relazione di cavour sui colloqui di plombières
E
veniamo al terzo colpo di genio di Cavour: Plombières. A Plombières si tenne
un riservatissimo incontro tra Cavour e Napoleone III promosso da
quest’ultimo. “L’imperatore, appena fui introdotto nel suo gabinetto –
scriveva Cavour il 24 luglio 1858 a Vittorio Emanuele, facendo una relazione
in francese sull’incontro avuto con Napoleone III – abbordò la questione che
è la causa del mio viaggio. Cominciò dicendo di essere deciso ad appoggiare
con tutte le sue forze la Sardegna in una guerra contro l’Austria, purché la
guerra fosse intrapresa per una causa non rivoluzionaria, che potesse essere
giustificata agli occhi della diplomazia e, più ancora, dell’opinione
pubblica in Francia ed in Europa. Poiché la ricerca di questa causa
presentava la difficoltà principale, ho proposto dapprima di far valere le
lagnanze cui dà luogo la poco fedele esecuzione da parte dell’Austria del suo
trattato di commercio con noi. A ciò l’imperatore ha risposto che una
questione commerciale di mediocre importanza non poteva provocare una grande
guerra destinata a mutare la carta dell’Europa. Proposi allora di mettere
nuovamente innanzi le ragioni che, al congresso di Parigi, ci avevano deciso
a protestare contro la illegittima estensione della potenza austriaca in
Italia; vale a dire il trattato del 1847 fra l’Austria e i duchi di Parma e
di Modena, l’occupazione protratta della Romagna e delle Legazioni, le nuove
fortificazioni innalzate intorno a Piacenza. L’imperatore non gradì questa
proposta. Egli osservò che poiché le lagnanze da noi fatte valere nel 1856,
non erano state giudicate sufficienti a indurre la Francia e l’Inghilterra a
intervenire in nostro favore, non si comprenderebbe come ora esse potrebbero
giustificare una chiamata alle armi. D’altra parte, aggiunse l’imperatore,
finché le mie truppe sono a Roma, non ho molto il diritto di esigere che
l’Austria ritiri le sue da Ancona e Bologna. L’obiezione era giusta. La mia
posizione – continua la relazione di Cavour a Vittorio Emanuele – diventava
imbarazzante, poiché non avevo più da proporre nulla di ben definito.
L’imperatore venne in mio aiuto e ci mettemmo insieme ad esaminare tutti gli
Stati d’Italia, per cercarvi questa causa di guerra così difficile da
trovare. Dopo aver viaggiato senza successo in tutta la penisola, arrivammo,
quasi senza accorgercene, a Massa e Carrara, e là scoprimmo quel che
cercavamo con tanto ardore. [Cavour descrive così il cinico comportamento suo
e di Napoleone III]. Dopo aver fatto all’imperatore una descrizione esatta di
questo sventurato paese, di cui egli, del resto, aveva già un’idea abbastanza
precisa, convenimmo di provocare un appello degli abitanti a Vostra Maestà
per chiedere la sua protezione nonché per reclamare l’annessione di questi
ducati alla Sardegna. Vostra Maestà non accetterebbe l’offerta, ma, prendendo
le parti di queste popolazioni oppresse, rivolgerebbe al duca di Modena, una
nota altera e minacciosa. Il duca, forte dell’appoggio dell’Austria,
risponderebbe in modo impertinente. Dopo questo, Vostra Maestà farebbe
occupare Massa e la guerra comincerebbe. Essendo il duca di Modena la causa della
guerra – continua Cavour nella relazione – l’imperatore pensa che essa
sarebbe popolare non soltanto in Francia, ma parimenti in Inghilterra e nel
resto d’Europa, dato che questo principe, a torto o a ragione, è considerato
come il capro espiatorio del dispotismo. D’altra parte, non avendo il duca di
Modena riconosciuto alcuno dei sovrani che hanno regnato in Francia dal 1830,
l’imperatore ha meno riguardi da usare verso di lui che verso qualsiasi altro
principe. Risolta questa prima questione, l’imperatore mi disse: “Prima
di andare avanti, bisogna pensare a due gravi difficoltà che incontreremo in
Italia: il papa ed il re di Napoli. Io devo usare loro dei riguardi: al
primo, per non sollevare contro di me i cattolici francesi; al secondo per
conservarci le simpatie della Russia, che mette una sorta di punto di onore
nel proteggere il re Ferdinando”. Risposi all’imperatore che, quanto al
papa, gli era facile conservargli il tranquillo possesso di Roma per mezzo
della guarnigione francese ivi stanziata, purché lasciasse insorgere le
Romagne; e che, non avendo il papa voluto seguire i consigli datigli
dall’imperatore al riguardo, non poteva lagnarsi che queste contrade
profittassero della prima occasione favorevole, per liberarsi di un
detestabile sistema di governo che la corte di Roma si era ostinata a non
riformare. Quanto al re di Napoli, non bisognava occuparsi di lui, a meno che
non volesse prendere le parti dell’Austria, salvo a lasciar fare i suoi
sudditi se per caso, profittando del momento, volessero sbarazzarsi del suo
paterno dominio. Questa risposta soddisfece l’imperatore, e passammo alla
grande questione: quale sarebbe lo scopo della guerra? L’imperatore ammise
senza difficoltà che bisognava scacciare del tutto gli austriaci dall’Italia,
e non lasciare loro neppure un pollice di terreno di qua dall’Isonzo e delle
Alpi. Ma dopo, come organizzare l’Italia? Dopo lunghe discussioni, di cui
risparmio il resoconto a Vostra Maestà, ci siamo accordati press’a poco sulle
basi seguenti, pur riconoscendole suscettibili di essere modificate dagli
avvenimenti della guerra. La valle del Po, la Romagna e le Legazioni
costituirebbero il Regno dell’Alta Italia sul quale regnerebbe la casa di
Savoia. Il papa conserverebbe Roma e il territorio circostante. Il resto degli
Stati del papa con la Toscana formerebbe il Regno dell’Italia Centrale. La
circoscrizione territoriale del Regno di Napoli non sarebbe toccata. I
quattro Stati italiani formerebbero una confederazione sul modello della
Confederazione germanica, la cui presidenza sarebbe data al papa per
consolarlo della perdita della parte migliore dei suoi Stati. Questa
sistemazione mi sembra del tutto accettabile. Vostra Maestà essendo di
diritto sovrano della metà più ricca e più forte d’Italia, sarebbe di fatto sovrano
di tutta la penisola. Io risposi – continua la relazione di Cavour a
proposito della cessione di Nizza e della Savoia – che Vostra Maestà
professava il principio di nazionalità, e che di conseguenza comprendeva come
la Savoia dovesse essere riunita alla Francia; che Vostra Maestà era dunque
pronta a sacrificare la Savoia, sebbene gli costasse eccessivamente
rinunciare a un paese che era stato la culla della sua famiglia e ad un
popolo che aveva dato ai suoi antenati tante prove di affetto e di devozione.
Quanto a Nizza, la questione era differente, poiché i nizzardi, per la loro
origine, la loro lingua e le loro abitudini erano più vicini al Piemonte che
alla Francia, e di conseguenza la loro annessione all’Impero sarebbe
contraria a quel medesimo principio per il trionfo del quale ci si accingeva
a prendere le armi. A queste parole l’imperatore si accarezzò più volte i
baffi e si accontentò di aggiungere che queste erano per lui questioni del
tutto secondarie, di cui ci si sarebbe stato il tempo di occuparsi più tardi.
Per costringere l’Austria – continuava Cavour, dopo aver relazionato sulle
considerazioni fatte sulla neutralità delle altre grandi potenze – a
rinunciare all’Italia, dunque, due o tre battaglie vinte nelle valli del Po e
del Tagliamento non saranno sufficienti; bisognerà necessariamente penetrare
nel centro dell’Impero e, con la spada sul cuore, cioè a Vienna stessa,
costringerla a firmare la pace sulle basi prima decise. Per raggiungere
questo scopo, sono necessarie forze considerevoli. L’imperatore le valuta ad
almeno 300 mila uomini, ed io credo che abbia ragione. Con 100 mila uomini si
bloccherebbero le piazzeforti del Mincio e dell’Adige e si custodirebbero i
passaggi del Tirolo; 200 mila uomini marcerebbero su Vienna attraverso la Carinzia
e la Stiria. La Francia fornirebbe 200 mila uomini, la Sardegna e le altre
province d’Italia gli altri 100 mila. Il contingente italiano sembrerà forse
debole a Vostra Maestà; ma se Ella riflette che si tratta di forze che
bisogna far combattere, di forze di linea, riconoscerà che, per avere 100
mila uomini disponibili bisogna averne sotto le armi 150 mila. D’accordo
sulla questione militare – il Benso di Cavour chiariva a Vittorio Emanuele il
punto più importante dell’incontro – siamo stati egualmente d’accordo sulla
questione finanziaria che, Vostra Maestà deve saperlo, è quella che preoccupa
specialmente l’imperatore. Egli acconsente tuttavia a fornirci il materiale
da guerra di cui potessimo aver bisogno, e a facilitarci a Parigi il
negoziato per un prestito” (MC).
i danari
Insomma,
da questa relazione, non sappiamo se veritiera o (più probabilmente) scritta
per essere divulgata, possiamo scoprire il vero punto nodale al quale accenna
di sfuggita Cavour: l’aspetto finanziario: i dané, i danari. La guerra
all’Austria andava fatta per consentire al Piemonte, con i nuovi acquisti
territoriali, di poter ripagare l’enorme debito accumulato anche con le sue
guerre precedenti. In pratica i creditori dovevano finanziare ancora una
volta il Piemonte per poter riprendere i vecchi ed i nuovi prestiti.
Dall’altro lato Napoleone III facendosi garante della riuscita della guerra,
guadagnava Nizza e la Savoia, scaricando il costo della guerra sul Piemonte:
tipico caso di usura! Per Cavour non aveva importanza, un debito in più uno
in meno… Il problema era che non basta voler far debiti per farli. Qualcuno
aveva addirittura insinuato che la ragione dell’invio delle truppe in Crimea
non fosse di alta politica estera ma solo di bassa economia interna e cioè
riuscire ad avere un prestito di 50 milioni. Di certo sappiamo che Cavour e
Vittorio Emanuele fecero un viaggio a Parigi ed a Londra dopo la caduta di
Sebastopoli e prima dell’inizio delle trattative di pace di Parigi. Il 20
novembre 1855 i due partirono per Parigi.
gli incontri di cavour e vittorio emanuele a parigi
La
coppia di ospiti italiani ebbe accoglienze molto inferiori al previsto.
Napoleone III e consorte fecero del loro meglio per dare al re di Sardegna
dimostrazioni di simpatia, che valessero a cancellare le impressioni poco
favorevoli dell’arrivo. Cavour e Vittorio Emanuele incontrarono personalità
politiche ed istituzionali, Cavour ebbe la possibilità di avere contatti con
il nunzio pontificio. Ma gli incontri più importanti Cavour li ebbe con
Rothschild e con Isaac Péreire, i due massimi esponenti del mondo finanziario
francese. Péreire gli parve “un homme étonnement habile” “un
uomo straordinariamente abile” dotato di “plus d’esprit que tous
les banquiers de Paris réunis” “più immaginazione di tutti i
banchieri di Parigi”. Con i ministri Magne e Rouher e con i finanzieri
interessati, che, in aggiunta al Laffitte, presidente della società
ferroviaria Vittorio Emanuele, includevano i ricordati Rothschild e Péreire e
altri ancora, preparò l’accordo poi sanzionato il 7 dicembre in vista della
fusione della Vittorio Emanuele con altre iniziative ferroviarie francesi
(R3). Ai soci francesi fu poi concesso, a carico dei successivi sette
esercizi del bilancio statale piemontese, un finanziamento di 21.400.000 lire,
mentre il capitale della Vittorio Emanuele veniva elevato a 100 milioni.
Oltre ai 100 milioni della Vittorio Emanuele, l’economia nazionale avrebbe
beneficiato di un apporto analogo da parte della società che progettava la
costruzione della ferrovia del Varo alla frontiera modenese, e in tal modo
200 milioni, raccolti sui mercati finanziari stranieri, avrebbero fecondato
l’economia del paese; perché, si leggeva nella relazione al progetto di
legge, “non vi è altro mezzo per aumentare le entrate, non solo senza
aggravare i contribuenti, anzi agevolando loro il mezzo di sopperire alle
imposte, che quello di sviluppare tutte le risorse materiali del paese, di
favorire la maggiore libertà del commercio, di accrescere la pubblica e
privata ricchezza, attirando in ogni modo l’impiego di capitali esteri sia
nelle costruzioni di strade ferrate, che nelle coltivazioni di miniere,
creazione di stabilimenti, di manifatture e simili” (R3). Sempre negli
incontri avvenuti a Parigi, Cavour, spinto da Bolmida, presidente della Cassa
di Commercio e corrispondente torinese di Rothschild, concluse con questi un
accordo per la creazione di una grande banca mobiliare e Rothschild si
dichiarava disposto a sostenere una impresa che doveva diventare “une
affaire Italienne”, atta a estendere l’influenza del Piemonte in tutta
la penisola italiana (R3). Si deve aggiungere che tra i due abili personaggi,
Cavour e Rothschild, l’abile era solo quest’ultimo. Infatti Rothschild subito
ebbe esitazioni e perplessità: alcune delle iniziative proposte non parevano
al grande banchiere sufficientemente importanti né sufficientemente
redditizie per ciò si posero gravi problemi per la sottoscrizione
dell’aumento di capitale riservato a Rothschild. Cavour fu costretto a far
collocare il capitale non sottoscritto oltre che sul mercato italiano anche a
Bruxelles, Amsterdam e Ginevra, provocando un sensibile ribasso del titolo
della Cassa di Commercio. Non migliori risultati ebbero altre iniziative
bancarie promosse da Cavour, come quella del Credito Profumo che visse tra
difficoltà e fu sciolto nel 1861 (R3).
il prestito di 40 milioni
Uno dei
risultati del viaggio a Parigi fu la conclusione con Rothschild e con la
Cassa di Commercio e Industria di Torino del prestito di 40 milioni
autorizzato con la legge del 26 giugno 1858. Rothschild e la Cassa avevano
assunto ciascuno metà dell’operazione, ma la Cassa fungeva da intermediaria
con altri istituti torinesi e genovesi, e di fatto l’affare fu accentrato
nelle mani di Rothschild (R3). Questo prestito doveva dare a Cavour una
relativa tranquillità e consentirgli la sua azione diplomatica di
provocazione dell’Austria.
gli incontri di cavour e vittorio emanuele a londra
Durante
il viaggio a Londra, Palmerston molto imprudentemente si lasciò andare con
Cavour ad aspri giudizi e commenti su Napoleone III e il suo entourage di
avventurieri, votato alla pace con la Russia per bassi interessi speculativi
e di borsa (R3). Cavour era interessato ad avvicinarsi a Napoleone proprio
per avvicinarsi al suo entourage per bassi interessi finanziari, perciò
riferì parola per parola il giudizio di Palmerston a Napoleone.
Considerazioni: Tutta la politica del Cavour era improntata alla
provvisorietà, al raggiungere nel breve termine risultati che lo tenessero a
galla e gli consentissero di prendere ancora altri provvedimenti provvisori.
L’immagine che ci richiama Cavour è quella dell’industriale che smette di
dare l’impulso tecnico alla sua impresa e si preoccupa di trasformarla in un
affare finanziario: nel breve termine riuscirà a procurarsi nuovi
finanziamenti e nuovi soci, attirati dalla speculazione. Quando poi il
mercato fa giustizia dell’azienda non più competitiva, c’è il crollo. Per sua
fortuna Cavour morì prima del crollo del Piemonte. Per sfortuna degli
italiani, il crollo del Piemonte avvenne con il Piemonte diventato Italia e
furono costretti, gli italiani, a pagare le cambiali firmate da Cavour.
protesta dell’opposizione parlamentare piemontese
Da
destra si disse spaventosa la situazione finanziaria, si moltiplicarono i
raffronti con la più solida situazione degli Stati conservatori della
penisola, si denunciò il declino della ricchezza nazionale, comprovato dalla
riduzione delle entrate doganali nel 1857, si invocò il ritorno
all’agricoltura ed a una politica più attenta agli interessi del Piemonte e
meno propensa a inseguire i miraggi della politica italiana. Questa la
sintesi del discorso al parlamento del 15 maggio 1858 di Ottavio Thaon conte
di Revel (R3).
il grido di dolore
Ordito,
dunque, il piano di provocazione che avrebbe costretto l’Austria alla guerra,
organizzato il piano finanziario, si doveva dare all’opinione pubblica
nazionale ed internazionale, per quanto possibile, una giustificazione alla
imminente guerra. Fu ancora Napoleone III che dette una mano al Piemonte
inventando il grido di dolore. Fortunatamente [!] abbiamo il diario di
Giuseppe Massari, che visse in prima persona la vicenda del discorso della
Corona che Vittorio Emanuele II avrebbe tenuto inaugurando il nuovo
Parlamento nel 1859.
il diario di massari
25
dicembre 1858 – Uscendo dal teatro mi sono accompagnato con Cesare Berretta,
il quale mi ha raccontato che Rothschild scrive da Parigi: “Tachez de
savoir quelque chose sur le discour de la Couronne”. “Datevi da
fare per saper qualcosa sul discorso della Corona”. [Perché Rothschild
era interessato al discorso della Corona? Perché era interessato alle cose
del Piemonte?].
31
dicembre 1858 – Stamane, prima delle 10, il conte mi chiama al ministero
dell’interno. C’è il generale La Marmora. Il conte Cavour mi dà a leggere il
progetto del discorso della Corona. Il re dice che non potendo parlare con
franchezza, né dire ciò che vorrebbe, preferisce tacere: e non vuol
pronunciare nessuna sorta di discorso. Il conte però spera di superare questa
difficoltà. Ad ogni modo il re ha detto che se deve pronunciare un discorso
vuole sia breve: “La lu fussa curt”. Leggo il discorso: ci faccio
parecchie osservazioni di forma. L’ultimo paragrafo è quello che dà maggior
ragione di pensare. Si combina nei seguenti termini: “L’orizzonte
politico, in mezzo a cui sorge il novo anno, non è pienamente sereno. Ciò non
sarà argomento per voi di intendere con minore alacrità ai vostri lavori
parlamentari. Confortati dalla esperienza del passato, aspettiamo prudenti e
decisi le eventualità dell’avvenire. Qualunque esse sieno, ci trovino forti e
concordi, e costanti nel fermo proposito di compiere, camminando sulle orme
segnate dal mio magnanimo genitore, la grande missione che la Divina
Provvidenza ci ha affidata”. Quel forti e concordi non mi piace, si può
essere concordi con un atto di volontà, ed anche, volendo, si può non essere
forti, val dunque meglio mettere forti per la concordia. Questa osservazione
garba ai due ministri che l’accettano. Il generale La Marmora è commosso
visibilmente e trova che il discorso è molto significante. Il conte Cavour è
commosso, ma calmo e risoluto, come uomo che sa bene quel che si faccia. Mi
chiede in qual guisa credo io che il discorso sarà interpretato dal pubblico.
Gli rispondo che nelle attuali disposizioni degli spiriti la frase
sull’orizzonte non pienamente sereno sarà interpretata in senso molto
bellicoso.
7
gennaio 1859 – Ecco l’opinione di Napoleone III sul discorso del Re: lo
approva in complesso, ma dopo le parole eventualità dell’avvenire scrive di
suo pugno col lapis: “Je trouve cela trop fort, et je préférerais
quelque chose comme dans le genre de ce qui suit”. “Trovo che così
sia troppo forte e preferirei qualcosa di questo genere”. Le parole
seguenti sono scritte da Maquevel: “Cet avenir ne peut être qu’heureux
car…” “Questo avvenire non può che essere felice poiché la nostra
politica è basata sulla giustizia, sull’amore per la libertà della patria e
dell’umanità: sentimenti che trovano eco in tutte le nazioni civili. Se il
Piemonte, piccolo per il suo territorio, conta qualcosa nel consiglio di
Europa, è per la grandezza delle idee che rappresenta e per la simpatia che
ispira. Questa posizione senza dubbio crea dei pericoli ma tuttavia,
rispettando i trattati, non possiamo restare insensibili alle grida di dolore
che ci arrivano da tanti punti dell’Italia. Confidando nella nostra unione e
nel nostro buon diritto come nel giudizio imparziale dei popoli sapremo
attendere con calma e fermezza i giudizi della Provvidenza”. Il conte di
Cavour mi dice: “Vada a chiudersi e mi scriva subito un paragrafo in
questo senso”. Io mi chiudo nel gabinetto degli affari esteri, e
propongo di compilare il paragrafo nel modo seguente: “L’orizzonte in
mezzo a cui sorge il nuovo anno non è pienamente sereno: ciò non di meno voi
vi accingerete con la consueta alacrità a’ vostri lavori parlamentari.
Confortati dalla esperienza del passato, perseveranti nella pratica di una
politica che non misura le sue risoluzioni dall’angustia del territorio, ma bensì
dalla grandezza de’ princìpi di giustizia, di libertà, di patria, su cui essa
riposa, le eventualità dell’avvenire ci trovino prudenti e decisi: le
difficoltà non ci sgomentino. Dobbiamo rispetto ai trattati, ma non possiamo
rimanere insensibili al grido di dolore, che da tante parti d’Italia si leva
verso di noi. Fidenti dunque nel nostro buon diritto, e nel giudizio
imparziale della opinione del mondo civile, forti per la concordia aspettiamo
con tranquilla fermezza i decreti della Provvidenza”. Alle 5 vado a casa
del ministro, e dandogli queste righe gli faccio osservare che esse sono più
forti di quelle che Napoleone III ha voluto mitigare. Il conte è del mio
parere. È chiaro che Napoleone III spinge le cose avanti.
8
gennaio 1859 – Il conte mi dice che iersera il re esaminò la nuova versione,
la approvò con alcune modificazioni. Concordiamo nel dire che questa nuova
versione è sempre più forte della prima. Il conte esclama: “Ora non si
guarda più addietro”. Nella nuova versione è ancora conservata più
letteralmente che nella mia la frase di Napoleone III.
9
gennaio 1859 – Ho veduto due volte il conte Cavour al ministero dell’interno.
È agitato perché iersera e stamane il consiglio de’ ministri ha fatto viva
opposizione alla frase del discorso del re sul grido di dolore. Perfino
Paleocapa è contrario! Il conte Cavour è tacciato di temerità. Il generale La
Marmora è anch’egli fra gli opponenti, e ha detto a me, che si teme l’effetto
di quella frase sulla Borsa di Parigi [perché?]. Il conte ha scritto a Nigra
a Parigi, perché consulti Napoleone III, e risponda per telegramma, prima di
domattina.
10
gennaio 1859 – Data memorabile! Fausto giorno! Il 10 gennaio 1855 fu firmato
il trattato di alleanza con le potenze occidentali: quel trattato a cui
l’Italia deve tutto [si riferisce all’invio delle truppe piemontesi in
Crimea: ecco che inizia la falsificazione della storia e la glorificazione di
Cavour]. Gloria eterna di Cavour. Anche allora La Marmora e Paleocapa si
opponevano! Mancavano allora di senso politico: ne mancano anche oggi. Di
buon mattino sono agli affari esteri. Vittoria! La frase è conservata. Viva
il re, viva Cavour! Il telegramma di Parigi è giunto stanotte; approva e
loda: l’opposizione dei ministri non ha avuto più proteste. Rivedendo le copie
del discorso già stampate, che erano tenute sotto chiave, il conte Cavour ha
esclamato: “Non dubitate, non si torna più addietro”. Che funzione
commovente questa mattina! È riuscita di là delle mie speranze. Il re, Iddio
lo benedica, ha letto il discorso a meraviglia. L’effetto è stato immenso. Io
ero nell’aula, ed ho veduto tutto benissimo.
11
gennaio 1859 – Alle ore 11 ant. veggo il conte Cavour all’Interno: è
preoccupato per la questione finanziaria. Mi dice: “Sarà più facile
trovar danari dopo aver fatta toccare una sconfitta agli austriaci che
prima”. Sir James stamane mi mostra una lettera di John Samuel nella
quale è detto che a Londra “all Jews believe in war” “tutti
gli Ebrei sperano nella guerra” (GM).
E che
il grido di dolore fosse una abile messa in scena, viene comprovato da un
piccolo, trascurato avvenimento. Considerazioni: Notevolissimi spunti di
riflessione critica sulla storia dell’unità italiana si possono trarre dal
racconto del collaboratore del Cavour. Il grido di dolore, innanzi tutto, era
la giustificazione che i politici franco piemontesi davano alla politica
aggressiva nei confronti dell’Austria. Gli interessi in gioco non erano
quelli delle popolazioni che avrebbero gridato il loro dolore ma quelli della
Francia [o di qualche francese?], disposta a lasciare al Piemonte, suo
strumento, parte del bottino di guerra. Su tutto questo, meglio, sotto tutto
questo, si avverte la presenza di un potere più solido e forte del potere
politico e militare. Il Massari ci riferisce la preoccupazione del La Marmora
nel momento cruciale della vicenda “si teme l’effetto di quella frase
sulla Borsa di Parigi”; ci riferisce la preoccupazione del Cavour
“nel trovar danari”; ci riferisce che “tutti gli ebrei sperano
nella guerra”. Non aveva, allora, alcuna importanza stabilire le ragioni
delle popolazioni che avrebbero gridato di dolore; non si fa menzione delle
cause di quel grido, né si dice quali popolazioni delle tante italiane
avrebbero gridato di dolore. A Plombières Napoleone III e Cavour avevano per
ore cercato una ragione di guerra contro l’Austria. Avevano teso l’orecchio
ma non avevano sentito alcun grido di dolore. Avevano deciso allora di
provocare il grido. Rileggiamo uno dei punti nodali della relazione di Cavour
a Vittorio Emanuele sul colloquio con Napoleone. “L’imperatore venne in
mio aiuto e ci mettemmo insieme ad esaminare tutti gli Stati d’Italia, per
cercarvi questa causa di guerra così difficile da trovare. Dopo aver
viaggiato senza successo in tutta la penisola arrivammo quasi senza accorgercene
a Massa e Carrara, e là scoprimmo quel che cercavamo con tanto
ardore…”. Insomma, per trovare qualcuno che gridasse bisognava
provocarlo! Alla base di quegli accordi c’era, però, che la Francia non
poteva assolutamente apparire all’opinione pubblica ed alla diplomazia
europea come aggressore dell’Austria: erano troppo recenti le gesta del primo
Napoleone. Ed allora l’Europa assisté alla indegna ed ignobile campagna di
provocazione messa in atto dai Carignano contro l’Austria, per costringerla alla
guerra, provocando, in questo modo, la discesa in campo dell’esercito
francese.
cavour provoca l’austria
Bisognava
lavorare a “punture di spillo”, “provocare fatti più
gravi”, “qualche imprudenza”, “qualche
improntitudine”, che mettesse “l’irascibile e violento”
imperatore Francesco Giuseppe, diplomaticamente dal lato del torto (MC).
Considerazioni: Ma neanche in questo quarto caso (su quattro!) possiamo
accreditare al Cavour alcun merito (merito dal punto di vista cavouriano e
piemontese) nell’aver perseguito e raggiunto l’obiettivo. Infatti la guerra
tanto agognata e preparata da Napoleone III e Cavour, nei giorni
immediatamente precedenti al suo scoppio, sembrava, anzi era, definitivamente
svanita.
alleanza segreta tra francia e piemonte
Il 17
gennaio 1859, il principe Napoleone giungeva a Torino per siglare con
Vittorio Emanuele II un progetto segreto di alleanza tra la Francia ed il
Regno di Sardegna. Il trattato prevedeva l’impegno della Francia ad aiutare
il Piemonte nel caso che fosse attaccato dall’Austria; la costituzione alla
fine della guerra di un regno dell’Alta Italia, con possibilità di annettere
i territori delle Legazioni; la cessione alla Francia della Savoia (la sorte
della contea di Nizza era rinviata ad una successiva occasione). Al trattato
erano annesse due convenzioni, una militare e una finanziaria. La prima
stabiliva che le forze alleate da impegnare in Italia sarebbero state di
circa 300 mila uomini, 200 mila francesi e 100 mila sardi; che il comando
supremo sarebbe spettato all’imperatore. La seconda stabiliva che le spese di
guerra sarebbero state rimborsate alla Francia dal regno dell’Alta Italia per
mezzo di annualità corrispondenti a un decimo delle entrate annue del regno
stesso (GS).
la guerra svanisce
Nel
febbraio del 1859 la situazione era questa: il ministro degli esteri
francese, Walewski, era contrario alla guerra; il ministro degli esteri
inglese, Malmesbury si era persuaso che l’Inghilterra doveva in ogni modo
adoperarsi ad evitare la catastrofe che “two or three unprincipled
men” “due o tre uomini senza principio” minacciavano
all’umanità intera “for their personal profit” “per il loro
personale tornaconto”. Ai suoi occhi null’altro muoveva Napoleone III,
incalzato dalla paura fisica di nuovi attentati alla sua persona da parte di
italiani, e null’altro muoveva Cavour, “a desperate adventurer”
“disperato avventuriero”, pronto a tutto per uscire dalla
disastrosa situazione in cui il suo governo si trovava, a causa delle
difficoltà finanziarie (R3). Lo stesso Napoleone sembrava indeciso ed
appariva indecifrabile il suo pensiero. Nel frattempo la situazione di Cavour
si faceva insostenibile di fronte all’opinione pubblica piemontese e
italiana, che aveva puntato sul fatto che Cavour sarebbe riuscito a
costringere l’Austria alla guerra. In questo scenario, il 18 marzo, si inserì
la proposta russa di un congresso delle cinque grandi potenze sulla questione
italiana. Probabilmente la proposta era stata ispirata da Napoleone che non
voleva apparire infedele agli accordi presi con il Piemonte, ma di questo
mancano le prove. In ogni caso Napoleone aggiungeva, nell’informare Nigra
della proposta russa, di essere favorevole perché sperava di ottenere
vantaggi per l’Italia: ma questo non era importante per Cavour che, se non
scoppiavano le ostilità, avrebbe dovuto dare le dimissioni, avendo puntato
tutta la sua credibilità sulla guerra. Vittorio Emanuele, convinto ormai del
fallimento del piano di Cavour, lo attaccò addebitandogli di averlo costretto
a fare merce di scambio di sua figlia quindicenne, Clotilde, per ottenere
l’adesione di Napoleone alla guerra contro l’Austria (R3). Cavour corse a
Parigi e minacciò Napoleone III di rifugiarsi in America e di pubblicare la
propria versione dei fatti, con i documenti in suo possesso [ovviamente la
censura carignanesca ha ben nascosti, o distrutti, questi documenti].
Scrivendo all’imperatore, Cavour affermava che “nous sommes perdus sans
retour”, che il re sarebbe stato costretto ad abdicare, che i ministri,
a cominciare da lui, sarebbero diventati oggetto della pubblica esecrazione,
che su di lui ricadeva la responsabilità “des désastres qui menacent mon
Roi et ma patrie” “dei disastri che minacciano il mio re e la mia
patria”. A Parigi Cavour incontrò il principe Napoleone (il marito di
Clotilde), lord Cowley, con il quale ebbe un incontro piuttosto brusco,
l’ambasciatore di Prussia Pourtalés, Szarvady emissario del capo della
rivolta ungherese Kossuth, ed infine, non si capisce perché, Rothschild.
Cavour quando il 30 marzo lasciò la capitale francese aveva “la
disperazione nell’anima” “le désespoir dan l’âme” (R3).
la pace
Nelle
innumerevoli trattative tra le potenze che dovevano partecipare al congresso,
si fece strada una proposta inglese di disarmo generale, che fu accettata
dall’Austria e che non poteva non essere accettata dal Piemonte, se non
facendo apparire chiaro che il suo scopo era far scoppiare la guerra, non
evitarla. Alla lettura dei due telegrammi provenienti da Parigi che
comunicavano che la Francia aveva “consenti à ce que l’exécution du
désarmement au lieu d’être régléé à l’ouverture du Congrès, soit régléé à
Londres avant l’ouverture” “acconsentito a che l’esecuzione del
disarmo, invece di essere regolato all’apertura del Congresso, dovesse essere
regolato a Londra prima dell’apertura”, Cavour esclamò: “Il ne me
reste plus maintenant, qu’à me donner un coup de pistolet et à me faire
sauter la tête” “Ora non mi resta altro che darmi un colpo di
pistola e di farmi saltare la testa” (R3). Il consiglio dei ministri,
convocato da Cavour il 19 aprile 1859 per dare risposta alla proposta di
pace, durante il quale Cavour fu messo sotto accusa da tutti i suoi colleghi,
verbalizzava: “In seguito ai dispacci giunti stanotte, dai quali risulta
che la Francia stessa ha accettato la base del disarmo generale, che debba
precedere il Congresso, salvo a prendere i concerti per l’esecuzione, e salvo
ad instare per l’ammissione del Piemonte al Congresso sulle basi del
Congresso di Laybac, si delibera…”. Il verbale prosegue con il testo della
risposta da dare che ritroviamo nel telegramma inviato a Parigi con
l’accettazione della proposta inglese di disarmo che scongiurava la guerra:
“Puisque la France s’unit à l’Angleterre pour demander au Piémont le
désarmement préalable, le Gouvernement du Roi, tout en prévoyant que cette
mesure peut avoir des conséquences fâcheuses pour la tranquillité de
l’Italie, declare être disposé à le subir” “Dal momento che la
Francia si è unita alla Inghilterra per chiedere al Piemonte il disarmo
preliminare, il governo del re, pur prevedendo che questo provvedimento può
avere delle incresciose conseguenze, dichiara, per la tranquillità
dell’Italia, di essere disposto a subirlo” (R3).
decisione di suicidio di cavour
A
questo punto la vicenda era chiusa: la guerra non ci sarebbe stata. E con la
pace si sarebbe verificata la rovina politica, finanziaria e forse dinastica
del Piemonte. Cavour il 17 aprile aveva scritto al nipote Ainardo una lettera
piena di amarezza e di scoramento nella quale si preannunciava il suo suicidio.
La lettera fu però spedita il 19 quando Cavour ebbe la certezza che la guerra
non sarebbe scoppiata. Evidentemente Cavour sapeva che le cose si mettevano
male e quindi aspettava la notizia dell’imposizione della pace, da parte
delle grandi potenze, per suicidarsi. “Mon cher ami, grâce à un concours
de circostances malheureuses et à la perfidie de l’Empereur, notre pays se
trouve placé dans une position excessivement difficile et des plus fâcheuses.
Je ne puis me dissimuler que la responsabilité de ces tristes événements ne
retombe entièrement sur ma tête. Je dois par conséquent prévoir un avenir
plein de vicissitudes et de danger. Mon devoir est de prendre mes
dispositions en conséquence, et de puorvoir à des certains engagements qui ne
sont pas moins sacrés pour ne pas être de nature à être publiés sans
inconvenients. Dans ce but je dois faire mon testament. Mon intention a
toujours été de t’instituer purement et simplement mon héreditier universel,
en confiant à ta délicatesse et à ton affection pour moi l’exécution
ponctuelle des engagements dont je t’ai parlé plus haut. Je ne doute
nullement de toi, toutefois une assurance formelle de te conformer à ce que
je prierai faire par une lettre que Tosco te remettrait en cas de mort,
adoucirait l’amertume de ma position. J’espérais te lénguer un nom illustre
et béni par les Italiens. Au lieu probablement ton nom sera associé aux
malheurs de notre pays. Je t’embrasse” (R3). “Mio caro amico, per
colpa di un concorso di circostanze sfortunate e della perfidia dell’imperatore,
il nostro paese si ritrova in una posizione difficilissima e spiacevolissima.
Non posso nascondermi che la responsabilità di questi tristi avvenimenti
ricade interamente sulla mia testa. Devo perciò prevedere un avvenire pieno
di vicissitudini e pericoli. In conseguenza devo prendere le mie disposizioni
e provvedere ad alcuni affari importanti che non possono diventare pubblici
senza inconvenienti. Perciò io devo fare il mio testamento. La mia intenzione
è sempre stata di nominarti mio erede universale, confidando nella tua
sensibilità e nel tuo affetto per me per l’esecuzione puntuale degli impegni
dei quali ti ho parlato. Non ho alcun dubbio su di te, tuttavia una formale
assicurazione di conformarti a quanto ti pregherò di fare nella lettera che
Tosco ti farà avere in caso di morte, addolcirà l’amarezza della mia
situazione. Io speravo di lasciarti un nome illustre e benedetto dagli
italiani. Invece probabilmente il tuo nome sarà associato alle disgrazie del
nostro paese. Ti abbraccio” (DB).
cavour brucia documenti
Chiusosi
nello studio del suo appartamento ordinò che nessuno entrasse e si diede a
bruciare e lacerare carte e documenti. Nell’abitazione si diffuse l’allarme e
gli amici, Minghetti, Rodolfo Audinot e Farini sollecitarono Castelli,
l’amico più vecchio e fedele fra tutti, ad intervenire. “Entrato nella
camera – narra Castelli – lo trovai circondato da mucchi di carte che aveva
lacerato e nel caminetto bruciavano molte altre. Mi guardò fisso e non
parlava. Allora io con tutta calma dissi: “So che nessuno deve entrare
qui; ma per ciò stesso io ci sono venuto” e, facendomi forza, soggiunsi:
“Devo credere che il conte di Cavour voglia disertare il campo prima
della battaglia, voglia abbandonarci tutti?!”. Cavour si alzò, mi
abbracciò convulsivamente e dopo aver girato quasi fuor di sé per la camera,
fermandosi davanti a me, pronunziò lentamente queste parole: “Stia
tranquillo, affronteremo tutto, e sempre tutti insieme””. [Come
sono brave le mosche cocchiere! Chissà se avrebbe scritto questo il Castelli,
se le cose fossero andate altrimenti!]. La sera stessa Cavour scriveva a
Giacinto Coiro: “Salveremo le vacche ma perderemo la causa italiana.
L’imperatore è stato ingannato o è traditore. Credo che potrò fra breve
abbandonare il ministero che aborro per andare a stabilirmi a Leri in modo
definitivo” (R3). Considerazioni: 1- perdita documenti suicidio guerra;
2 – perdita documenti suicidio non guerra; 3 – perdita documenti non suicidio
guerra; 4 – perdita documenti non suicidio non guerra; 5 – non perdita
documenti suicidio guerra; 6 – non perdita documenti suicidio non guerra; 7 –
non perdita documenti non suicidio guerra; 8 non perdita documenti non
suicidio non guerra. Otto erano le possibilità. Se almeno una volta Cavour
nella sua vita avesse raggiunto l’obiettivo prefisso, si sarebbe verificata
la possibilità numero sei… e l’unità d’Italia si sarebbe realizzata in altro
modo, sicuramente migliore! Invece… si è verificata la possibilità numero
tre: abbiamo perso i documenti che avremmo voluto tanto conoscere, Cavour non
morì e, con lo scoppio della guerra tra la Francia e l’Austria, si determinò
il successivo assetto dell’Italia.
fortuna di cavour o altro?
Se a
questo punto, il 19 aprile, l’Austria, in modo inconsulto e misterioso, non avesse
inviato un ultimatum al Piemonte, senza consultare nessuna altra potenza,
dando l’opportunità al Piemonte di far scoppiare la guerra respingendo
l’ultimatum, oggi noi dovremmo ragionare in tutt’altro modo e l’ultimo dei
nostri pensieri e delle nostre preoccupazioni sarebbe quello di interessarci
di un piccolo personaggio di un piccolo Stato provinciale che aveva tentato
la grande fortuna alla roulette. Ma la storia non si fa con i se ed i ma ed
oggi siamo qui a riportare almeno alla realtà il personaggio Cavour. Di certo
noi sappiamo che tra il 17 aprile, giorno in cui aveva scritto la lettera al
nipote con l’intenzione di suicidarsi, ed il 19, quando l’Austria decise di
inviare l’ultimatum al Piemonte, Cavour non svolse alcuna azione diplomatica
per recuperare la situazione a suo vantaggio. C’è da chiedersi, allora,
perché gli storici ufficiali ancora oggi sostengano che Cavour sia stato
abile e gran tessitore.
quale è la verità sullo scoppio della guerra?
In ogni
caso non è stata ancora scritta la verità, o non convince la verità
ufficiale, sul perché una potenza di prima grandezza come l’Austria si sia
andata a pregiudicare, invischiandosi in una guerra con un piccolo paese,
nella quale non aveva nulla da guadagnare. Non aveva da guadagnare territori perché
era impensabile che la Francia accettasse la scomparsa dello Stato cuscinetto
rappresentato dal Piemonte. Non aveva da guadagnare risarcimenti in danaro
per il precario stato delle finanze piemontesi. In quel momento, inoltre,
l’Austria era alle prese con una sua gravissima crisi finanziaria e con la
rivolta dell’Ungheria. Per ciò l’esborso di una cifra considerevolissima per
una campagna militare e l’apertura di un secondo fronte di guerra non
potevano essere di alcun suo interesse. Né regge la debole spiegazione
dell’orgoglio e del falso senso dell’onore di Francesco Giuseppe che gli
avrebbe impedito di tollerare più oltre le provocazioni e gli attentati ai
suoi legittimi diritti perpetrati da ormai troppo tempo da Napoleone III e
dai suoi complici. Né, infine, regge la spiegazione di Massimo d’Azeglio:
“La sommation (l’intimazione) dell’Austria proprio al momento che la
nostra condotta ci faceva diventare i beniamini dell’Inghilterra, è stato uno
di quei terni al lotto che accadono una volta in un secolo”. Lungi da me
l’azzardare spiegazioni che non risultano da alcun documento né da alcuna
testimonianza; nulla mi impedisce, però, dal dichiararmi insoddisfatto di
tutte le spiegazioni su quel folle gesto austriaco che ci ha regalato la
falsa figura cavouriana di pater patriae. Chi aveva dato illusione
all’Austria di un conflitto più generalizzato che avrebbe visto tutti i
tedeschi contro i francesi? Chi impedì alla Prussia l’entrata in guerra e
come? Non dimentichiamo che dieci anni dopo la Prussia mise fine all’impero
francese, con la battaglia di Sedan. E se la verità stesse tra le carte
distrutte dal Cavour o tra quelle ancora nascoste? Oppure nello strano
comportamento di Napoleone nel bel mezzo della guerra?
concausa oppure causa della guerra del 1859?
Come
abbiamo visto, alla notizia dell’inizio delle trattative di pace, Cavour
corse a Parigi per incontrare Napoleone. Cavour minacciò Napoleone di
pubblicare i documenti in suo possesso che, evidentemente, avrebbero messo in
imbarazzo l’imperatore. Ma non sappiamo se effettivamente Cavour avesse anche
minacciato Napoleone di farlo assassinare. Persone vicine a Napoleone erano
persuase che, nel far decidere l’imperatore ad aiutare Cavour a cacciare gli
austriaci dall’Italia, avesse una parte importante la sua paura quasi
paralizzante di venire assassinato da qualche rivoluzionario italiano (MZ).
guerra del 1859
Come
sappiamo la storia non andò esattamente come Napoleone III e Cavour avevano
stabilito a Plombières. Napoleone nel bel mezzo della guerra all’Austria si
fermò. Invece di marciare su Vienna, firmò l’armistizio di Villafranca con
l’imperatore d’Austria, senza consultare né Cavour né Vittorio Emanuele. Ai
piemontesi non rimase altro che accettare la situazione, non prima, però, di
rinegoziare con Napoleone III il costo della guerra. Napoleone, che non era
stato ai patti, poiché si era accordato direttamente con l’Austria, invece di
addebitare l’intero costo della guerra, circa 360 milioni, chiese al Piemonte
di pagare solo 60 milioni. I documenti non chiariscono fino in fondo lo
strano comportamento di Napoleone III. È indubbio che delle forti,
fortissime, pressioni esterne fermarono Napoleone, che credeva di avere
Francesco Giuseppe in pugno, e obbligarono l’imperatore austriaco ad
accettare le trattative di pace con le forze militari ancora integre. Tra
queste pressioni, ci furono quelle di natura politica e militare da parte
della Prussia, dell’Inghilterra e della Russia. Ma non furono le sole e le
principali; bisogna tenere conto, dal punto di vista austriaco, anche della
rivolta ungherese, delle divisioni tra i militari, tra i politici e tra i
diplomatici, della situazione economica e finanziaria e, principalmente,
degli interessi a questa legati.
colloquio tra napoleone III e francesco giuseppe
A
Villafranca, l’otto luglio 1859, i due imperatori si erano chiusi da soli,
senza consiglieri e interpreti, in una stanza a pianterreno dove avevano
parlato per un’ora circa, in apparenza senza accorgersi dei giornalisti che
sbirciavano dalle finestre. Stavano seduti a tavolino fumando sigarette e
parlando speditamente in francese o in tedesco. Non avevano cartine spiegate
davanti. Di tanto in tanto prendevano qualche appunto su un foglio di carta.
Un giornalista dichiarò di aver visto Napoleone III gualcire nervosamente dei
fiori, e di certo era meno a proprio agio di Francesco Giuseppe (PA).
Considerazioni: Da notare i giornalisti: qualcuno doveva ricevere
testimonianza del fatto che Napoleone aveva parlato con Francesco Giuseppe.
Qualcuno sapeva cosa avrebbe detto Napoleone a Francesco Giuseppe. Cosa gli
disse?
una piccola importante traccia di storia non scritta
Abbiamo
già visto l’episodio durante il quale Cavour, in occasione dell’armistizio di
Villafranca, “sembrava quasi uscito di senno”. Della crisi di
isteria del conte di Cavour ci ha lasciato una testimonianza il generale
Della Rocca, firmatario dell’armistizio di Villafranca: “In sul più
bello, mentre il Cavour esalava il suo cattivo umore contro il re, contro di
me, contro tutti, piombò tra di noi il principe Gerolamo Buonaparte.
Incontrato il Bixio, stato fin allora un suo amico, gli fece il viso
dell’arme e non lo salutò” (MC).
alessandro bixio
Alessandro
Bixio (fratello del più conosciuto Nino), era emigrato da giovane in Francia
ed era diventato cittadino francese. Era un uomo d’affari legato ai banchieri
ebrei Rothschild e Péreire. Ma, cosa faceva lì Alessandro Bixio? E perché il
principe Napoleone gli fece una brutta faccia (il viso dell’arme)? Per darci
una spiegazione alla prima domanda torniamo indietro al 1852 quando si
determinò nel parlamento piemontese una maggioranza che faceva prevedere la
caduta del ministero d’Azeglio. Cavour, che sapeva di dover succedere al
d’Azeglio, decise di “sottrarsi al logorio politico e psicologico dell’attesa”
con un viaggio all’estero. Ma la ragione del viaggio era un’altra. Sia a
Londra che a Parigi incontrò tutti quei personaggi che ritroveremo nella
storia dell’unità d’Italia. A Parigi Cavour non poté non respirare
l’atmosfera di ritrovata fiducia originatasi nei ceti imprenditoriali e
capitalistici, dopo il colpo di stato di Napoleone III. “I capitali
sorgono da tutte le parti. La prosperità finanziaria è immensa” scriveva
Cavour. Ed a Parigi, tra gli altri, incontrò Alessandro Bixio che fece da
tramite tra Cavour e gli ambienti bancari ebraici. In quei colloqui nacquero
tutte le iniziative industriali, in particolare ferroviarie, come la Vittorio
Emanuele, bancarie e finanziarie che caratterizzeranno i successivi sette
anni del ministero Cavour, fino alla guerra con l’Austria (R2). Circa il viso
dell’arme fatto da Gerolamo Bonaparte ad Alessandro Bixio possiamo pensare
che la sua presenza significava la sospensione della guerra, sospensione che
il principe Gerolamo non condivideva: insomma gli interessi rappresentati dal
Bixio vinsero su quelli militari e dinastici dei napoleonidi! Ecco alla
conclusione dei progetti discussi a Parigi nel 1852 il controllore: la
presenza di Alessandro Bixio. Gli effetti della sua presenza si videro
subito.
strano provvedimento di francesco giuseppe
La
situazione finanziaria dell’impero austriaco, prima e durante la guerra con
il Piemonte, dava origine alle più serie preoccupazioni. Il riflusso
dall’estero di titoli austriaci, in corso dai primi del 1859, aveva
accentuato il drenaggio delle risorse valutarie della Nationalbank che aveva
dovuto sospendere i pagamenti in contanti, mentre l’aggio sull’argento saliva
in maggio al 40 per cento e il corso dei titoli di Stato austriaci crollava a
Francoforte da 81 fiorini in gennaio a 38 in aprile. Tutta l’economia del
paese veniva dunque investita da gravi tensioni inflazionistiche, mentre la
capacità di importazione risultava drasticamente ridotta, ed il ministro
delle finanze Bruck doveva mettere mano alle riserve metalliche della
Nationalbank, con grave danno del credito al paese, per procurare
all’esercito le forniture necessarie. Già per queste ragioni era chiaro che
lo sforzo bellico non avrebbe potuto protrarsi più a lungo (R3). Quattro
giorni dopo l’armistizio [!], il 15 luglio 1859, durante il primo consiglio
dei ministri dopo la sconfitta militare, l’imperatore Francesco Giuseppe
rendeva pubblico il famoso Manifesto di Laxenburg col quale si affrettava a
promettere alla borghesia un sostanziale mutamento di rotta. “Le benedizioni
della pace – affermava l’imperatore austriaco – sono doppiamente preziose
perché mi procureranno l’agio necessario per consacrare tutta la mia
attenzione e le mie cure, non più turbate da nulla, al felice adempimento del
compito che mi sono prefisso”. Di lì a poco il Regolamento industriale
austriaco abrogava il regime delle corporazioni, introduceva la libertà del
lavoro, dava l’avvio alla prima rivoluzione industriale dell’Austria. Gli
ebrei di Vienna ed i protestanti di Germania ringraziarono (MC). Quattro
giorni dopo la battaglia di Solferino, la borsa austriaca ebbe un rialzo!
(R3). In novembre l’imperatore Francesco Giuseppe approvò la proposta di
abolire molte restrizioni residue imposte alle comunità ebraiche dell’impero.
Istituì, prima della fine dell’anno il Comitato per il debito di Stato, con
il compito di esaminare la struttura finanziaria dell’impero, poiché
concordava con il ministro delle finanze Bruck sulla necessità di rassicurare
gli investitori stranieri (PA). Considerazioni: Insomma, vendendo e
ricomprando i titoli del debito pubblico austriaco, la grande finanza
internazionale faceva la guerra e la pace! Per amore o per forza i grandi
mercati si dovevano aprire ai grandi capitali. Che questo fosse il principale
scopo nella guerra fatta da Napoleone (o fatta fare a Napoleone) all’Austria,
è dimostrato dall’armistizio di Villafranca, senza giustificazioni militari
da parte della Francia e dal manifesto di Laxenburg. Il resto è storia a
contorno, appare come la storia della mancia rilasciata ai servitori.
cavour diplomatico
Dopo la
battaglia di Solferino, la diplomazia internazionale si attivò per arrivare
ad una sistemazione della situazione italiana, possibilmente senza la
prosecuzione della guerra. Anche Cavour si attivò per volgere a suo favore
gli avvenimenti e, per ottenere questo, ebbe contatti con tutti i gabinetti
europei. In particolare, nel tentativo di combattere l’ostilità dell’opinione
pubblica germanica, aveva anche inviato, dietro suggerimenti russi e
francesi, una nota al presidente di turno della Dieta di Francoforte, il
prussiano Usedom, mettendo in rilievo la solidarietà degli interessi
piemontesi e germanici: ma il documento dovette essere ritirato per consiglio
dello stesso destinatario, il quale avvertì che l’insistenza sul disegno di
cacciare l’Austria di là dalle Alpi avrebbe invece rinsaldato la solidarietà
dei minori Stati tedeschi col governo di Vienna. Usedom dava questo giudizio
molto negativo sul documento cavouriano: “Eine taktlosere,
unpolitischere Fassung dieses Aktenstückes konnte unter den obwaltenden
Umständen nicht gedacht werden” “Questa nota, indelicata e
impolitica, nelle presenti circostanze, appare improvvisata”. Sembra che
Cavour abbia riferito, falsamente, di suggerimenti russi e francesi per
“giustificare il suo passo errato” (R3).
altra ragione dell’armistizio di villafranca
Napoleone,
tra le ragioni che lo indussero a firmare l’armistizio di Villafranca, tenne
sicuramente presente anche un’altra ragione, quella finanziaria tra la
Francia ed il Piemonte, giacché il trattato del dicembre 1858 aveva stabilito
che il Piemonte avrebbe pagato le spese di guerra della Francia con il decimo
delle entrate dei nuovi territori conquistati, ma la Francia aveva già speso
ben 360 milioni di franchi e la sua alleata altri 80 milioni, somme che
nessuna prevedibile tassa piemontese sul reddito sarebbe riuscita a
raccogliere, ed è da domandarsi se mai Cavour fosse stato in buona fede
quando aveva stipulato tale accordo (VE).
scenario dell’italia disegnato da napoleone e cavour
Dobbiamo
ora riflettere sullo scenario che il Cavour e Napoleone III avevano disegnato
a Plombières come conseguenza della guerra all’Austria che studiavano di
provocare. “La valle del Po, la Romagna e le Legazioni costituirebbero
il Regno dell’Alta Italia sul quale regnerebbe la casa di Savoia. Il papa
conserverebbe Roma e il territorio circostante. Il resto degli Stati del papa
con la Toscana formerebbe il Regno dell’Italia Centrale. La circoscrizione
territoriale del Regno di Napoli non sarebbe toccata. I quattro Stati
italiani formerebbero una confederazione sul modello dela Confederazione
germanica, la cui presidenza sarebbe data al papa per consolarlo della
perdita della parte migliore dei suoi Stati”. Quanto poi si realizzò non
coincise in alcun modo col disegno. Le ragioni sono varie. Innanzi tutto non
fu assolutamente prevista l’ingerenza dell’Inghilterra in questa vicenda.
Napoleone III e Cavour si preoccupavano soltanto di tenerla buona e di fare i
propri interessi. Non pensarono che l’Inghilterra potesse invece avere
interesse alla nascita di una potenza mediterranea, proprio antagonista
dell’Austria e della Francia, che a partire dal 1844 aveva incominciato la
sua espansione nel Mediterraneo. Poi non fu prevista l’inazione della Russia
e del suo disinteresse verso questo quadrante dello scacchiere mediterraneo.
Infine non fu prevista la ingerenza del capitalismo internazionale, che non
reputò sufficiente la conquista della sola valle del Po, per consentire al
Piemonte il pagamento dei suoi debiti. Ma ritorniamo al Cavour ed alla sua
azione politica.
cavour corruttore
Nel
gennaio 1861 Cavour e Pio IX stavano trattando la cessione di Roma per via
amichevole. Negoziatore ufficioso del governo di Torino presso la Santa Sede
era il medico marchigiano Diomede Pantaleoni; dopo un ultimo colloquio con
Cavour e col ministro dell’interno Minghetti, l’11 febbraio 1861, un certo
padre Passaglia si recava a Roma con in tasca cento napoleoni d’oro. Ma per
corrompere i prelati della Curia romana, Pantaleoni era autorizzato a
spendere molto di più. “Le faccio facoltà – gli scriveva Cavour – di
spendere quanto reputerà necessario per amicarsi gli agenti subalterni della
Curia. Quando poi occorresse di ricorrere a mezzi identici ma sopra larga scala
pei pesci grossi, me li indicherà, ed io vedrò di metterli in opera,
valendomi però di altra via di quella dei negoziatori che saranno lei ed il
padre… Dio voglia che i suoi sforzi siano coronati da esito prospero. Ella
avrà associato il suo nome al più gran fatto dei tempi moderni” (MC).
corruzione della stampa
Frequente,
e sostenuto da un largo ricorso ai fondi segreti, fu l’intervento del
ministero di Cavour nelle cose della stampa, diretto sia a favorire
all’interno giornali e giornalisti schierati dalla parte del governo, sia ad
alimentare le simpatie della stampa liberale straniera per la causa del
Piemonte. “La Staffetta è un pessimo giornale che fa torto al ministero:
lo dissi a Dina – è Cavour che scrive – questa primavera. Non do un soldo se
prima la Staffetta non cessa le sue stupide pubblicazioni. Ciò fatto
rimetterò ora a Dina L. 3.000 e in gennaio L. 3.000. Se questi patti non sono
accettati, gli ripeto, non do un soldo”. Cavour dava direttive
all’intendente Conte per non far nascere un giornale mazziniano a Genova. Lo
stesso intendente, Conte, informava Cavour che il solo giornale sardo, lo
Statuto, favorevole al governo fosse quello sovvenzionato. Nell’Archivio
Cavour, corrispondenti, si trovano numerose lettere di editori e giornalisti
stranieri, di livello e moralità molto varia, che si offrono di sostenere il
governo liberale piemontese. [Evidentemente la voce si era sparsa]. Qualche
nome: Henri Avigdor (Presse), Félix Belly (Le Pays, Journal de l’Empire),
François Buloz (Revue des deux mondes), De Poggenphol (Nord di Bruxelles), C.
Navin (Siècle), Pallieri (L’Italie) (R3). Ma la stampa piemontese non veniva
corrotta solo da Cavour. Anche la Rosina Vercellana, la contessa di
Mirafiori, l’amante del re, conosceva quest’uso dei giornali piemontesi. Quando
il sovrano si voleva liberare del Cavour, anche perché questi non vedeva di
buon occhio la sua relazione con la Rosina, quest’ultima acquistò gli
articoli dello Stendardo, pagandoli 12.000 franchi (R3).
onore – I
Garibaldi,
nel più grande segreto, aveva ricevuto denaro ed armi dal governo italiano in
vista di una invasione dei territori papali che si pensava avrebbero fornito
un pretesto per intervenire all’esercito nazionale. Mazzini era intanto
pronto alla guerra civile, soprattutto perché pensava giustamente che il re
si sarebbe schierato contro Garibaldi al primo segno di disapprovazione della
Francia. L’unica speranza seria era che i cittadini di Roma precipitassero le
cose con una insurrezione che li facesse intervenire sul loro destino; pensò anche
per un momento di recarsi a Roma di persona per renderlo possibile.
Contemporaneamente Vittorio Emanuele stava proponendo, segretamente, a
Napoleone un accordo in base al quale francesi ed italiani avrebbero
occupato, insieme, la città di Roma impedendo così al partito mazziniano di
deporre il papa e di proclamare la repubblica. Il re disse a diverse persone
che, come “premio supplementare”, gli si doveva permettere di
“massacrare” Garibaldi e 30 mila volontari appartenenti alla “feccia
criminale” dei seguaci di Garibaldi e Mazzini. Questo infelice termine
“massacrare”, insieme allo “sterminare” usato nel 1860 da
Cavour contro i garibaldini, veniva stranamente proprio da coloro che
definivano Mazzini un “assassino” (MZ).
onore – II
E che
questo fosse lo scenario morale in cui si muovevano i protagonisti di quella
che poi ci sarebbe stata raccontata come epopea risorgimentale, si può
desumere da questo altro avvenimento. Nell’agosto 1870 le truppe francesi
lasciarono Roma, perché c’era bisogno di loro sul fronte del Reno, ma
Vittorio Emanuele II continuò a tacciare i suoi ministri di vigliaccheria
perché erano ormai meno desiderosi di prima di vederlo combattere a favore
del suo ex alleato. Egli, infatti, puntava su di una vittoria della Francia e
sperava di trovarsi di nuovo dal lato del vincitore. In effetti, fu solo la
notizia della disastrosa sconfitta di Napoleone a Sedan che lo indusse
improvvisamente a prendere un atteggiamento più realistico. Era chiaro che
l’alleanza con la Francia non rappresentava che un duplice inconveniente ed
il re, degno rappresentante della sua dinastia, “passò rapidamente dalla
parte opposta”, avendo cura di spiegare al Papa che egli era costretto
ad annettere Roma contro la sua stessa volontà. Le lettere di Lanza indicano che,
ancora una volta, i fondi segreti furono utilizzati per suscitare una
insurrezione che offrisse il pretesto per intervenire “a restaurare la
legge e l’ordine”; ma neppure questa volta i romani si sollevarono. Si
dovette così trovare una altra scusa per l’invasione ed alcuni municipi di là
dal confine pontificio furono sollecitati ad inviare a Firenze petizioni
invocanti protezione contro l’anarchia. Un breve scontro, una breccia nelle
mura, e la Città Sacra cadde in mano dell’ultimo di una lunga serie di avidi
nemici (MS).
comportamento spregevole
Il 27
dicembre 1858 Giuseppe Massari descrive nel suo diario una vicenda che vede
Cavour e Napoleone III comportarsi in modo spregevole. “Il conte –
annotava il Massari – mi fa vedere una lettera che Berryer scriveva a
Napoleone III molti anni or sono per chiedergli 10 mila franchi in prestito.
Napoleone III vuole ora si stampi quella lettera per punire il Berryer
dell’arringa con cui ha ora difeso il conte di Montalembert. Prometto al
conte di Cavour di fare in modo che l’Opinione appaghi il desiderio
dell’imperatore” (GM).
cavour statista rivoluzionario
Nel
1859 Cavour, nemico giurato della rivoluzione, aveva tentato senza molto
successo di dare l’avvio a rivoluzioni mazziniane in Lombardia e nell’Italia
centrale; e lo stesso aveva fatto, sempre senza successo, l’anno dopo in
Sicilia, a Napoli e negli stati del papa. Alla fine del 1860 si spinse più in
là e impegnò le risorse dello Stato nel sollecitare un’altra serie di
rivoluzioni in tutta l’Europa orientale. Parlava del desiderio di rendere le
“razze latine” dominatrici del Mediterraneo; voleva “un moto
insurrezionale che dal litorale dalmata ed illirico si estendesse sino alle
rive del Baltico”, col dichiarato proposito di sfruttare quei moti in
un’altra guerra contro l’Austria; una guerra che, abbastanza
significativamente, diceva necessaria “per motivi di ordine
interno”, cioè per rinsaldare negli italiani il senso della patria. Con
parole che sembravano prese da Mazzini, il primo ministro illustrava ora la
sua intenzione di creare nazionalità autonome in tutti i Balcani, aiutando i
greci a prendere Costantinopoli e dando vita a una Ungheria indipendente.
Quel progetto così ambizioso finì in un altro fallimento, benché Cavour fosse
favorito dal fatto di potersi servire dei suoi ambasciatori e dei suoi
consoli nei paesi balcanici per contrabbandare in quelle zone armi e denaro.
Fra l’altro salpò segretamente da Genova una flottiglia di navi con carichi
di armi, compresi pezzi di artiglieria pesante, il tutto registrato nelle
polizze di carico come caffè. La flottiglia fu seguita sin dal primo momento
dalla flotta austriaca e poi confiscata dai turchi. Cavour inoltrò una
protesta formale per questa confisca, affermando che il contrabbando di armi
avrebbe incontrato sempre la sua ferma opposizione; ma dalle scritte apposte
sulle casse confiscate appariva chiaramente che esse provenivano dal Regio
Arsenale di Torino. Il personale dell’ambasciata di Costantinopoli tentò
affannosamente di ricoprire quelle scritte di vernice; ma era troppo tardi.
Un diplomatico piemontese commentò: “Giammai cospirazione fu fatta con
tanta innocenza battesimale”. Ma Cavour fece presto a trovare il modo di
sfruttare quel fallimento per compromettere un concorrente, e tentò di
convincere gli inglesi che quelle armi dovevano essere state inviate da
Garibaldi. Tentò anche di deviare i sospetti su Mazzini, e inventò una storia
fantastica secondo la quale quest’ultimo stava mandando a Roma sicari
travestiti da contadini per provocare il crollo del regime papale (MZ).
opinione in francia sul piemonte
Se la
nostra critica ai personaggi di quegli avvenimenti è agevolata dalla distanza
temporale, dobbiamo riportare anche le opinioni contemporanee, per stabilire
se la nostra è critica storica originale oppure condivisa. “Quand on est
conduit comme à Turin par des enfants qui crient fort pour montrer qu’ils
sont des hommes…”. “Quando si è guidati, come a Torino –
esclamava alla Camera dei Deputati francese, Adolphe Thiers, ministro degli
esteri di Luigi Filippo, a proposito delle intenzioni bellicose del Piemonte
– da bambini che gridano forte per dimostrare che sono uomini. Quando si
pronuncia la parola guerra bisogna chiedersi: siamo in grado di farla?”
(MC).
le ultime parole del benso di cavour morente
Alle
nove di sera del 5 giugno 1861 il re visita Cavour morente. Cavour gli dice
tra l’altro: “E i nostri poveri napoletani così intelligenti! Ve ne sono
che hanno molto ingegno, ma ve ne sono altresì che sono molto corrotti.
Questi bisogna lavarli”. Cavour, nell’estremo delirio, pronunzia
disordinatamente [o forse, meglio, gli attribuirono giornalisti interessati a
propalare quella che doveva diventare una verità accertata] frasi come
queste: “L’Italia del settentrione è fatta: non vi sono né lombardi, né
piemontesi, né toscani, né romagnoli, noi siamo tutti italiani: ma vi sono
ancora i napoletani. Oh, vi è molta corruzione nel loro paese. Non è colpa
loro, povera gente: sono stati così mal governati! È quel briccone di
Ferdinando! No, no, un governo così corruttore non può più essere restaurato:
la Provvidenza non lo permetterà. Bisogna moralizzare il paese, educare
l’infanzia e la gioventù, crear sale d’asilo, collegi militari, ma non si
pensi di cambiare i napoletani con l’ingiuriarli. Essi mi domandano impieghi,
croci, promozioni: bisogna che lavorino, che siano onesti, e io darò loro
croci, promozioni, decorazioni: ma soprattutto non lasciargliene passar una:
l’impiegato non deve nemmeno essere sospettato. Niente stato d’assedio,
nessun mezzo da governo assoluto. Tutti son buoni di governare con lo stadio
d’assedio. Io li governerò con la libertà. In venti anni saranno le province
più ricche d’Italia. No, niente stato d’assedio” (FD).
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