Della Tolleranza
_“Egli sa [Dio onnipotente, n.d.r.] che non ho scritto le mie osservazioni né per amore di
una lode umana, né per il desiderio di una ricompensa temporale, che non ho nascosto
nulla di prezioso o di raro per malizia o gelosia, che non ho passato sotto silenzio
nessuna cosa, riservandola per me solo, ma per accrescere l’onore e la gloria del Suo
Nome ho voluto venire incontro alle necessità e aiutare il progresso di un gran numero
di uomini”.
TEOFILO, Traité de divers arts (sec. XII)
“Nihil sub sole novi!
In questi pensieri, dunque, non vi può essere nulla di nuovo… Essi sono un rosario
di cose eterne.
Se in questo rosario si trovano rose non mie, non sono state rubate, sono venute da sé e
qui riportate per forza analogica e non volutamente. Non ho avuto nessuna
preoccupazione per i pensieri già detti da altri, e ciò perché non esiste in questi scritti
alcuna vanità individuale”.
(ARA, Massime di scienza iniziatica)
“Vennero quelli ancora più sciocchi con le loro
ragioni, i loro moventi e le loro belle
argomentazioni. Ma io che so che il linguaggio
indica una cosa ma non ne afferra la sostanza e
che i discorsi rivelano i procedimenti della
ragione ma non li contraddicono né li
rafforzano, ridevo di loro”.
A. de SAINT-EXUPÉRY, Cittadella, LXVIII
In questi tempi molto confusi, ma molto chiari per altri, il termine che è diventato la
parola d’ordine – stavamo per dire parola di passo – della politically correctnes è
“Tolleranza”. E’ il passe-partout senza il quale non si accede in alcun consesso culturalpopolare
(gestito come sempre dai soliti e instancabili intellettuali).
La Tolleranza viene insegnata, addirittura finanziata, imposta. “E’ la risposta alla
diversità, il seme della fratellanza”, “più tolleranti si è, migliori si diventa”.
La Massoneria, al solito – anche perché è formata da uomini di questo tempo -, non è
esente da tutto questo, tant’è che oramai “ci si può iscrivere come a qualunque partito”.
L’unica differenza: tale vocabolo, in Massoneria, è vecchio qualche centinaio d’anni. Vero
è che il significato che se ne traeva era diverso, molto più impegnativo non solo dal punto
di vista morale o politico, ma principalmente spirituale, esoterico. Ma oramai tutto questo
appartiene al passato, alla massoneria carsica, i tempi sono diversi ed il massone, divenuto
nel frattempo uomo del dubbio (sic!), uomo che guarda ad un futuro molto ‘sociale’, ha
sfoltito il termini da tutti quegli orpelli classici, antiquati, obsoleti.
Con questo scritto ci prefiggiamo – improvvisandoci speleologi – di scendere nei
meandri della massoneria carsica per tentare di capire – magari solo per curiosità –
cos’era ‘Tolleranza’.
Molti sono i massoni che hanno scolpito la parola ‘Tolleranza’ sulla pietra, e tale è
rimasta: una pietra. Cioè un dato di fatto, una cosa già acquisita, qualcosa che si
sa – o peggio – un luogo comune. Si provi a chiedere a codesti fratelli cosa sia
‘Tolleranza’: la risposta sarà univoca “rispettare le ragioni, le opinioni altrui”.
Qualcuno più ‘esoterico’1 partirà dall’etimologia della parola per arrivare alla medesima
conclusione: “significa togliere i pesi al Fratello, o quantomeno aiutarlo a portarli, questo è
il significato ‘esoterico’ del termine; quello esteriore è quello che hai sentito fino ad ora”, e
giù citazioni. Quella di Voltaire è d’obbligo, segue a ruota Kipling.
1 Che sia una figura diversa da ‘esoterista’?
Bisogna, innanzitutto, precisare che ‘tollerare’ deriva dal greco (tlênai) =
sopportare B ___tàlaros) = cesta B ___ (tàlanton) = peso B __
(telamôn) = portatore B ___µ (talmàô) = prendo sopra di me. Risulta quindi ictu oculi
che il significato proprio di ‘tolleranza’ è quello di sopportazione – con pazienza o
rassegnazione – di un qualcosa o di una situazione.
“La parola non è piacevole: tollerare è sopportare, accettare in continuità
l’esistenza di quelle che sono o sembrano essere forme di pensiero diverse dalla nostra; e
non è affatto piacevole anche solo ‘sopportare’ i nostri vicini, i nostri colleghi, come non
è neppure piacevole sentire che le nostre più radicate istituzioni e credenze sono
pazientemente ‘tollerate’.
[…] La tolleranza è una virtù puramente negativa, che non esige alcun sacrificio
dell’orgoglio spirituale e non include alcun rifiuto del nostro senso di superiorità; può
essere raccomandata soltanto se significa astenersi dall’odiare o perseguitare quelli che
hanno o sembrano avere abitudini o fedi religiose diverse dalle nostre. La tolleranza così
intesa ci permette addirittura di avere compassione di coloro che non essendo come noi
meritano per ciò stesso la nostra compassione!
La tolleranza, portata agli estremi, implica l’indifferenza, e a questo punto diventa
inaccettabile. Noi non propugniamo che si tolleri l’eresia2 ma piuttosto che si arrivi a un
accordo sulla verità”3.
A dover essere precisi, il sentimento all’origine della tolleranza è lo stesso di quello
dell’intolleranza, e cioè la mancata accettazione di ciò che si ritiene diverso. E questa
diversità cos’è se non il risultato di un paragone? Il risultato del confronto tra il noi e gli
altri, non sarà forse dato dall’atteggiamento di chi paragona e non già dalle qualità
intrinseche dei termini paragonati?
Il concetto di ‘tolleranza’ su esposto – e tanto caro a Tommaso d’Aquino – dal
Cinquecento in poi comincia a trasformarsi in ‘comprensione’, in “accettare le differenze,
apprezzarle e qualche volta perfino amarle”. E’ forse da questa nuova concezione che
nascono i roghi che incendiarono l’Europa dell’epoca?
Per quanto detto, è forte la tentazione d’affermare che il concetto di tolleranza nasce
con la trasformazione della massoneria antica (quella delle Corporazioni dei Costruttori,
per intenderci), in quella moderna con l’innesto degli Accettati (o sarebbe più giusto dire
tollerati?).
Ma prima, nella massoneria antica – quella dei Costruttori di Cattedrali -, era presente
il concetto di tolleranza?
Diciamo subito che non siamo in grado di dare una risposta. Possiamo solo tentare di
dare una interpretazione – molto alla buona – a quello che è riportato nei trattati da loro
scritti: i libri di pietra ovvero le Cattedrali gotiche.
La prima cosa che ci colpisce, a parte la maestosità, in una Cattedrale gotica è
l’esaltazione della Geometria: non esiste nessuna forma architettonica basata sulla libera
fantasia. Tutto in queste costruzioni è incentrato sulla costante ricerca delle proporzioni
geometriche, sul triangolo equilatero, sul quadrato, sul cerchio4.
Nel precedente modo di costruire, il cosiddetto ‘romanico’, si nota subito che le
costruzioni si estendono in orizzontale; hanno mura portanti molto spesse atte a sostenere
coperture molto pesanti, in quanto queste, esercitando spinte notevoli mettevano a
repentaglio la staticità dell’immobile.
Le Cattedrali gotiche, invece, sono l’apoteosi dell’altezza. L’utilizzo dell’arco a sesto
acuto, permette di scaricare il peso non sui muri bensì su precisi punti della costruzione.
Tale spinte erano così neutralizzate con controspinte date dagli archi rampanti (esterni), o
annullate con l’utilizzo sapiente di pesi (i pinnacoli), contemporaneamente allo
svuotamento delle pareti. Con tale sostituzione dei muri con pareti piene di vetrate, le
masse venivano alleggerite e perciò risultava più facile costruire in altezza.
Cosa è possibile trarre da tutto questo?
– che in un sistema orizzontale, regno della quantità (più si è meglio è), proprio
delle società di mutuo soccorso, dei clubs service – o peggio, degli odierni
partiti politici -, la tolleranza assume pienamente il concetto di sopportazione:
si sopporta l’altro perché necessario, o quanto meno, utile in nuce, in un
prossimo futuro. Qui le spinte delle coperture agiscono ai lati, in senso
diagonale: come dire, ci si appoggia all’altro in quanto massa e non individuo,
e poiché non si sa se questi può sopportare i pesi, ci si allarga anziché
innalzarsi;
– in un sistema verticale, regno della qualità (ogni anello della catena deve
essere migliore del precedente), proprio delle confraternite iniziatiche
realmente tali, la tolleranza ha un significato più ampio, più pieno: si cerca di
pesare il meno possibile per non gravare sul Fratello, il quale agirà nello
stesso modo con gli altri Fratelli. In tal modo si alleggeriscono le masse e ci si
può slanciare verso l’alto. E questa altezza non è esser maggiore di un altro
bensì, come il pinnacolo della Cattedrale, dirigere il peso in verticale per la
maggiore staticità della costruzione. Qui non è quindi sopportare ma portare
un peso.
Si evince che, il primo è un sistema statico, stagnante, dove la tolleranza è
sopportazione prima, rassegnazione poi, ed infine indifferenza. Si accetta, a volte
controvoglia, la tolleranza per evitare i conflitti, come male minore.
Il secondo è un sistema dinamico, ogni Fratello cum-prende le ragioni, le idee e i
bisogni dell’altro, la sua accettazione diventa occasione di crescita spirituale, l’altro diventa
così un diverso aspetto di me stesso. Solo in tal modo viene superato il concetto stesso (e
non solo) di tolleranza.
“La tolleranza, presa di per sé, sembra una cosa tutta buona, una specie di
bomboniera. Non è mica così. La tolleranza è un’idea rischiosa: ciascuno si mette in
gioco”