IL MASSONE NELLA SOCIETA’ MODERNA
Una delle caratteristiche della moderna società sembra essere diventata l’ululato della pecora, ovvero una forma di ipocrisia alla rovescia per cui il galantuomo si vergogna di esse tale, o, peggio, tende a far sapere alla massa di non essere un “diverso”, e, se lo è, lo è solo in senso negativo.
Uno dei peggiori pericoli che la Società corre, durante il processo di maturazione dei suoi componenti, è che i suoi migliori elementi sfuggano alle loro responsabilità, moralmente loro attribuite per capacità intellettive superiori innate, per timore delle contestazioni della massa, a cui il processo evolutivo assegna ruoli sempre superiori alle effettive capacità.
Si è vista così negli ultimi anni la scomparsa da tutti i mezzi di comunicazione dei concetti di “merito” e di “selezione”. Chiunque ne parlava veniva immediatamente tacciato di “fascismo”.
Si è arrivati al punto di confondere il concetto di vittima con quello di martire, il verbo “assassinare” col verbo “giustiziare”. I sacrosanti diritti morali di ugual dignità di ogni singolo individuo sono stati confusi con uguali pretese materiali del superfluo, e con il raggiungimento di posizioni incompatibili con le singole capacità, se non a discapito di tutta la Società. I risultati di queste concezioni sono davanti agli occhi di tutti.
In questo ambiente, così delineato, l’uomo “libero e di buoni costumi” ha sofferto e soffre la solitudine. Egli sa che, durante il periodo della piena, quando la massa d’acqua torbida e violenta tutto trascina con sé rovinando i raccolti, per il bene dell’umanità, è importante conservare il seme, perché solo questo permetterà, quando la piena sarà passata, la possibilità di un nuovo raccolto.
Ma quest’opera di conservazione è tanto più dura quanto maggiore è il senso di solitudine che egli avverte.
Ed ecco il primo dovere ed il primo miracolo della Loggia. L’uomo “libero e di buoni costumi” in virtù di queste doti viene scelto dai suoi futuri Fratelli, per il suo bene, per il bene della Loggia, per aggiungere un altro mattone all’edificazione del Tempio. Ed improvvisamente, immediatamente dopo la cerimonia di iniziazione, egli scopre di non essere più solo. La navicella sul mare in tempesta, che già di per sé aveva la capacità di navigare, ha trovato un porto sicuro, che gli permetterà di rinforzarsi e di solcare acque ancora più tempestose con la certezza di giungere a destinazione.
Quando ognuno di noi ha bussato alle porte del Tempio, ha chiesto la Luce. Ma cos’è la Luce?
Dice una vecchia favola che cento uomini erano chiusi in un’immensa stanza buia, e ognuno di essi aveva una lampada spenta. Uno accese la sua lampada ed ecco che gli uomini poterono guardarsi in viso e conoscersi. Un altro accese la sua lampada e scopersero un oggetto vicino, e, mano a mano che si accendevano altre lampade, nuove cose venivano in luce, sempre più lontane, e alla fine tutti ebbero la loro lampada accesa e conobbero ogni cosa che era nell’immensa stanza, e ogni cosa era bella, buona e meravigliosa.
Le lampade erano cento, ma non erano cento le idee. L’idea era una sola: la luce delle cento lampade, perché soltanto accendendo tutte le cento lampade si potevano vedere tutte le cose nella grande stanza e scoprirne i dettagli.
E ogni fiammella non era che la centesima parte di una sola luce, la centesima parte di una sola idea: l’idea che permetteva di vedere la Verità. La luce delle cento lampade era la Verità.
Ogni uomo allora credette che il merito delle belle cose che vedeva fosse della sua lampada, che poteva far sorgere dalle tenebre del niente le belle cose. E chi si fermò per adorare la lampada, chi andò da una parte e chi dall’altra, e la gran luce si immiserì in cento minime fiammelle, ognuna delle quali poteva illuminare soltanto un particolare della Verità.
Fratelli, è necessario che le cento lampade si riuniscano ancora per ritrovare la luce della Verità. Gli uomini oggi vagano sfiduciati, ognuno al fioco lume della propria lampada, e tutto sembra loro intorno buio, triste e malinconico; e, non potendo illuminare l’insieme, si aggrappano al minuto particolare cavato fuori dall’ombra del loro pallido lume.
Non esistono “le idee”: esiste una sola idea, una sola Verità che è l’insieme di mille e mille parti. Ma essi non la possono vedere più. Bisogna che ognuno torni indietro e si ritrovi con gli altri al centro dell’immensa sala.
Fratelli, noi in Loggia uniamo le nostre lampade e, così facendo, abbiamo una luce più forte che ci permette di vedere meglio; ma essa è ancora insufficiente, e sia in noi la consapevolezza che sul nostro cammino la luce sarà sempre di più, ma non sarà mai sufficiente. Ma un’altra cosa noi possiamo fare: migliorare la capacità della nostra lampada.
A suo tempo ognuno di noi ha risposto alle tre domande: quali sono i doveri verso se stesso, quali verso l’Umanità, quali verso Dio. Ho invertito la prima con la terza domanda, perché mi sembra che così esse formino una catena logica. Solo dopo aver risposto alla prima, si può rispondere alla seconda e quindi alla terza. Ricordo che più di sette anni fa risposi alle tre domande con tre parole e, se potessi rispondere oggi, userei le stesse tre parole: coerenza verso se stessi, giustizia verso l’umanità, fede verso Dio.
Solo la coerenza verso noi stessi ci può dare il rispetto di noi stessi. Questa è una dote che tutti i Massoni hanno innata. Se così non fosse, verrebbero a mancare i presupposti per il compimento di tutto il Lavoro che porta dapprima dalla pietra grezza alla pietra cubica e poi sempre più su.
Su questo presupposto si deve innestare il dovere di giustizia verso l’Umanità. Penso che esso sia l’unico dovere fondamentale verso il nostro prossimo. Come Massoni noi rivendichiamo il diritto di scegliere le persone da frequentare ed amare. Questa scelta è basata su caratteristiche di affinità intellettive e di sentimento e quindi è una scelta selettiva.
Ma noi non siamo santi. La Loggia è la nostra casa. Essa è il luogo dove le difese cadono e la serenità è naturale; ma fuori, nel mondo profano, non dimentichiamo che altri valori imperano, valori da cui dobbiamo salvaguardarci.
Tutto ciò ci dà il diritto naturale di riunirci escludendo coloro che non riteniamo affini; non ci dà però il diritto di non trattare con giustizia tutti. Ma facciamo attenzione al concetto di giustizia: esso include sempre quello di dignità, ma non sempre quello di rispetto. Condannare l’autore di crimini efferati è giusto; capire le situazioni scatenanti e concedergli delle attenuanti è giusto; ma per lui rivendichiamo il diritto di non avere rispetto. Lo tratteremo con dignità di essere umano nell’espiazione della pena, ma non lo rispetteremo. “Non giudicare” è scritto nel Vangelo ed in quel “non giudicare” è tutta la nostra tolleranza massonica. Ma la nostra tolleranza non deve mai essere fuga da responsabilità, o debolezza.
Al contrario, la tolleranza deve essere la dimostrazione della nostra forza.
Tolleranza deve significare comprensione per la debolezza umana, ma nello stesso tempo deve essere unita alla capacità di vagliare quando usarla ed in che misura. Fuggiamo soprattutto dalla tentazione di usare la tolleranza per le cose che non ci toccano da vicino. Al contrario, la tolleranza va usata tanto più quanto maggiormente siamo coinvolti nelle decisioni.
Ricordiamo infine che spesso il “perdono” verso una persona crea ingiustizia per altre persone. Che la tolleranza quindi non sia mai indulgenza.
Forse più difficile di tutte è la risposta all’identificazione dei doveri verso la divinità. Il concetto di divinità è qualcosa che noi principalmente “sentiamo”. Esso è la risposta intuitiva alla nostra limitatezza di esseri umani. E’ qualcosa che ci salva dalla disperazione di una fine completa.
Questo concetto è stato ed è comune a tutta l’umanità. Laddove gli uomini hanno attraversato gli oceani per trovare propri simili, pur ad un differente livello di sviluppo, hanno sempre trovato l’idea della divinità.
Errori tragici e grossolani sono stati e sono commessi allorché quest’uomo presuntuoso ha cercato di definire in tutti i particolari la divinità. Pensiamo un momento al motivo della nostra appartenenza ad una particolare religione. La risposta non è che una: la nascita nel luogo dove tale religione viene praticata. E allora ritorna ad essere valido il concetto della lampada. La nostra particolare religione non è sbagliata: è solo incompleta! Essa è solo la visione del Divino in condizioni visive estremamente limitate e diverse, così come lo sono tutte le altre religioni. Non vi è alcun dubbio che qualunque fanatismo sia ripugnante e degno non dell’uomo come noi lo intendiamo, ma delle bestie. Sicuramente, tra tutti i fanatismi, il peggiore è quello religioso.
Dobbiamo allora credere in Dio, ma non dobbiamo assolutamente delegare ad altri l’interpretazione e le risposte al bisogno religioso, che è personale; interpretazione e risposte che non devono mai mortificare il nostro senso critico. Sicuramente la religiosità dell’individuo è legata al suo grado di sviluppo, e lo sviluppo non può essere imposto, ma solo indirizzato, poiché la sua velocità varia da singolo a singolo.
Mi sembra, in conclusione, di aver delineato le caratteristiche del Massone, soprattutto come essere pensante, dinamico, caratterizzato da una visione più ampia delle cose, forte e sicuro per la consapevolezza di ciò che la fratellanza massonica significa.
Siamo quindi orgogliosi di essere Massoni. Ed a testa alta, guardando lontano, proseguiamo il nostro cammino, per il bene dell’Umanità ed alla gloria del Grande Architetto dell’Universo.