VERSO LA LUCE

di FRANCO MASSIMO

Apprendisti Liberi Muratori, Fratelli carissimi, mente alla accostatevi umilmente alla porta del Tempio della Virtù; bussate perché si apra, bussate ancora per domandare la Luce e ancora bussate per ricercare la Verità.

Operai coscienziosi, cingete alla vita il grembiale per preservarvi da ogni lordura, calzate i guanti per mantenervi illibati.

All’ordine, nella compostezza dei vostri sentimenti, dei vostri propositi, delle vostre azioni, vi ponete tra le colonne, là dove vi è dato discernere il Bene dal Male, la Luce dalle Tenebre, il Limitato dall’Infinito. Non vi sentite soli e sperduti perché le melagrane e il globo vi dicono che tanti, tanti, tanti vostri Fratelli, sparsi su tutta la superficie della Terra, sono al lavoro al vostro fianco.

Procedendo diritto, senza sbandamenti, verso l’Oriente, verso la fonte della Luce e della Saggezza, fate il primo passo e quindi sostate per riflettere; ma poi, convinti, fate il secondo e ancora so- state per riflettere; infine, decisi, compite il terzo.

Il Delta Sacro vi ha attratto con la sua luminosità misteriosa, il Sole ha portato l’ardore nei vostri cuori, la Luna ha portato la serenità nei vostri spiriti e la riflessione nelle vostre menti. Minerva vi guida, Ercole vi sprona e vi sorregge, Venere vi placa e vi ammanta di bellezza e di bontà.

Volgete lo sguardo alla volta stellata, all’immensità del Tuttoe per un attimo vi smarrite; ma poi subito percepite che l’opera vostra non trova confini, che lo spazio infinito è il regno delle vostre idee e delle vostre anime e sentite che là aleggiano gli spiriti dei Maestri, gli spiriti dei grandi Iniziati, gli spiriti dei Liberi Muratori, rotanti tutti intorno allo Spirito Puro Supremo.

Allora, con un gesto che sottintende gratitudine e razionale sottomissione al Vero, al Giusto, al Bello, salutate le tre Luci. Innanzi a voi è il centro della Loggia, il centro dell’Universo, il punto di confluenza e d’incrocio di tutte le forze che prorompono dal Delta Sacro, dal Sole, dalla Luna, dalle Colonne, dalle Luci: il punto d’amore. Lì è l’Ara dei Giuramenti, l’Ara della Generazione, l’Ara di lavoro con le sette luci planetarie, con il Libro della Sapienza antica, con la Squadra, con il Compasso. Vi sentite trasportati in quel punto, al posto dell’Ara e sentite di essere voi il Centro Generatore.

Pervasi d’amore, consci dei vostri doveri e della vostra capacità creativa, impugnate il Mazzuolo e lo Scalpello e la volontà si estrinseca e voi picchiate e picchiate e picchiate e la vostra determinazione dirozza la pietra greggia. Là, in alto, sopra il Trono, l’Occhio del Grande Architetto dell’Universo vigila sull’opera vostra. E voi picchiate, picchiate, picchiate e ad ogni colpo la ragione martella in voi e la logica dirozza via via la pietra sino a squadrarla. D’onde vieni? Chi sei? Dove vai? Non lo sapete, mai lo saprete; ma picchiate e livellate, ardenti, instancabili perché non siete più semplicemente uomini ma vi sentite Iniziati e ben sapete che solo la potenza delle idee — che non possono venire imprigionate, né tantomeno distrutte — può mutare i destini dell’umanità.

E se vi dicono che siete poeti, se ve lo dicono con sarcasmo, quasi con dispregio, rispondete che è vero; rispondete così come rispose il nostro grande Fratello Giosuè Carducci:

Il poeta, o vulgo sciocco,

Un pitocco

Non è già, che a l’altrui mensa

Via con lazzi turpi e matti

Porta i piatti

Ed il pan ruba in dispensa.

E né meno è un perdigiorno

Che va intorno

Dando il capo ne’ cantoni,

e co ’l naso sempre a l’aria

Gli occhi svaria

Dietro gli angeli e i rondoni.

E né meno è un giardiniero

Che il sentiero

De la vita co ’1 letame

Utilizza, e cavolfiori

Pe’ signori

E viole ha per le dame.

212 —

Il poeta è un grande artiere,

Che al mestiere

Fece i muscoli d’acciaio:

Capo ha fier, collo robusto,

Nudo il busto,

Duro il braccio, e l’occhio gaio.

Non a pena l’augel pia

E giulìàa

Ride l’alba a la collina,

Ei co ’1 mantice ridesta

Fiamma e festa |

E lavor ne la fucina;

E la fiamma guizza e brilla

E sfavilla

E rosseggia balda audace,

E poi sibila e poi rugge

E poi fugge

Scoppiettando da la brace.

Che sia ciò, non lo so io;

Lo sa Dio

Che sorride al grande artiero.

Ne le fiamme così ardenti

Gli elementi

De l’amore e del pensiero

Egli gitta, e le memorie

E le glorie

De’ suoi padri e di sua gente.

Il passato e l’avvenire

A fluire

Va nel masso incandescente.

Ei l’afferra, e poi del maglio

Co 1 travaglio

Ei lo doma su l’incude.

Picchia e canta. Il sole ascende,

E risplende

Su la fronte e l’opra rude.

Picchia. E per la libertade

Ecco spade,

Ecco scudi di fortezza:

Ecco serti di vittoria

Per la gloria,

E diademi a la bellezza.

Picchia. Ed ecco istoriati

A i penati

‘Tabernacoli ed al rito:

Ecco tripodi ed altari,

Ecco rari

Fregi e vasi pe 1 convito.

Per sé il pover manuale

Fa uno strale

D’oro, e il lancia contro “1 sole:

Guarda come in alto ascenda

E risplenda,

Guarda e gode, e più non vuole.

Carissimi Fratelli Apprendisti, portate la vostra pietra al Tempio con fierezza, con fede, con entusiasmo, con sincerità. E’ stato detto che «la vita è troppo breve perché valga la pena di falsificarsi ».

E noi Maestri potremo erudire gli Apprendisti, potremo mostrare loro le vie infinite della infinita sapienza, ma il vostro esempio, soprattutto, avrà il potere di trascinarli con entusiasmo VERSO LA LUCE.

Se i Maestri non saranno esemplari, la costruzione risulterà precaria ed i loro insegnamenti verbali ristagneranno nell’aria quali beni astratti capaci di stimolare soltanto qualche uomo più degli altri dotato di buona volontà. «L’esempio — ben disse West — è la lezione che tutti gli uomini possono leggere ».

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