Comandante per davvero
NON c’è bisogno di un nome da fumetti giapponesi per essere degli eroi. Basta essere italiani, e chiamarsi Argilio Giacomazzi. Un nome che ci riporta un secolo indietro, ai nonni e ai bisnonni…. di GABRIELE CANE’
GABRIELE CANE’
NON c’è bisogno di un nome da fumetti giapponesi per essere degli eroi. Basta essere italiani, e chiamarsi Argilio Giacomazzi. Un nome che ci riporta un secolo indietro, ai nonni e ai bisnonni. Quelli che hanno fatto la prima Guerra mondiale. Come Oreste Jacovacci, romano, o Giovanni Busacca, milanese. Per chi non li ricordasse, sono i personaggi di un film straordinario, la Grande Guerra, impersonati da Sordi e Gassman. Due soldati pavidi, tremebondi, ma che di fronte all’alterigia sprezzante dell’ufficiale austriaco (..il fegato? Loro conoscono solo quello alla veneziana..) prima lo mandano a quel paese, poi si fanno fucilare pur di non rivelare la dislocazione delle nostre truppe. In realtà, Argilio Giacomazzi, non è un eroe. È solo un uomo di mare. Un comandante vero. Di quelli che lasciano la nave quando tutti gli altri sono già scesi. O che non scendono neppure, se serve morire. Ma da quando un altro comandante è sceso prima di tutti e si è ostinato a non risalire, beh, chi fa il suo dovere salvando centinaia di vite e mettendo a repentaglio la propria, può essere tranquillamente classificato eroe. Lui e tutti gli altri marinai e uomini della protezione civile che hanno consentito alla Norman Atlantic di non trasformarsi in una orrenda graticola come accadde sulla Moby Prince.
NON C’È DUBBIO che in queste ore il mondo ci ha guardato. Forse qualcuno con il sorrisetto sprezzante dell’ufficiale del film. Nessuno, però, ha potuto ridere di noi. Anzi. Standing ovation: tutti in piedi. Il Paese dei santi, poeti e navigatori, è anche un paese di eroi. Diciamolo pure: non siamo tutti Schettino. Anzi. Siamo anche e soprattutto Argilio Giacomazzi. Siamo quei tecnici straordinari che al Giglio hanno raddrizzato la Concordia e l’hanno portata fino a Genova. Mentre il mondo guardava a bocca aperta.
SIAMO i cavatori di marmo di Carrara che all’inizio degli anni 60 fecero «a fette» il tempio di Abu Simbel e lo ricostruirono da un’altra parte per sfuggire alle acque del Nilo e del lago Nasser. Siamo gli artisti del gusto che hanno vestito (bene) il mondo. Siamo la miriade di medie e piccole aziende che salgono sul ring del mercato globale e mettono al tappeto le multinazionali. Siamo i milioni di italiani che con un pugno di euro riescono a mantenere una famiglia, a crescere e far studiare i figli. Straordinari. Oggi il mondo deve alzarsi di nuovo in piedi. Per applaudire Argilio. E i tanti, tantissimi Argilio di un Paese di santi, poeti, navigatori. Ed eroi.
da “LA NAZIONE” del 30 Dicembre 2014