RIFLESSIONI E PROPOSTE DI UN FRATELLO (INIZIATO?)
Maestro Venerabile e Fratelli carissimi tutti, era mia intenzione preparare e presentarvi un lavoro che vertesse sul SUONO nelle varie tipologie che esso può avere in Tempio (la parola, innanzitutto, poi la musica ed infine il battito dei maglietti) contrapposta al silenzio, interiore ed esteriore.
Poi mi è parso più opportuno trattare il nostro lavoro, intendo proprio il contenuto ed i modi del nostro lavorare: una riflessione su ciò che facciamo (e che non facciamo), sul come lo stiamo facendo in confronto a quello ed a come lo fanno gli altri. Voglio qui fare due casi diversi, certo tuttavia che non siano gli unici e che, se lo vorremo, riusciremo ad evidenziarne altri, come risultato del nostro conversare insieme:
1. Il RITO. Avevamo deciso di studiare ed approfondire il rituale Emulation (ed eventualmente di sperimentarlo). È mia convinzione che studiarlo e provarlo sia oltremodo positivo e non possa che arricchirci: ci aiuterebbe a comprendere sempre meglio il rituale in quanto tale. Non questo o quello, ma la logica e la stessa necessità del rituale, in qualunque forma poi lo si svolga. Rituale che, lo ricordo ancora una volta, deve essere fra le cose più importanti tra quelle che realizziamo qui ogni volta che ci riuniamo.
2. e, a tale proposito, proprio per ricordare e sottolineare l’importanza del rito sul resto, vorrei usassimo meglio la concessione della parola: che senso ha, insomma, mi domando, indossare grembiuli e guanti se poi si parla, si discute, ci si anima per cose che possono, o potrebbero, benissimo esse dette non dico solo fuori dei nostri lavori e del tempio, ma in qualunque altro posto, addirittura al bar? Se ci attenessimo alla raccomandazione – ordine del Maestro Venerabile in fase di apertura dei lavori in grado di Apprendista – per cui tutto, all’interno dei nostri lavori, deve essere: “serietà, senno, benefizio e giubilo” si parlerebbe sicuramente di meno. Ecco che così, allora, rischiamo di apparire ridicoli e di farci noi stessi, per primi, del male.
Nei paesi anglosassoni tutto questo è assolutamente normale: tavole ed opinioni sono rigorosamente tenute all’esterno del Tempio, ove si svolgono esclusivamente lavori rituali.
Forse ci sono delle difficoltà operative per reperire i locali idonei, ma perché non provarci, almeno qualche volta?
Come probabilmente saprete, sono stato in Syria, recentemente. È questo un paese molto interessante dal punto di vista sia dell’ambiente naturale, con affascinate contrasto tra deserto e verde lussureggiante, grazie all’acqua ed alla conseguente fertilità data dall’Eufrate, che, e soprattutto, dal punto di vista archeologico.
lo posso considerarmi solo un turista.
E come turista ho scoperto, quasi per caso, una cosa che, quando l’ho vista, mi ha fatto stropicciare gli occhi per la meraviglia e che questa sera cono lieto di potervi raccontare, per farvene partecipi. Credo che sia quasi doveroso, da parte di ciascuno di noi, far partecipe delle proprie scoperte tutti i Fratelli dell’Officina (ecco un tema molte per tavole in futuro!).
Nel trasferimento tra la basilica di San Simone Stilita (il santo cristiano più venerato di tutta la Siria) e la città morta di Rafasah (l’antica Sergiopolis romana), entrambe sicure mete dei vari giri turistici siriani, la nostra guida (essendo la nostra comitiva un po’ in anticipo sulla tabella di marcia) ci propose la visita di un Tempio che, scoperto da non molto tempo (e precisamente nel 1954), ha gli scavi, per la perenne penuria di soldi, tuttora in corso, motivo per cui probabilmente c’è ancora molto da scoprire.
La località si chiama AYN DARAH, e consiste in quello che viene colà normalmente chiamato TELL (cioè quella collina che sta tra il naturale e l’artificiale).
Fondata in epoca ittita (2% metà del Il millennio a. C.), la città bassa copre circa 24 ettari e non è stata ancora scavata, a differenza del tell. Questo, che è alto 32 metri ed ha un diametro di circa 150/200 metri, ha pareti scoscese e ripide. Sulla sua sommità un tempio, in basalto, di epoca aramaica (che sono i Caldei della Bibbia) risalente a circa il 1000 a. C.
Il basalto non è di estrazione locale, ma veniva, per così dire, importato da parecchio lontano. L’esterno è riccamente e finemente decorato in bassorilievi su tutto il perimetro del tempio riproducenti, più o meno alternati, leoni e sfingi.
Il leone era attributo della dea Ishtar (una dea della terra, del sole e della fecondità), mentre la sfinge era attributo della dea Astarte (una divinità fenicia, praticamente patrona delle stesse cose di Ishtar, con in più l’essere dea della montagna).
Il Tempio è composto da: una prima corte lastricata che precede l’ingresso monumentale, da una ante cella e da una cella oltre cui c’è l’area sacra vera e propria.
Inoltriamoci ora nel Tempio e qui, invece di parlare io, sentite cosa recita la Guida turistica del TCI: “La parte più suggestiva del Tempio è l’ingresso: un ampio passaggio largo m. 3,60 preceduto da quattro scalini in basalto e da due grandi soglie in pietra calcarea poste ad altezza decrescente. Su queste ultime, e su una terza che immette nella cella si trovano delle enormi impronte di piedi interpretate dagli
studiosi come indicazione del rituale da seguire entrando nel tempio o come simbolo della presenza divina nell’edificio”
Qui termina la descrizione della guida sull’argomento.
Ecco, questa è la prima volta che mi imbatto in una descrizione analoga in una comune guida turistica: la descrizione di un rituale di ingresso in un Tempio. Il tutto ci riguarda troppo da vicino per non fare confronti.
E adesso vediamo di essere più chiari su quello che ho visto. Sulla prima pietra vi è l’impronta dei due enormi piedi (un piede misura circa
70/75 centimetri, è ben proporzionato). I piedi sono affiancati proprio come chi si appresta a muovere dei passi. Se preferite sono posti come li mettiamo noi, ma non a squadra. A distanza di circa 3 metri vi è un’altra pietra con l’impronta di un solo piede e su una terza pietra, a distanza di un buon 5-6 metri dalla seconda pietra, di nuovo le impronte dei due piedi, ma questa volta più divaricati. Purtroppo quella che avrebbe potuto e dovuto essere la quarta pietra non c’è più, forse anche perché un incendio distrusse molto ed i predoni fecero il resto.
La quarta pietra, ho immaginato, era già a ridosso della parte che era riservata ai soli sacerdoti, la parte più sacra.
Riassumendo l’impressione:
— chi entrava doveva entrare come noi entriamo in Tempio a lavori aperti, ovvero con
dei passi ben precisi;
— la Dea di questo (e di molti altri) Tempio era una divinità che potrei definire una
Madre terra (colei che orbata del suo sposo, il cielo, diviene Vedova).
— alla parete più sacra, più interna, potevano accedere solo certi sacerdoti (gli iniziati).
Purtroppo non ho avuto il tempo di guardare meglio, di poter approfondire la cosa, e non ho trovato seppure cartoline illustrate esplicative per ciò che si può interessare del sito. Le foto che ho scattato non rendono assolutamente l’idea del posto.
Occorrerebbe ben altra cultura archeologica o di esperto di storia delle religioni per tirare fuori da questa mia “scoperta” un’interpretazione che non sia banale.
Ma io confido in voi, Fratelli miei, per una più interessante e completa comprensione di questo aspetto.
TAVOLA SCOLPITA DAL FR.’. A. Bgg,