IL CENTRO DELL’UNIVERSO
Un giudice molto saggio – racconta un’antica favola – ha di fronte due litiganti.
Parla il primo. Il giudice riflette e sentenzia: “hai ragione”.
Ascolta l’altro. Torna e riflettere ed ancora sentenzia: “hai ragione anche tu”.
Suo figlio, che gioca lì vicino, protesta che è impossibile che entrambi abbiano ragione.
Ed il giudice: “hai ragione anche tu”.
Quante sono le “ragioni”, le “verità” scientifiche e filosofiche nel nostro mondo moderno e complesso? Possono contraddirsi a vicenda? E in questo caso, che è della
nostra vita, soprattutto della nostra vita quotidiana?
Un tempo gli uomini erano grandi produttori di miti. Proprio allora, una “grande ragione”, forse la più grande, sembrò venir meno.
Scrutando il cielo, nella contemplazione della perfetta armonia, ci si accorse con sgomento che le stelle si muovevano e che il sole non sorgeva più nella costellazione
nella quale, da sempre, il mito voleva sorgesse. La rassicurante immobilità era violata.
Una catastrofe aveva introdotto il movimento.
Qualcuno doveva aver divelto l’asse del mondo.
Ecco, si disse l’uomo, l’origine delle nostre sofferenze, della morte. La perdita dell’età dell’oro.
Pandora aveva scoperchiato il vaso, disperdendo i doni degli Dei e rovesciando sciagure sugli uomini. Ma nel vaso, per volere di Zeus, restava la speranza: il cielo, nel
suo movimento, tornerà nell’antica posizione, la rivoluzione delle stelle ci restituirà l’età dell’oro. La grande ragione si era dissolta, ma restava la promessa del suo ritorno.
Rassicurati da questa speranza, per millenni, abbiamo laboriosamente cercato e trovato “ragioni”. Ognuna si sostituiva alle altre, con essa combatteva e vinceva. O era vinta. Ma la nostra convinzione era sempre che la strada della conoscenza, per quanto difficile e tortuosa, portasse ad una meta definitiva. Quella, appunto, della scoperta ultima, della verità finalmente svelata. E quelle ragioni non valevano solo per scienziati e filosofi, una minoranza irrisoria. Valevano per tutti. Erano riferimento
costante e quasi inavvertito della nostra vita quotidiana. In un certo senso tutti erano
con il naso all’insù a guardare le stelle e riconoscervi via via nuove ragioni con le quali
vivere. .
Ma una catastrofe ben più grande dell’antica si è consumata in questi decenni così detti moderni.
Pandora è tornata ad aprire il vaso e se ne è fuggita anche la speranza, se ne è fuggita la convinzione che una grande ragione, per quanto difficile da afferrare, che prima o poi la scienza e la filosofia la scopriranno.
La modernità, così come noi la intendiamo, fa come il giudice della favola: riconosce, senza scandalizzarsi, che le ragioni sono molte, e tra loro contraddittorie.
Il nostro è diventato il mondo della complessità. Complessità significa presenza contemporanea di teorie diverse in ogni campo. Nessuna pretende di essere vera.
Ognuna è solo utile: a dare ordine all’esperienza, a progettare e a modificare il nostro mondo. Tutte insieme, magari contraddicendosi, costituiscono la nostra cultura: un tessuto di ipotesi, di punti di vista provvisori, di teorie che continuano a mutare.
La complessità produce smarrimento, insicurezza.
L’asse del mondo non è stato divelto: non è mai esistito. Cosa è vero e cosa è falso, se dell’antico baricentro s’è persa anche l’idea?
Eppure lo smarrimento è solo un aspetto di questo moderno mondo senza baricentro. Nel vaso di Pandora, Zeus ha trattenuto ancora qualcosa (l’ultima?) per noi.
Nel vaso è rimasto il gusto dell’avventura intellettuale, della sfida che ogni giorno rinnoviamo inventando piccole, transitorie ragioni. E con stupore scopriamo che quanto più piccole sono le ragioni, quanto meno pretendono di essere univoche, definitive, vere, tanto più ci rendono padroni del nostro mondo.
L’universo ha perduto l’armonia di un tempo. Non ha più un centro. In compenso, noi siamo divenuti il centro.
Un centro che non si prende troppo sul serio: le nostre piccole ragioni, infatti, sono più numerose delle stelle in cielo.
E più caduche.
TAVOLA SCOLPITA DAL Fr .’, C. A. CST,)