NON CI SONO PIU’ LE MEZZE STAGIONI

NON CI SONO PIÙ LE MEZZE STAGIONI

M:.V:. e Fr.lli carissimi,

non è mia intenzione propinarvi una tavola di argomento metereologico, ma, prendendo spunto da un piccolo ricordo, raccontarvi alcune mie considerazioni. Da bambino sentivo spesso dire ai miei nonni: “non ci sono più le mezze stagioni …” . I miei nonni sono mancati quando avevo 6 anni. Non penso che a quel tempo le stagioni o la loro regolarità, potessero avere per me qualche significato e qualche minimo interesse. Quella affermazione mi è rimasta impressa certamente per altri motivi. Non la frase in sé ma lo stato d’animo che esprimeva. Coglievo in essa un forte turbamento per un ordine violato, un’apprensione profonda per mutamenti incombenti. Era una cosa seria e preoccupante. Poi, fra il liceo e l’università, ricordo che i genitori, trovandosi con amici, ripetevano: “non ci sono più le stagioni di una volta…”. Allora, anziché spaventarmi sorridevo, pensavo ai nonni e consideravo: il problema vero delle stagioni è di quante, troppe stagioni, insomma vecchiaia incipiente e galoppante. Sentendo ora molti amici, anche coetanei, dire abitualmente: “anche il tempo sta cambiando, mancano i principi, non ci sono più i valori di una volta, tutto peggiora, nemmeno il calcio è più quello di una volta…”. Ora mi preoccupo sul serio perché nella vecchiaia incipiente ci sono io. Le stagioni non sono più un problema, ora è tutto chiaro, tutta colpa dell’effetto serra e del buco nell’ozono. La riflessione seria che, mi e vi, pongo e questa: perché la percezione del presente è vissuta con disagio, con l’apprensione per un ordine sempre più logoro, per un disordine crescente, per mutamenti incombenti, con la preoccupazione per il crollo dei valori, per la mancanza di principi e di punti di riferimento? Il rimpianto del buon tempo antico, dall’Alighieri, a Virgilio è una costante della nostra letteratura, quindi della nostra cultura e dell’animo umano. È anche un riflesso freudiano del rimpianto dell’adolescenza ormai trascorsa e lontana. Non è questo il punto, il disagio del presente e la percezione della perdita dei valori sono un’altra cosa. Come facciamo a misurare i valori che caratterizzano la nostra società ? Mai, questa sensazione, è accompagnata e quindi suffragata da un’indagine sociologica attendibile ed accurata. È una stato d’animo, inutile quindi tentare di misurare i valori, ammesso e non concesso che sia possibile. Lo stato d’animo è originato da una percezione soggettiva ma diffusa e condivisa. Da cosa nasce allora questa sensazione ? Azzardo un’ipotesi. Da sempre associamo i valori ai vincoli che essi impongono. Tutte le proibizioni, le bacchettate grandi e piccole che abbiamo ricevuto o ci siamo dati, sono sempre state giustificate e motivate dai valori che implicavano certe limitazioni. Noi avvertiamo i valori tramite le condizioni che essi ci impongono. Come la mancanza di condizionamenti ci fornisce l’impressione di libertà crescente, così una condizione di libertà o la presenza di una società permissiva origina la sensazione di mancanza di valori, cioè assenza di divieti. Non voglio entrare nella vecchia questione del confronto dei valori nel nostro mondo di oggi con quelli del nostro mondo di ieri o quelli di altre civiltà di oggi. Solo qualche esempio per osservare che la reale consistenza e presenza dei valori passa usualmente inosservata. Oggi vi è sempre almeno qualche miscredente che si preoccupa delle condizioni dei detenuti nelle carceri. Qualche secolo fa i grandi diffusori di valori come i domenicani, non si sono mai preoccupati delle condizioni dei detenuti nelle loro carceri. Mi sembra che alla base del diverso rispetto umano forse vi siano dei valori non trascurabili. Quando facciamo un viaggio a Stoccolma o a Ginevra e passeggiamo in centro, se la nostra compagna si attarda davanti ad una vetrina non ci preoccupiamo minimamente. Quando facciamo i turisti nel bazar di Istambul o nella medina di Tunisi, stiamo ben attenti a mettere l’orologio di plastica, passaporto e portafogli ben nascosti, e la nostra luna ben stretta per mano. Poi tornando in albergo pensiamo: come sono sereni, tranquilli e sorridenti, con la nostra presenza di occidentali rovineremo presto anche loro. Mai ci fermiamo a considerare che l’insicurezza del vivere, la paura di essere derubati, il timore del prossimo, sottintendono una cospicua differenza di qualità di valori e di qualità della vita. Circa ottanta anni fa, una buona fetta di Europa, delusa dalla confusione delle moderne democrazie, e dalla mancanza di valori, dal permissivismo, ha reagito cercando valori forti, punti di riferimento precisi e ordine. La qualità del risultato è nota. I proverbi, che riflettono il modo di sentire dei popoli, si sono diffusi in Europa nel tardo medioevo e sono felicemente rimasti. Pensate ai primi 3 che vi vengono in mente, vi troverete una lucida, concreta ma rassegnata visione della realtà e nessun ammonimento morale, nessun anelito a cambiare, solo supina accettazione. Una condizione di libertà, intendo la libertà sociale, origina la percezione di mancanza di valori ma produce anche un altro effetto reale: la possibilità, la facilità del cambiamento. Tutto accelera, il vero problema esistenziale di ognuno: il rapporto col divenire, si moltiplica e si dilata. Il divenire è il niente che irrompe, inatteso, nella propria vita, è il nostro presente che finisce e scompare nel nulla. La storia della civiltà e del pensiero umano sono la storia della ricerca di una soluzione alla paura del divenire. Dai più elementari rimedi della magia primitiva, all’astrologia, ai sistemi di pensiero più evoluti, tutto mira a produrre una visione del mondo rassicurante, rassicurante perché inserita in un disegno predefinito e finalizzato, anche se da noi non conosciuto ma potenzialmente conoscibile. Anche le visioni catastrofiste sono in un certo senso rassicuranti. Tutti abbiamo provato che l’ansia per l’attesa di una brutta notizia è peggiore della notizia. Anche la scienza moderna assolve a questo ruolo rassicurante, per chi non la conosce, per chi crede al “scientificamente dimostrato”. Il problema è che i rimedi sovente risultano peggiori del male. Non è così per il nostro rito. Il Tempio è una spazio ordinato, il rito annulla il tempo, tutti sanno perfettamente cosa sta accadendo e cosa accadrà successivamente. Ecco perché gli imprevisti ci danno tanto fastidio, perché invece i Lavori ben fatti ed ordinati hanno quella strana capacità di produrre effetti che chiamiamo sottili. Sono un’ottima boccata di ossigeno che ci fa bene per un po’. Non può però essere la soluzione, è solo un grosso aiuto. Il punto è accettare la vita e la realtà per quello che sono ed esserne meno coinvolti. Per tentare di riuscirci è indispensabile riuscire prima a guardare la realtà per quello che è, non per quello che vorremmo (forse ho già detto qualcosa di simile). Il divenire è una realtà che non possiamo variare, possiamo però costruirci delle società che consentano un maggior o minor tasso di variabilità o immobilismo. Rifiuto l’ipotesi di soluzione rappresentata dall’immobilismo perché innaturale e quindi impossibile. L’unica soluzione perseguibile è cambiare in proporzione a quanto siamo capaci. Comunque dipende sempre e soltanto da noi essere meno coinvolti e un po’ più distaccati dai metalli. Chi ha studiato seriamente gli anelli delle sequoie pietrificate e i carotaggi dei ghiacciai millenari dei poli, ha trovato una sola regolarità: le stagioni sono sempre cambiate e sempre in modo diverso. La soluzione più immediata e diffusa all’angoscia di vivere e alla mancanza di punti di riferimento che sembrino assoluti, è la fede. La fede funziona benissimo ma ha un prezzo che per qualcuno può essere, o sembrare, salato, ma questa è una questione personale e molto soggettiva, in generale, non la si può avere come un’automobile o qualsiasi altro oggetto. C’è o non c’è. Essa, la

fede, funziona bene quando è molto diffusa ed unanimemente condivisa; le anomalie disturbano e sono mal tollerate. È forse per questo che gli eretici non hanno quasi mai goduto di buona fortuna. La generale condivisione dei valori è rassicurante, è la prova provata che sono giusti. Senza il supporto offerto dalla comunità dei credenti, la fede individuale rischia di vacillare alla minima difficoltà e di lasciarci in crisi da un momento all’altro e proprio nei momenti più difficili quando più ne avremmo bisogno. In questo senso è giusto dire che ci si salva tutti assieme e non individualmente. Oggi, nel nostro mondo, crediamo soprattutto nei medici e negli ospedali, poi negli assicuratori, che ci promettono di pagarci buoni medici; la fede, quella seria, segue staccata di molte lunghezze. Concludendo voglio dirvi che non sono pessimista come potrebbe sembrare, il pensiero in vero non offre grandi soluzioni, l’unica che trovo credibile, il distacco dai metalli, è in realtà molto difficile, con risultati reali molto contenuti, almeno per me. Per fortuna, però, la vita è prevalentemente irrazionale ed offre un’infinità di occasioni per essere sereni, soddisfatti, contenti di vivere. Soprattutto offre tante opportunità per non pensare, per distrarsi. I bambini quando giocano non pensano ma si divertono. Sono i vecchi che pensano troppo e non riescono più a divertirsi. Ci sono sempre ottimi giocattoli: la musica, il vino, l’amore, la poesia, lo sport, l’amicizia, per qualcuno perfino i francobolli. Dipende da noi saper amare la vita in mille piccoli modi e qualunque tempo faccia. Con un triplice fraterno abbraccio. A∴G∴D∴G∴A∴D∴U∴

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