OPERATIVITÀ MASSONICA

OPERATIVITÀ MASSONICA

Maestro Venerabile, Fratelli tutti di ogni Dignità e Grado,

uno dei temi proposti per queste tornate è l’Operatività Massonica. Lo scopo di questa modestissima tavola è quello di tentare un approccio al tema secondo varie direzioni, in modo assai schematico, anche perché l’approfondimento di alcune sarebbe un’utilità puramente informativa e culturale e, quindi, assai poco operativa.

Una prima direzione d’approccio vorrebbe essere di carattere storico, cioè quali sono le origini di questo vocabolo operativo, operatività. Sembra che, alle origini della Massoneria moderna, sia cominciato l’inserimento in Logge veramente di mestiere di persone che del mestiere non erano: di qui, la denominazione di Fratelli operativi per coloro che il mestiere esercitavano fisicamente e di speculativi per coloro che sono stati accettati nelle Logge dei Liberi Muratori.

Non credo sia corretto continuare con questa interpretazione del vocabolo ancora oggi; grossolanamente parlando, oggi le Logge non sono più operative nel mestiere muratorio e sarebbe gratuito trasporre il significato dell’operare in senso fisicamente muratorio in quello di agire comunque nel mondo profano.

Occorre quindi tentare un altro approccio, anche cercando di vedere quale sia stato il

significato di operare, di opera nella recente tradizione occultistica (chiedo perdono per l’aggettivo, ma credo che esso serva a chiarire il tipo speciale di codesta tradizione, rispetto all’aggettivo spirituale, forse più giusto, ma troppo generale).

Se non vado errato, nella tradizione alchemica, la grande opera era la ricerca della

pietra filosofale, quella occulta lapis che, come dice l’acrostico V.L.T.R.LO.L. scritto nel

Gabinetto delle Riflessioni, sta nelle viscere della Terra – le nostre viscere – e tramuta tutto in oro: cioè fa percepire l’Essenza, lo Spirito Universale, Brahman in tutte le cose, sostegno del mondo manifesto e immanifesto.

Nella tradizione Kabbalistica – come insegna il Fratello Robert Ambelain nel suo “La

Kabbale Pratique” – la Grande Operation ci può portare a vedere materializzare davanti a noi l’Angelo, il Messaggero dell’Essenza; una manifestazione più sottile dell’Essere.

Ecco comparire quindi un significato di operatività assai diverso da quello di azione nel mondo profano; l’azione nel mondo, anche se guidata dai principi massonici della tolleranza, della libertà, della fraternità e dell’eguaglianza, da quelli evangelico-massonici del non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te e di fare agli altri tutto il bene che vorresti fosse fatto a te, è un’azione sì giusta e necessaria, ma non sufficiente a compiere la Grande Opera com’è indicata dalla Tradizione.

Ma l’insegnamento contiene un altro elemento, sul quale non mi stanco mai di riflettere e di insistere, ed è la Ricerca della Luce.

Temo assai che a questa UNICA finalità, che è ben chiaramente ripetuta nel Rituale d’Iniziazione al Primo Grado, noi tutti poniamo molta poca attenzione e che, sopraffatti dalle cure della vita profana ed anche da quelle della vita massonica spicciola, ce ne dimentichiamo volentieri. Ce ne dimentichiamo volentieri perché l’impegno della Ricerca della Luce è solo un grosso pesante impegno, ma anche perché in noi, e fuori di noi, agiscono forze che si oppongono a questa ricerca.

Per farci l’idea della magnitudine di queste forze può bastare una considerazione. La

Ricerca della Luce, per giungere a buon fine, richiede il dissolvimento dell’ego. Si badi, dico dell’EGO e non dell’IO. L’ego è formato dalla mente che ci raffigura il mondo esterno  contrapposto a noi e che ci fa identificare noi stessi con il nostro corpo fisico, di fronte al mondo esterno. Da ciò nascono i conflitti, i pensieri, gli attaccamenti a ciò che l’ego ci fa credere di essere, alla mente, la quale non è altro che il coacervo dei pensieri, dei ricordi, dei rimpianti, dei desideri, dei rancori …, ma non è altro che quello. Tutto ciò però forma una pesante nube che vela la Luce. La Ricerca impone che tale nube sia dissolta; è questa la sola condizione affinché l’IO prenda coscienza di essere uno con l’IO Universale, di essere una cosa sola con Quella Luce.

Ma quella nube è l’ego, è la mente – la mente che ci siano costruiti per servirci come

mezzo per muoverci nel mondo esterno e che ci prende la mano ed assume la dittatura nel nostro mondo interiore -. La dissoluzione dell’ego e della mente ci lascia come punti di pura consapevolezza, di puro intelletto, come gocce nell’oceano di Quella Luce, quell’oceano nel quale i nostri ego sono solo onde, che hanno breve esistenza, e solo perché formate dall’oceano stesso.

Nelle sue ignoranze, l’ego mentale vede la propria dissoluzione come la propria fine e la presenta all’IO come se fosse la morte totale; ed impone la cosiddetta lotta per la vita e crea l’istinto di conservazione. Le tentazioni dell’asceta, ed in generale tutte le difficoltà che si presentano contro l’operazione della Ricerca della Luce, in mille forme, grossolane e sottili, sono create dall’ego-mente per impedire la sua dissoluzione. Dissoluzione comunque certa, perché la morte fisica verrà per tutti ed il corpo fisico, primaria identificazione dell’ego, verrà fatalmente meno.

Con questo approccio, appare che l’Operatività reale e legittima sia esclusivamente

quella della Ricerca della Luce, secondo la lettera e lo spirito del Rituale; e tutte le altre operazioni giornaliere acquistano chiarezza di fini e di modi solo al lume di quella Luce esterna e perfetta. Come potremo operare con giustezza se non siamo illuminati da Essa?

Con le parole precedenti è già stato delineato il terzo approccio, che vorrebbe riguardare la modalità, i metodi della Ricerca della Luce.

Mi è stato spesso osservato un certo eccesso di attaccamento al pensiero Orientale.

Confesso che l’osservazione è fondata e credo di essere in debito di una spiegazione. Ho potuto constatare che l’insegnamento Orientale, e Indiano in particolare, sono, secondo il significato Occidentale del temine, scientifici.

Se non erro, nella cultura occidentale si dice scientifica un’affermazione quando il fatto affermato e stato osservato è ripetibile. Cioè, ad esempio, io affermo che l’acqua, H°O, si compone di idrogeno ed ossigeno, ma spiego anche con quali metodi si può ripetere la mia esperienza. Se poi il metodo per la ripetizione dell’esperimento è difficile e costoso, non per questo la mia affermazione cessa di essere valida; se invece nego la veridicità dell’esperimento, mi rende colpevole di gratuità nella mia negazione, cioè dogmatismo negativo. Quindi, o ripeto per conto mio l’esperimento, oppure accetto l’autorità di colui che me lo ha riferito.

La sola differenza tra la ricerca occidentale e quelle indiane sta nel campo della ricerca.

L’Occidente si è rivolto al mondo esteriore, ripetendo la triade soggetto – osservazione -oggetto osservato; invece il cercatore orientale si è rivolto al mondo interiore (come dicono di fare, da noi, la psicologia ed i suoi derivati) ed alla culminazione della ricerca ha visto che la triade soggetto – osservazione – oggetto osservato si è fusa in una sola unità, nella quale colui che conosce diventa la conoscenza stessa. E, se ci soffermiamo un momento a considerarci, vediamo che il nostro vero IO, ciò che sussiste dopo tutte le identificazioni, è pura consapevolezza dei miei atti fisici, delle mie opinioni, dei miei atteggiamenti esterni, dell’attività del mio sentire e del mio pensare; sono l’incrollabile osservatore che trascende sempre tutto, tranne la consapevolezza.

La Grande Opera è appunto il Lavoro di presa di coscienza di questa Pura Consapevolezza; prima sgrossando la Pietra Cubica (cercando, tra tutte le Vie che ci indica la Tradizione, quella che più ci confà); ed infine, sovrapponendo la Piramide alla Pietra Levigata, ci avviamo serenamente e decisamente per Quella Via.

Questo è, a mio avviso, il significato di operare, alla ricerca della Luce ed a Gloria del

Grande Architetto dell’Universo.

TAVOLA DEL  FR.’. M.’. B’.’.

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