CONSIDERAZIONI SUL TRONCO DELLA VEDOVA E SUL FRATELLO ELEMOSINIERE
M..V..: Fr… Elemosiniere, fate passare il Tronco della Vedova.
Maestro Venerabile, Fratelli carissimi,
in fine di ogni tornata rituale, su richiesta del Maestro Venerabile, il Fr… Elemosiniere fa
circolare il Tronco della Vedova ed i Fratelli sono pertanto invitati a “coprire il Tronco” mediante il versamento dell’obolo che ritengono di dover depositare nel medesimo. Il denaro raccolto da queste elemosine rituali verrà in seguito devoluto in favore dei Fratelli che si trovassero in particolare stato di bisogno, oppure in opere di beneficenza; ma questo penso sia un aspetto contingente ed esteriore del simbolo in questione, che in se stesso deve necessariamente contenere un ben più profondo significato iniziatico e spirituale. Soprattutto, mi pare che debba essere messo in evidenza l’aspetto del “dare, di offrire’ un qualcosa di noi stessi, che nel caso in questione è rappresentato dal denaro, dalla moneta che introduciamo nel Tronco della Vedova.
Se si considera che il denaro posseduto è in un certo qual modo come un prolungamento di noi stessi, quale mezzo di potere economico, la rinuncia ad una parte di questo denaro potrebbe ben rappresentare un simbolo di offerta sacrificale e purificatrice di noi medesimi e nel contempo fors’anche, per estensione, un mezzo di purificazione dei beni che si posseggono.
A proposito della moneta (denaro) versata nel tronco, ritengo interessante soffermarmi brevemente ad esaminare l’etimologia delle parole che, soprattutto nelle lingue germaniche ed inglesi, stanno ad indicare la moneta (denaro), poiché così facendo si ottengono delle importanti chiarificazioni. Infatti, da questo esame, emerge che la parola tedesca geld (= moneta, denaro) deriva dall’antico germanico geldan (= risarcimento, inteso soprattutto sotto forma di sacrificio) e che dalla stessa radice deriva pure l’inglese to geld (= pagare tributi) strettamente imparentato a gold (= oro, moneta, denaro) ed anche a guild (= corporazione) che in origine stava ad indicare la Corporazione dei sacrificatori.
Da quanto detto sopra sembrerebbe che le nozioni di moneta, denaro ed oro, comportassero all’origine un carattere implicitamente legato al concetto di sacrificio, di offerta e quindi di purificazione; il che mi pare non si scosti affatto dall’argomento che vado trattando, anzi sia in stretta relazione con questo.
Ricercando il significato della parola Tronco, ho potuto notare che oltre al significato italiano di tronco d’albero, fusto di una colonna (in architettura), si ha per l’inglese Truck il significato di cassa, baule (e, per logica estensione, cofano, sarcofago, bara) e per il francese Tronc il significato di cassetta delle elemosine (e, per logica estensione, cofanetto, bauletto, scrigno).
Inoltre, l’aggettivo tronco deriva dal latino truncus ossia troncato, interrotto, reciso, mancante di, che è abbastanza vicino al senso di Vedova, derivante dal latino Vidua, ossia privata di, spogliata di (pianta vedova di fiori e frutti).
In base alle considerazioni finora esposte, ritengo utile ricordare, riassumendo a gradi linee, il mito di Iside e Osiride che penso possa servire da valido supporto per lo sviluppo delle considerazioni che seguiranno, tutte inerenti al Tronco, alla Vedova, al Sacrificio.
Osiride, fratello e sposo di Iside, viene invitato dal fratello Seth, invidioso di lui, ad un banchetto ove era stata precedentemente preparata una cassa intarsiata delle dimensioni del suo corpo.
Nel mezzo della festa Seth propone di regalare la bella cassa a chi, degli dei presenti, meglio
si fosse adattata. Quando viene il turno di Osiride egli si trova perfettamente a suo agio all’interno della cassa. Subito Seth ed i suoi complici ne chiudono e sigillano il coperchio imprigionando la vittima (e qui la cassa diventa bara). La cassa, contenente il corpo di Osiride, viene gettata nelle acque del Nilo le quali la trasportano fino al mare e le onde di questo la depositano fra i rami di un piccolo cedro (in altre versioni è un’acacia o un’erica arborescente) nei pressi della città di Biblo (Libano). L’albero, crescendo, racchiude nel proprio tronco la cassa, incorporandola, fino a che questa è del tutto invisibile all’interno di esso.
Un giorno, il re di Biblo fa tagliare il tronco di quest’albero dai suoi carpentieri e ne fa costruire una colonna di sostegno per la sala del trono. Iside, intanto, sempre alla ricerca delle spoglie del marito, giunge a Biblo ed individua il corpo di Osiride all’interno della colonna. Essa sifa riconoscere come dea dal re di Biblo e consegnare il corpo dello sposo, quindi torna in Egitto ove riesce, per alcuni istanti, a far rivivere Osiride; quanto basta per concepire il di lui figlio Horo. Seth, allorquando la sorveglianza delle spoglie di Osiride viene allentata, ne rapisce il corpo e lo smembra in diversi pezzi che sparge in tutto l’Egitto.
Iside non si perde d’animo; con l’aiuto del figlio Horo e degli dei Toth e Anubis, raccoglie uno ad uno i resti sparsi del marito, fino a ricostruirne nuovamente il corpo. Il corpo ricostituito di Osiride viene rianimato per mezzo dei poteri vitali di Iside e degli altri dei supremi, ma egli deve da allora vivere nel regno dei morti, quale legittimo sovrano di tale regno.
Ho citato questo mito in quanto mi pare il più attinente all’argomento trattato, ma avrei logicamente potuto citarne un altro similare proveniente da qualsiasi altra forma tradizionale poiché, essendo tutte queste forme null’altro che facce o adattamenti specifici ad ogni popolo della medesima Verità, non ne avrebbe per nulla cambiato l’essenza profonda del significato implicito del mito stesso. Il mito citato, a mio avviso, non è altro che il simbolo dello sviluppo cosmogonico, dove Iside e Osiride sono rispettivamente la Terra o Madre degli esseri manifestati ed il Cielo o Principio attivo che influendo sulla Madre la induce a produrre e a sostenere la manifestazione. La cassa, contenente il corpo di Osiride, prima galleggiante sulle acque e poi incorporata nel tronco, può rappresentare le possibilità di manifestazione riguardanti il nostro mondo. Lo smembramento e la dispersione del corpo di Osiride sono, secondo me, il simbolo del passaggio dall’unità alla
molteplicità (da intendersi sia in senso macrocosmico che microcosmico, secondo la nota legge di analogia e corrispondenza).
Si può dire, in altri termini, che Osiride, assimilabile secondo una certa accezione al G.’.A.’.D.’.U.’., che in principio è uno, compie in sé medesimo il primo sacrificio cosmogonico o, secondo un altro punto di vista, viene sacrificato dagli dei, ossia dalle potenze che comporta in se stesso, e da uno, dunque, diventa molti.
Il G.’.A.’.D.’.U.’.,.. è dunque allo stesso tempo il sacrificatore e la vittima così come il Cristo,
nella concezione cristiana del sacrificio, è nel contempo sacerdote e oblazione.
È bene ricordare a questo punto che sacrificio deriva dal latino sacrum facere, cioè rendere
sacro, e che nella sua accezione più rigorosa si applica ad ogni azione rituale, ossia compiuta secondo l’Ordine.
La riunificazione delle membra sparse di Osiride, o se si vuole del G. A. D..U.-., eseguita
da Iside (La Vedova) è l’inverso di quel processo di generazione e divisione dovuto alla manifestazione; si tratta dunque di un processo di rigenerazione e reintegrazione (unificazione). È come il riflesso, inverso d’altronde come tutti i riflessi, una imitazione rituale di ciò che fu fatto dagli dei all’inizio. Il sacrificio, in quest’ultima accezione, che ci interessa più particolarmente, ha la funzione di riunire ciò che appare diviso, sparso in un’indefinità di aspetti particolari; cioè riportare l’io al sé.
Quanto detto è, a mio avviso, il sacrificio che l’iniziato Libero Muratore è chiamato a compiere in se stesso, attualizzando le proprie virtualità, il vero cammino iniziatico. L’iniziato Libero Muratore deve morire al proprio io, alla propria individualità umana e rinascere quale essere spirituale. :
Ecco che il sacrificio, visto in questo contesto, comporta essenzialmente l’idea della morte
iniziatica. A questo riguardo le Sheikh Al-’Alawî, maestro spirituale islamico, ricordando il detto del Profeta “Morite prima di morire”, precisa: “Gli iniziati devono morire prima della morte ordinaria, poiché questa è la vera morte (iniziatica) l’altra non essendoché un cambiamento di dimora”. Noi che siamo più abituati al linguaggio evangelico possiamo ritrovare un’espressione analoga nelle seguenti parole di Gesù Cristo: “Se uno vuol venire dietro di me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. Poiché colui che vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma colui che perderà la propria vita per me, la salverà” (Lc. 9, 23-25), e parallelamente nelle seguenti affermazioni di Maestro Eckart: “La Sacra Scrittura insiste continuamente sul fatto
che l’uomo deve staccarsi da se stesso. Solo nella misura in cui ti stacchi da te stesso sei padrone di te stesso. Nella misura in cui sei padrone di te ti realizzi. Nella misura in cui ti realizzi realizzi Dio e tutto ciò che ha creato … . Nessuno è ricco di Dio, se non è interamente morto a se stesso”.
A questo punto, mi pare, che anche il simbolo della spogliazione dei metalli del rito d’iniziazione al grado di Apprendista possa essere inteso in questa luce ed essere collegato allo spogliarsi, al termine di ogni Tornata, della moneta (metalli) simboleggiante una parte della nostra individualità versata nel Tronco della Vedova, cioè offerta nel nome del G.’. A.’.. D.’.U.’., Principio reggitore della Libera Muratoria.
Oratore: M..V.., il Tronco della Vedova ha fruttato n° 3 e più mattoni per la costruzione del Tempio.
Bisogna tener presente che la moneta raccolta nel Tronco viene contata in mattoni per la
costruzione del Tempio e simboleggia il lavoro effettuato come interscambio collettivo. Tutto questo è, a mio avviso, assai significativo: più ci liberiamo di una parte di noi stessi, Offrendo in sacrificio al G.’. A.’..D.’. U.’. tale parte, più costruiamo il Tempio interiore, fino all’offerta totale di noi stessi, al compimento effettivo della Grande Opera Architettonica.
Sono propenso a ritenere, da quanto ho esposto finora, che il Tronco della Vedova, che lo si denomini cassa, bara, cassette delle elemosine o tronco, sia una delle rappresentazioni simboliche dell’Albero della Vita, dunque un simbolo centrale (assiale) e di passaggio, luogo di unione fra l’umano e il Divino. Penso che possa essere messo in relazione con il simbolismo della “Porta stretta” evangelica e della “cruna dell’ago” attraverso la quale i ricchi dell’individualità, ancorati alla molteplicità della manifestazione, sono incapaci di passare, ovvero di elevarsi dalla conoscenza distintiva e frammentaria a quella unificata e sintetica, espressione dell’avvenuto distacco dallamanifestazione. Il “povero”, in questo caso, è l’essere che ha saputo vincere i propri contrasti o limiti, la propria “Grande guerra santa” fra la divinità ed il titano che risiedono in lui, imparando innanzi tutto la rinuncia ai frutti dell’azione.
La necessità di saper frenare i propri sensi, la propria sfera passionale ed emotiva legata ai frutti dell’azione, ossia alla ricerca del soddisfacimento generato dal nostro egoismo, è particolarmente insegnata nella Bhagavad Gita, ove Krisna spiega ad Arjuna: “fai ciò che è prescritto, poiché l’attività è migliore dell’inattività, e neppure il sostentamento del corpo è possibile senza l’attività (canto III, 8). Questo mondo è legato alle azioni, all’infuori di quelle del Sacrificio; perciò o Arjuna, libero da ogni attaccamento, con tale scopo (di sacrificio) compi ogni azione (Canto III, 9).Fai perciò sempre ciò che deve essere fatto, ma senza attaccamento, poiché l’uomo che compie le azioni disinteressatamente consegue il Supremo(canto III, 19)”.
A questo riguardo, oltre ad essere, penso, un simbolo centrale, il Tronco della Vedova è, a
mio avviso, un ottimo mezzo operativo mediante il quale il Libero Muratore dovrà imparare ad effettivizzare per prima cosa, e soprattutto, il distacco, la rinuncia ad una parte dei propri beni. Per questo motivo sono tentato di attribuirgli un potere purificatore -quale supporto, nel senso sopra detto, per la costruzione del bene comune: il Tempio. Può essere di grande aiuto soffermarci a riflettere, durante il rito di circolazione del Tronco, sulla necessità di morire iniziaticamente (un po’ il “ricordati fratello che devi morire” delle comunità monastiche medioevali). Se, come ritengo, il Tronco della Vedova rappresenta una configurazione simbolica dell’Albero della Vita, piantato nel centro del Paradiso terrestre, il gioiello dell’Elemosiniere, che è una Corona di rami d’acacia, può dare spunto per ulteriori considerazioni.
Fin dalle più antiche Tradizioni, la Corona, che in origine veniva ricavata mediante un intreccio di rami d’albero, era messa in relazione col carattere sacro attribuito all’albero, in quanto assimilato all’ Albero della Vita. Essa veniva posta sul capo dei sovrani a testimonianza e legittimità del loro potere derivante dall’ Albero sacro. Bisogna considerare, a questo riguardo, che la Corona, essendo formata da un intreccio di rami, ossia prolungamenti dell’Albero, rappresenta, in un certo senso, l’Albero della Vita stesso. Pertanto, l’essere che ottiene l’incoronazione si può dire che venga, in qualche modo, assimilato al potere che emana dall’Albero della Vita, fonte spirituale che delega tale potere.
Da queste brevi considerazioni, mi pare abbastanza evidente la stretta relazione fra il Tronco della Vedova e la Corona di rami di Acacia; anche confrontando tale rapporto con le parole di Gesù: “Io sono la Vite, voi i tralci” (Gv. 15, 5-6), che potrebbero essere traslate in termini Massonici con “Io sono il Tronco, voi i rami”.
Ad ogni modo è comunque probabile che la Corona di rami d’Acacia rappresenti il premio
per il coronamento di un’impresa. L’impresa mi pare logico che sia il passaggio che l’iniziato
Libero Muratore deve effettuare in se stesso; dalla circonferenza delle molteplicità all’unità,
rappresentata, secondo me, dal Tronco, aspetto dell’ Albero della Vita, perno attorno al quale ruota il mondo. i Il Libero Muratore che saprà vincere se stesso mediante il sacrificio dell’individualità, nel nome del G.’.A.’.D.’..U.’., potrà accedere al Paradiso Terrestre. “Beati coloro che lavano le loro vesti, per aver diritto all’Albero della Vita ed entrare nella Città per le porte (Gv. Apocalisse 22,14-15) e cogliere i frutti dell’albero della vita”.
Forse la Corona di rami d’Acacia, vista come limite, potrebbe anche simboleggiare la cinta
del Paradiso Terrestre.
Ricordiamo Fratelli, con costante sollecitudine, che ci troviamo in questa prigione psicofisica appunto perché di essa ce ne liberiamo, utilizzandola come supporto, mediante l’indispensabile aiuto del G.’..A.’.D.’.U.’. e della sua influenza spirituale (forse questa influenza spirituale, in ebraico Scekina, in indù Shakti, è assimilabile alla Madre ed anche alla Vedova), consapevoli della illusorietà di tale composto rispetto alla infinità della nostra origine divina.
Pitagora, nostro grande padre spirituale, nei suoi “Versi Aurei”, dopo tutta una serie di consigli e prescrizioni di vita, conclude così: “… che se abbandonato il corpo, salirai all’Etere radioso, sarai immortale Iddio, incorruttibile, né più soggetto alla morte”. Un poeta persiano,
Sà di, a proposito dell’illusorietà della vita, lancia questo appello che ci deve far molto riflettere:
“La vita è neve, e il sol di luglio brucia,
ne resta un poco ancor; spera l’illuso”.
M..V.-.: Fratelli, il Tronco della Vedova ha fruttato n° 3 e più mattoni per la costruzione del Tempio.
TAVOLA DEL FR.’. G. C.