LE SCUOLE INIZIZTICHE NEL MEDIOEVO OCCIDENTALE

Le scuole iniziatiche nel Medioevo occidentale
Spero non me ne vogliate se volontariamente ridurrò il tema generale ad aspetti particolari,
con l’obiettivo più di suscitare degli stimoli ad approfondire che di dare risposte compiute.
La precisazione iniziale si riferisce innanzi tutto alla ampiezza temporale del tema che, nel più
ristretto dei casi, abbraccia cinque secoli: dall’800 al 1300, con tutte le profonde trasformazioni e gli
innumerevoli avvenimenti che ne hanno condizionato lo sviluppo intellettuale, spirituale e
filosofico; ma si riferisce soprattutto alla ignoranza mia specifica che, nel migliore dei casi, è un
poco meno profonda su una particolare forma della tradizione, quella alchemica, che ho più
approfondita.
Allora vorrei limitarmi ad identificare

  • quali sono alcuni denominatori comuni che caratterizzano il pensiero tradizionale
    medioevale, nelle diverse forme che ha assunto;
  • quali sono stati alcuni degli avvenimenti principali che ne hanno caratterizzato lo sviluppo.
    Gli studi hanno sottolineato come, sin dai primordi in un certo senso, e cioè dai primi secoli
    dell’era cristiana, il pensiero esoterico occidentale si scinde in due grandi correnti che sembrano,
    talvolta, intrecciarsi in modo inestricabile.
    Potremmo chiamarle visione pessimistica ed ottimistica del mondo,
    Secondo la prima il creato è inficiato da un male inerente al suo stesso esistere, ed è perciò
    generazione di un demiurgo, se non malvagio, almeno imperfetto e privo del sostegno della
    sapienza divina. In questa visione, tutto ciò che è materia è male, vincolo da cui liberarsi, catena e
    sofferenza; lo Spirito sprigionato per errore, o un peccato iniziale – a seconda del mito a cui
    s’ispira – deve mirare ad una liberazione che è nel contempo rifiuto e negazione della sostanziale
    realtà del creato materiale. Per fare un esempio, il Catarismo che insegnò il rifiuto della
    procreazione, ad evitare l’imprigionamento di altra anima, e che giunse, in certi casi, al rifiuto della
    vita stessa nei “perfetti” che si lasciarono morire di fame, fu, di questa teoria pessimista, la visione
    estrema, seppure la più coerente.
    Contrapposta sta la fede in una sostanziale realtà e bontà del Creato, anche nella sua parte
    materiale; vi si riconosce, certo, un principio erroneo, o imperfetto; esso è però eliminabile,
    “salvabile”, in una visione che ritiene il destino dello Spirito indistinguibile da quello della Materia.
    Abbiamo riconosciuto nella prima teoria lo Gnosticismo, con tutte le sue conseguenze; la
    seconda invece è propria della nostra tradizione, E di quest’ultima vediamo subito, conseguente, la
    caratteristica principale nella prassi; e cioè che essendo il Creato sostanzialmente buon, lo studio
    della Natura, la conoscenza del senso segreto delle cose, ci può condurre ad una Conoscenza più
    alta, quella del suo Creatore o, come si suol dire, del suo Nome ineffabile.
    Cosicché, se nello Gnosticismo si può parlare di iniziazione come di quel processo che aiuta
    lo Spirito imprigionato a liberarsi dal mondo della materia e dai cattivi demoni che lo suggellano,
    per raggiungere una conoscenza che sarà negazione di questa realtà e vittoria su quei demoni – gli
    Arconti delle alte sfere, per esemplificare – nell’Ermetismo la Saggezza è conoscenza di questa
    realtà completamente accettata, se pure intravista in una profondità non comune, ed il problema che
    ci si porrà sarà quello di aiutarla a perfezionarsi, eliminandole un male, peraltro solo contingente. Il
    processo iniziatico sarà perciò prassi attiva che non potrà mai prescindere da un operare nel mondo
    stesso,
    Nella identificazione dei denominatori comuni nel pensiero Medioevale vorrei, innanzi tutto,
    riportare le parole di Fulcanelli, nella sua descrizione del Medioevo (cfr.: le Dimore Filosofali, Ed.
    Mediterranee, vol. 1, pag. 50):
    “I cronisti raffigurano questa epoca sventurata con i colori più tristi. Per parecchi secoli si
    succedono invasioni, guerre, carestie, epidemie. Eppure i monumenti, fedeli e sinceri testimoni di
    questi tempi oscuri, non recano nessuna traccia di simili flagelli.
    Anzi, al contrario, sembra che siano stati costruiti, sull’entusiasmo di una potente ispirazione
    di ideali e di fede, da un popolo felice di vivere, in seno ad una società fiorente e perfettamente
    organizzata. […] Se si esamina da vicino l’espressione della statuaria in particolare, si sarà presto
    edotti sul carattere pacifico, sulla pura tranquillità che emanano quelle statue, […] Ciò è tanto vero
    che potreste cercare a lungo tra la statuaria ogivale, ma non trovereste mai una figura del Cristo la
    cui espressione riveli sofferenza”.
    La filosofia sembra rispecchiare in pieno questo atteggiamento, sia per i temi dei quali si
    occupa, sia per il modo con il quale se ne occupa,
    All’inizio del periodo medioevale, l’ispirazione platonica e neoplatonica domina
    incontrastata: dal De Consolatione philosophiae di Severino Boezio (480 – 524), “l’ultimo dei
    Romani e il primo uomo del Medio Evo”, a Giovanni Scoto Eriugena (801 – 874) fides e ratio
    giungono all’accordo finale, la prima fondata sulla parola rivelata, la seconda con il compito di
    interpretare la parola stessa.
    Particolare importanza assume, anche per i tempi che seguiranno, la concezione di Eriugena
    della natura suddivisa in “natura che crea e non è creata”, Dio stesso, Grande Architetto, causa e
    ragione suprema di tutto; “natura che è creata e non crea”, mondo sensibile dei quattro elementi, con
    la materia che ha ricevuto la forma. Questa, anche se si pone al gradino più basso del processo di
    derivazione dal primo principio, conserva in sé la capacità di risalire alla sua fonte invertendo il
    processo: anche l’oggetto più materiale è, in realtà, una rivelazione dell’unico essere.
    Tale scomposizione e ricomposizione di tutto l’universo che consente di ripercorrere il
    processo creativo e prefigurare quello salvifico, presuppone una considerazione positiva della realtà
    fisica, specchio lontano dello stesso creatore,
    L’importanza della “recta ratio” e della sua capacità d’indagine, il rilievo dato alle cose e al
    mondo, l’ottimismo verso il ritorno alle origini, assumono contorni sempre più definiti e aperture
    nei secoli seguenti.
    Nel XII secolo Adelardo di Bath rivendica la “ratio” data a tutti gli uomini, che si configura
    come unico e singolo giudice universale e capacità di concepire la natura come qualcosa di
    intelleggibile. Nella natura l’uomo è immerso e la “naturalis iustitia” del mondo, di cui Platone
    parla nel Timeo, si riflette nella “positiva iustitia” del mondo dell’uomo.
    Paladino del metodo di approccio ai testi e della fiducia nella “ratio” che non può errare se
    condotta rettamente è Pietro Abelardo (1079 – 1142), mentre il concetto di Opus naturae che,
    differenziandosi, completa con azione autonoma l’Opus creatoris sarà uno dei motivi di fondo della
    scuola di Chartres.
    L’Opus Naturae costituisce il punto qualificante dell’esperienza del mondo, in questo periodo,
    poiché, sotto questa definizione dell’operare delle cose, vi è la concezione che, a partire dalla
    creazione degli elementi, la “‘exornatio mundi” è compito esclusivo e autonomo della natura.
    In particolare, in Teodorico di Chartres, come in Guglielmo di Conches (1080 – 1145), il
    binomio ratio-natura diventa criterio esegetico della Sacra Scrittura: se lo scritto non è
    immediatamente comprensibile, oppure sembra sostenere qualcosa di cui è impossibile dimostrare
    la necessità o l’utilità, allora – sostiene Guglielmo – è necessario “intelligere” il testo, interpretarlo
    correttamente alla luce di una concezione del mondo, di una fisica che studia le cose in ragione di
    pervenire alla spiegazione del mondo fisico, dei suoi elementi e dei suoi fenomeni in termini
    matematici.
    E molto chiaro che la Genesi e il Timeo sono gli strumenti indispensabili per una fisica del
    mondo, ma con un movimento che va dal Timeo alla Genesi e non viceversa: proprio quest’ultima
    deve essere letta e interpretata e non già essere la chiave di una interpretazione.
    Ci basti ancora ricordare, perché particolarmente bella è, per alcuni versi a noi vicina, l’opera
    di quel filosofo poeta che fu Bernardo Silvestre che fa della Natura una “persona” che, in
    collaborazione con NOUS (l’intelligenza suprema) e con ENTELECHIA (anima del mondo), dà
    luogo al cosmo. Dal caos alla materia primordiale, l’opera ordinatrice di Nous ricava l’ordine degli
    elementi e la bellezza dell’ornatus reso vivo dall’anima del mondo. Che la Sapienza illumini il
    nostro lavoro, che la Forza lo renda saldo, che la Bellezza lo irradi e lo compia.
    Lungo ed arido, almeno in questa sede, sarebbe ricordare altri nomi ed altre opere. Va però
    segnalata la svolta di pensiero che caratterizzò il tredicesimo secolo, dovuta all’opera proficua dei
    traduttori che resero disponibile all’occidente latino l’intero corpo delle opere di Aristotele e di
    Euclide e dei commenti greci ed arabi compilati su di essi.
    I nomi e le opere che ci giungono sono quelli di Alberto Magno, di Tommaso d’Acquino, di
    Ruggero Bacone, di Brunetto Latini, di Dante Alighieri stesso.
    La rivoluzione culturale che la presenza preponderante della filosofia aristotelica comporta
    durante il XIII secolo segna una svolta che condizionerà tutta la cultura, fino ai giorni nostri, ed in
    particolare le modalità di manifestazione della tradizione.
    Nel tredicesimo secolo assistiamo alla contrapposizione titanica tra le scuole di derivazione
    aristotelica, rappresentata fondamentalmente dall’Ordine Domenicano, e quelle di derivazione
    platonica, neoplatonica e agostiniana, rappresentate dall’Ordine Francescano e in particolare dal
    centro di Oxford.

    Nel secolo seguente assisteremo alla scomparsa, in contemporanea e in tempi
    inconsuetamente brevi, dell’ordine dei Templari, delle conoscenze dell’arte Gotica e del pensiero
    ispirato alla scuola platonica agostiniana.
    Se abbiamo, fino a qui, cercato di seguire una traccia della manifestazione della cultura
    tradizionale, non dobbiamo dimenticare che essa è assai meno rettilinea di quanto appare a prima
    vista. Fondamentalmente legata a conventi e chiostri, a quei tempi quasi unici detentori delle lettere,
    degli studi e della filosofia, la tradizione traspare in numerose altre manifestazioni a noi meno note
    e documentate, ma le cui vestigia testimoniano una fioritura e un livello di approfondimento ormai
    dimenticati.
    Sulle facciate delle cattedrali gotiche vengono descritti episodi della Storia Sacra da ignoti
    scultori che danno rappresentazioni quasi perfette, ma con l’introduzione di “curiosità”: la
    successione dei segni zodiacali non è quella convenzionale, mentre appare su numerose facciate
    nord, di solito in punti poco visibili, una formella con la rappresentazione di una testa di porco; la
    scrofa, la truie, gioca, nel linguaggio segreto, con “le Druid” segnalando all’osservatore attento e a
    chi sappia leggere la presenza di una trasmissione da parte di un Druida.
    All’ombra dei monasteri ed in strettissima mescolanza con i monaci nascono e si sviluppano
    le corporazioni dei mestieri, in particolare quelle dei tagliatori di pietre e dei carpentieri, mentre
    l’Ordine dei Cavalieri Templari e quello degli Ospitalieri, poi divenuto dei Cavalieri di Malta, sono
    come minimo ignari trasmettitori, ma, più probabilmente, reali detentori di conoscenze iniziatiche le
    cui tracce vibrano ancora oggi nelle costruzioni religiose e negli stemmi gentilizi.
    Alla vibrazione della pietra scolpita fa eco quella vocale dei Troubadours in Provenza e dei
    poeti del Dolce Stil Novo in Italia: la Laura di Petrarca rassomiglia molto alla NATURA di Alano
    di Lilla e motti autori dubitano che Beatrice risponda a qualche cosa di molto differente dalla donna
    di cui si è innamorato Dante.
    Credo, infine, che se avessi a disposizione i mezzi tecnici concluderei questa mia tavola
    facendovi ascoltare alcuni pezzi di canto Gregoriano.
    27 Gennaio 1994 e..v.. (1° Grado)
    TAVOLA DEL FR,’, F. C.
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