IL LABIRINTO
di M. Utari
Il è lo strumento, il mezzo, attraversoil quale cercherò di raggiungere la mia verità, simbolicamente rappresentata da un «hortus conclusus» in cui si trovano l’albero della vita, l’albero della sapienza, circondati da un muro. La sapiente mano di un Compagno Libero Muratore lo ha composto con pietre mirabilmente tagliate, trasformandone la materia grezza e donando loro la dignità delle più alte idee.
Il mistero dell’origine del labirinto si perde nella notte dei tempi.
Quando la storia era ancora mito, e l’uomo-fanciullo si esprimeva attraverso immagini come un poeta, molti sono i fatti o le occasioni che hanno ispirato l’idea del labirinto, e gli hanno dato, sempre, un significato religioso, o per lo meno sacrale.
Forse, le intricate foreste colpite dal fulmine divino hanno provocato nell’uomo il terrore di sentirsi perduto in un groviglio inesplicabile di cui bisognava in ogni modo trovare l’uscita per la propria salvezza.
Forse il cielo nuvoloso, così affascinante perché continuamente bello e diverso, ha ispirato la prima immagine grafica e poetica del labirinto.
Forse l’esigenza di conoscere il futuro ha spinto gli aruspici ad esplorare la profondità labirintica delle viscere delle vittime, nel cui intimo essi cercavano i misteri della vita futura, e del volere degli Dei.
Queste ipotesi, ed altre simili, sembrano a prima vista frutto di una mente fantastica, ma trovano fondamento in tradizioni di popoli molto
lontani fra di loro, sia nello spazio che nel tempo.
Il suo simbolo esprimeva la difficoltà della vita, ma anche la tortuosità
dell’ascesi spirituale.
Per questo venne adottato in tutte le Tradizioni Misteriche come percorso iniziatico di avvicinamento al luogo sacro in cui l’adepto doveva essere accolto.
Solo coloro che ne scoprivano la chiave di accesso, cioè che superavano
le prove incontrate durante il viaggio, potevano penetrarvi.
Era, in ultima analisi la difesa nei confronti dei profani che non avevano
una guida (vedi il filo di Arianna) o che semplicemente non avevano le qualità per raggiungere il luogo ove si svolgevano i sacri riti.
Il centro del Labirinto, luogo nascosto e difeso, venne associato all’uso
Madre Terra divenne «morte-rinascita», vittoria dello spirito sulla materia, sugli istinti e sulle passioni.
QUESTE, a mio parere sono le idee-forza espresse dal Labirinto.
Nel lungo cammino umano ci sono state molte interpretazioni. In molte
situazioni contingenti si è attinto alla sua ricchezza di significati, ma sempre a sostegno di tesi alte ed onorabili.
Per questo mi piacerebbe concludere, come dimostrazione, facendo una piccola analisi sul Labirinto della Cattedrale di Chartres sopranzi citato.
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Definita un’area nello spazio, il labirinto appare come la distanza più
lunga e difficile da percorrere per raggiungere il centro e, ovviamente,
per poi poter tornare al punto di partenza.
È l’opposto della linea retta, quale definizione di distanza più breve
e più facile tra due punti. A Chartres non esistono corridoi ciechi od altri inganni. L’inganno è di ordine psicologico, determinato da svolte a destra ed a sinistra, ora verso l’interno ora verso l’esterno.
Raggiungere il centro è il coronamento di uno sforzo che deve superare
processi di sorpresa, di dubbio, di insicurezza, provocati dalla segmentazione dello spazio, dall’isolamento e dallo sconcerto derivante
dalla mancanza di punti di riferimento. L’avvicinamento al centro è lungo e sconcertante: è LABOR INTUS.
È il percorso dell’animo umano entro una valle di sofferenze, verso la ricerca della verità. Il labirinto diventa «Itinerarium mentis et cordis ad Deum». Dio, il Logos, è l’obbiettivo che una volta raggiunto, od avvicinato, dona il senso all’esistenza, trasforma l’uomo da cosa ad
essere spirituale, consapevole della propria dignità individuale.
Nel Vangelo gnostico di Filippo si legge: «la Verità non è venuta nuda
in questo mondo, ma in simboli ed immagini. Non la si può afferrare
in altro modo».
Alla luce di questa affermazione il labirinto diventa uno dei simboli più importanti nella Tradizione Esoterica, perché attraverso uno sforzo di ricerca interiore permette a chi lo osserva di proiettarsi verso le idee, verso l’illuminazione, verso l’intellezione spirituale. La conoscenza è conquista di colui che riesce a cogliere la chiave di interpretazione, l’ordine logico che pervadono il labirinto.
Questo, nel suo più puro significato esoterico ci può permettere di passare, come affermava Dante, dalla «metafisica in sé» rappresentata dalla linea retta, all’idea di una «metafisica in noi», che va ricercata seguendo a volte percorsi accidentati e dolorosi.
Dal punto di vista etimologico, diverse sono le radici da cui far derivare
la parola labirinto. La più accettata è LABRIS, l’ascia bipenne rappresentata a Creta, simbolo di potere e di giustizia.
La più vicina alla mia tesi è Lab-lav, cui sottende nella lingua greca,
un’idea di peso (pietra, roccia), e, forse in maniera più specifica, il peso dell’operare, del lavoro per la trasformazione dell’ambiente, dell’aggregazione e della compattezza. A questo punto è bello ricordare
un brano di una canzone medievale attribuita al Compagno d’Arte La Gaité de Villebois.
«Compagno che vai d’intorno,
A quale opera sei intento, giorno dopo giorno?
Nella natura intera io prendo
L’innumere e scabra materia,
E con il mio cuore e con le mie mani,
impugnando l’utensile che canta e risuona.
Io la trasformo e la plasmo.
E così opero per tutti gli uomini».