Fondamenti del Rito d’Iniziazione
La nozione di iniziazione fa riferimento a un processo nel quale l’iniziando passa da una condizione
di vita a un’altra per avviarsi in una dimensione più elevata. Si può dire che “iniziato” è colui che
accede a un nuovo stato di conoscenza che implica uno scarto, una rottura di livello tra il prima e il
dopo. Del resto, l’etimologia del termine “iniziazione” proviene dal latino “in-ire”, vale a dire
“avviamento” che corrisponde all’immettersi in un nuovo percorso per trovare l’intima essenza
dell’interiorità. Non a caso Mircea Eliade nel volume La nascita mistica ha scritto che l’iniziazione
consiste in una mutazione ontologica del regime esistenziale, contravvenendo così al principio
secondo il quale natura non facit saltus.
E’ noto il detto di Plotino: pantaèiso, “tutto è dentro”; gli faceva eco Sant’Agostino, il quale
affermava: in interiore homine habitat veritas, oppure noli foras ire, sed in te ipsum redi, vale a
dire: ”nell’interiorità dell’uomo si cela la verità, torna in te stesso”, e bisogna, dunque, rivolgersi
all’interno nel solitario rapporto fra l’Io e il Sé. C’è anche da ricordare Apuleio di Madaura nella cui
ben nota opera, a proposito della luce isiaca, a Lucio veniva data l’opportunità di vedere il sole a
mezzanotte. Lo scrittore, con cauta reticenza e senso di modernità narrativa, dà un’idea di come
abbia vissuto e interiorizzato il rito d’iniziazione praticato nell’antico Egitto. Egli così scrive:
“Il sacerdote, prendendo possesso della mia mano, mi ha portato all’interno del Santuario, vestito di
una veste di lino nuovo. Forse, il lettore curioso, vorrà conoscere con ansia ciò che è stato detto e
fatto. Vorrei potervelo dire (…). Ascoltate e credete alla verità. Mi sono avvicinato ai confini della
morte e, dopo aver calcato sulla soglia di Proserpina, sono ritornato cavalcando attraverso tutti gli
elementi. A mezzanotte ho visto il sole splendere con la sua brillante luce, mi sono avvicinato alla
presenza degli Dei, fermandomi vicino e adorandoli. Ecco, ho raccontato a voi cose di cui dovreste
necessariamente restare ignoranti..”.
Attraverso il rito di iniziazione si realizza dunque l’accesso ad altra condizione di diverso livello, si
abbandona uno stato anteriore e si entra in un’altra situazione di conoscenza. Non a caso Platone
aveva detto che “la morte è un’iniziazione”, volendo significare che il morire consiste in un
cambiamento mediante il quale è abbandonato il precedente stato. Si tratta di una profonda
metamorfosi, d’una rinascita successiva alla vecchia condizione “profana”. Il processo di crescita
non è però di tipo meccanicistico e non necessariamente esso avviene. Il seme, lasciato nel suo io
più profondo, potrà germogliare e crescere dando abbondanti frutti oppure restare inerte. In
quest’ultimo caso, la ricerca non consegue all’iniziazione e si interrompe, poiché non è stata
alimentata con continuità e perseveranza.
L’ingresso nel nuovo stato esige da parte dell’iniziato un processo costante di raffinamento. Tutto
ciò che oscura e appesantisce deve essere abbandonato. Lo sguardo interiore diventa sempre più
potente e penetrante dopo aver consumato la morte nel Gabinetto di Riflessione e lavorando poi
all’interno del Tempio. Occorre perciò isolare e relegare la materia nel buio perché si possa
realizzare il passaggio alchemico dalla nigredo alla rubedo attraverso l’albedo. La rinascita, in
sostanza, avviene dalle ceneri così come il mitico uccello, l’araba Fenice, ritorna a nuova vita dopo
essersi consumato sul rogo purificatore. Il non vedere è, quindi, una condizione essenziale per
l’accesso alla luce della conoscenza.
Affinché tutto questo si possa realizzare armoniosamente, un requisito fondamentale è la presenza
di una comunità iniziatica che agisce all’interno d’una tradizione da essa custodita: termine,
quest’ultimo, che deriva dal greco antico paradosis, nonché dal latino tradere ovvero “trasmettere”.
Si tratta di una trasmissione inerente a conoscenze ereditate da millenarie fonti sapienziali e
ritualmente rivelate al neofita con il mandato di sperimentarle personalmente. “Tradizione” è
pertanto il “filo d’Arianna”, la continuità della sacralità antica trasformatasi e manifestatasi nel
tempo secondo modi e circostanze diverse; ad esempio, ci si potrebbe riferire alla “successione
apostolica” dei cattolici, al “cordone sacrificale dei Brahmini”, alla trasmissione di miti rievocati
nei riti di rinascita.
Chi trasmette non è una persona qualunque, bensì un Maestro ovvero colui che ha il compito di
istruire su un corpo di dottrine e su pratiche in cui credere: si tratta dei “principi” della Libera
Muratoria, fondati sulla ragione, certamente “immutabili”, “ma anche così perfetti da consentire a
ciascuno la piena libertà nella ricerca del vero” (basti, ad esempio, fare riferimento alle nozioni di
Tolleranza, di Libertà, di Morale, di Virtù). Pertanto, il Maestro Venerabile deve essere in grado di
stabilire un contatto fra tali insegnamenti con la vita interiore dell’iniziando. Ecco perché l’anima
iniziatica non può essere trasmessa artificiosamente da un libro: è piuttosto necessaria la viva voce
di chi già l’ha ricevuta e sperimentata su di sé. Qualora la “Tradizione” venga meno, si vanifica
anche la comunità che, in tal caso, non può più dirsi iniziatica: essa, di conseguenza, va vissuta da
coloro che si dichiarano di accettarla per renderla operativa con l’uso di linguaggi verbali e non
verbali, di parole e di simboli, nonché di comportamenti individuali e collettivi.
L’esperienza rituale è profonda e significativa. Sia il neofita che la comunità degli iniziati si
arricchiscono di benefiche energie attrattive che circolano come elemento mercuriale di
interscambio. Siamo così nell’ambito della “potenzialità iniziatica”, intesa come rilascio di
psichicità in un sistema dinamico e unitario. Il valore aggiunto dell’evento dipende in larga misura
dall’apporto emozionale di ciascuno, nonché dalla presenza numerica dei partecipanti, dato che più
forze in campo producono maggiore intensità nella gestione del processo; l’innalzamento del livello
di tensione è così finalizzato al raggiungimento di un equilibrio interiore, nonché di stabili obiettivi
sintetizzati dall’espressione “Tutto è giusto e perfetto”.
La natura psichica del neofita dovrebbe essere così duttile da accogliere la scintilla iniziatica per
poi proseguire in una sua personale crescita all’interno del nuovo gruppo di appartenenza. Non è un
caso che nel rituale si fa riferimento all’espressione ‘bussare alla porta del tempio’ appunto per
significare il desiderio di nuova vita: è l’iniziando che bussa per cercare quella luce da lui
introvabile nel mondo profano.
In tale ottica, il Gabinetto di Riflessione è il luogo dove viene messa alla prova questa sua esigenza
di rivisitazione intima preceduta dalla spoliazione dei metalli. In questo senso l’iniziando, tacita i
rumori profani e si flette per osservarsi dentro, predisponendosi ad un viaggio che nel Tempio
proseguirà con le prove dei successivi tre elementi.
Nella conduzione del rito l’ambiente è simbolicamente un luogo chiuso e segreto, in quanto la
ritualità va vissuta soltanto dagli ammessi, racchiudendo essa significati incomprensibili al mondo
profano.
Dapprima il neofita vive il rito sul piano dell’emozionalità dove il disorientamento e il turbamento
sono in un certo senso inevitabili; solo in un secondo tempo interviene la sua meditazione quale
interpretazione del già vissuto. Procedure e azioni, che dapprima coinvolgono in una sorta di
innamoramento, si trasferiscono poi sul piano del logos: in tal modo, l’emisfero destro in cui
prevalgono immagini, evocazioni, intuizioni, processi analogici e metaforici, si interseca con quello
sinistro, tipico del ragionamento per concetti elaborati gradualmente.
In sintesi, a conclusione del rito si verifica un’integrazione della continuità iniziatica che avviene
con l’ingresso del neofita nella “ colonna del settentrione”. D’ora in avanti, il suo compito sarà
quello di acquisire competenze, tra cui la decifrazione dei simboli: “Chi apprende la pratica della
conoscenza simbolica”, ha scritto Bent Parodi, “è uomo ri-nato (…), “nato due volte”. E rinato dalla
pietra potremmo dire nel nostro caso specifico. Siamo così nella rivelazione del sacro, della forza
divina che irrompe nella realtà interiore, scardinando i vincoli del tempo e dello spazio.
Davvero suggestive, in proposito, le parole espresse da Jung nel Libro rosso:“Se si accoglie il
simbolo, è come se si spalancasse una porta che conduce in una nuova stanza di cui non si
sospettava neppure l’esistenza. Se invece non si accoglie il simbolo, è come se si passasse davanti a
quella porta senza badarci, e poiché quella era l’unica porta che conduceva alle stanze interne,
allora bisogna ritornare sulla strada e nella mera esteriorità. L’anima però soffre di una mancanza,
perché la libertà esteriore non le serve. La redenzione è una lunga strada che passa attraverso molte
porte. Queste porte sono i simboli”.
Ognuno potremmo specificare apre la porta più consona alla propria ricerca. Cambiare il proprio
modo di pensare e di sentire, di operare e di prospettarsi nuovi orizzonti, scevri di preconcetti,
indubbiamente non è facile, ma è un impegno la riflessione sui simboli che dovrebbe conseguire
all’iniziazione. Qui entra in gioco la spinta della volontà, che è espressione di “Forza” cui si
richiamano, congiuntamente a “Bellezza” e “Sapienza”, l’inizio e la chiusura dei lavori. E’ il volere
che libera da ogni incrostazione e aiuta a volare, a prendere quota al di sopra delle nubi minacciose
della profanità. Poiché “fummo fatti non per vivere come bruti ma per seguir virtute e conoscenza”,
come attesta Dante Alighieri, è imparando a guardare con il proprio intelletto che è possibile
muoversi in più ottiche di consapevolezza: si vince così ogni sorta di dogmatismo e di
fondamentalismo, si scavalca ogni limite, si accede alla libertà iniziatica come diverso modo di
estrarre dall’interiorità gli elementi migliori della nostra personalità e procedere così dalle tenebre
verso la luce.
Siamo nel significato del viaggio come modalità per affrontare prove e saperne scavalcare gli
ostacoli. Lo stato iniziale del ricercatore è il mettersi in discussione. E così che si viaggia, e ogni
luogo aggiunge nuove esperienze attraverso le quali ci si accosta alla verità come fine ultimo del
peregrinare. E’ questo il senso del percorso dell’iniziato: egli così si lascia contagiare dal fascino
della conoscenza con la consapevolezza che la ricerca della verità, oltre ad essere interminabile,
avviene attraverso la sgrossatura della pietra: attività edificatoria, questa, che comincia alla fine del
rito d’iniziazione e si attua attraverso l’uso di due strumenti essenziali. Il “Maglietto”, simbolo di
potenza, di autorità e di saggezza rappresenta la determinazione della volontà che agisce per
realizzare i propositi. E’, in sostanza, l’atto della fermezza e della perseveranza attraverso cui
l’uomo si espande nei livelli superiori. Esso è, quindi, la metafora del pensieroazione che richiede
meditazione e concentrazione. Da parte sua, lo scalpello, strumento acuto e tagliente, traduce le
sollecitazioni della volontà e controlla l’impulsività, nonché la passione.
In realtà, lo scopo del rito d’iniziazione è proprio questo: sconfiggere i vincoli gravitazionali che
segnano la morte per ritrovarsi in una dimensione rigenerata. Volendo sintetizzare, pare opportuno
accennare a un potente simbolo di trasformazione alchemica: il riferimento va al serpente che si
morde la coda, rappresentante una circolarità dalla duplice e complementare valenza metaforica.
Nell’atto di mangiare la propria coda, il rettile simboleggia una fase di autodistruzione, mentre
l’unione della coda con le fauci indica un’autofecondazione, ed insieme le due fasi richiamano quel
circuito inesauribile di morte e rinascita che muove e determina la trasformazione in una prospettiva
di trascendimento e nella visione di una globalità spiritualizzata.
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