quella della Chiesa. Ma bisogna convenire
che Bruno non risolve interamente nella realtà naturale il concetto di Dio, egli
perciò non è un pensatore irreligioso; la sua è una religione laica e filosofica, Per lui la
vera religione non prevede né altari né gerarchie; è una religione dell’individuo che
consiste nella contemplazione della potenza infinita, insita nella natura. 1l filosofo,
l’uomo virtuoso, può fare a meno delle cosiddette religioni positive; esse non hanno
valore conoscitivo, esse esauriscono la loro funzione nell’atto di dispensare norme di
comportamento valide solo per il volgo.
Su questo punto Bruno è deciso e categorico, non ammette compromessi; il suo ostinato
anticonformismo e la sua ansia di verità lo hanno portato al sacrificio, come Socrate.
Altra valida e seducente testimonianza di coerenza e di indipendenza morale.
Bruno potrebbe essere accostato a tanti altri pensatori non meno osteggiati e perseguitati,
amanti dell’Umanità e del sapere: Campanella, Galilei, Giulio Cesare Vanini, Spinoza.
A pensatori di quel livello i moderni sono debitori per il contributo che essi hanno
dato al progresso della conoscenza.
Ma, per concludere su Giordano Bruno, proprio mentre si avvicinano le celebrazioni in
occasione del quarto centenario della morte, occorre chiedersi, al di là di ogni enfatizzazione,
cosa dica ancora la sua filosofia a uomini come . Sappiamo che la ricaduta
della sua filosofia dal Seicento all’Ottocento è importantissima. La riscoperta di Bruno
è sempre viva, e anche a noi uomini del terzo millennio cosa dice ancora Bruno? Dobbiamo
partire dal presupposto che non esiste una filosofia perenne e non esiste quindi
neanche un filosofo perenne. Non dobbiamo dimenticare che il pensiero di Bruno appartiene
al Rinascimento e come tale egli deve essere studiato. Di lui però rimane vivo
l’insegnamento morale. Di lui dobbiamo accogliere il principio che la verità non è un
dono, ma è una conquista della mente umana e della libera ragione.