APPUNTI E CONSIDERAZIONI GENERALI SUL GABINETTO DI RIFLESSIONE

APPUNTI E CONSIDERAZIONI GENERALI SUL GABINETTO DI RIFLESSIONE

Come diceva giustamente un fratello maestro di questa officina, la nostra istituzione è una scuola, e più esattamente una scuola iniziatica.

E in quanto tale deve, fra le altre cose, proporre un obiettivo e un metodo di insegnamento. E il risultato si otterrà attraverso l’insegnamento trasmesso. Il gabinetto di riflessione è una sorta di “manifesto” della scuola.

Cerchiamo allora di evidenziare i contenuti di tale manifesto.

All’esterno del nostro Tempio vi sono, almeno idealmente, due distinti locali: una è la sala dei passi perduti e l’altro il gabinetto di riflessione.

Quest’ultimo è, di norma, un locale abbastanza piccolo, con un rapporto larghezza lunghezza 1 a 2, analogamente al tempio e di quest’ultimo ha lo stesso orientamento.

Il pavimento, le pareti e il soffitto sono in nero opaco, ed alle pareti compaiono

scritte e figure.

Lato Est In alto il simbolo dell’Ariete, in rosso,

Sotto è dipinto un gallo (con cresta, bargigli e pettorina rossi), con piume bianco e nere, posato su una banderuola in cui è scritto “VIGILANZA E PERSEVERANZA”.

Ai lati del gallo, in bianco, la scritta:

“SE TU PERSEVERI SARAI PURIFICATO DAGLI ELEMENTI”

“VERRAI FUORI DALL’ABISSO DELLE TENEBRE VEDRAI LA LUCE”

Più in basso ancora è dipinto in rosso il simbolo del fuoco (triangolo con la punta verso l’alto).

Lato Nord In alto, il simbolo del Cancro, in blu.

Sotto, uno scheletro umano in piedi, dipinto in bianco.

La scritta V.I.T.R.LO.L., i simboli alchemici del solfo (triangolo col vertice in alto sormontato da una croce) e del sale (cerchio tagliato a metà da una retta orizzontale)

La scritta: “SE LA TUA ANIMA HA PROVATO SPAVENTO, NON ANDARE PIÙ OLTRE”.

Infine il simbolo dell’acqua, in blu (triangolo col vertice in basso)

Lato Ovest In alto il simbolo della Bilancia, dipinto in giallo, che sovrasta la scritta, in caratteri

bianchi: SE LA CURIOSITÀ TI HA CONDOTTO QUI, ESCI).

Su questa parete c’è la porta di ingresso, dotata di spioncino orizzontale.

Sulla porta, in basso, è dipinto in giallo il simbolo dell’aria (triangolo col vertice in                                                                                                                                             alto, tagliato da una retta orizzontale.

Lato Sud In alto il simbolo del Capricorno, dipinto in verde, sotto cui è tracciata una falce e una clessidra (in bianco). Accanto la scritta “SE TIENI ALLE DISTINZIONI UMANE,

VATTENE”.

In basso, in verde, il simbolo dell’elemento terra (un triangolo col vertice in basso,tagliato da una retta orizzontale)

All’altezza degli occhi uno sportello nero, apribile, occulta uno specchio.

All’interno del vano l’arredo è costituito da

— un tavolino (alto 72 cm.) appoggiato al lato Sud. Sul tavolo si trovano:

— un teschio (umano)

— una penna (d’oca)

— un calamaio ( in cristallo di rocca) contenente inchiostro (di china)

— un candelabro con candele di cera d’api

— tre ciotole di terracotta contenenti rispettivamente sale, zolfo e mercurio

— un pezzo di pane (secco)

— una brocca d’acqua (di fonte), ed infine

— uno sgabello (nero opaco)

— una lanterna ad olio.

Prima di poter salire la scala diritta di tre gradini, il candidato è fatto scendere in questa stretta ed angusta “prigione”, il gabinetto di riflessione dove il termine riflessione va inteso come analisi di se stessi, ovvero di riflessione, sinonimo di rspecchiarsi , proprio come se ci si guardasse in uno specchio.

Insomma, rappresentando la terra (questo è il primo viaggio del candidato) si compie il primo “transito” del candidato: egli entra vivo ed esce morto; questo è quello che possiamo legittimamente definire e giustamente chiamiamo “suicidio metafisico” del profano che attende l’iniziazione, cioè la nascita a vita nuova! Una nuova vita che non ha alcuna implicazione con la materialità profana, qui il candidato “perde” le coordinate di spazio – tempo finora avute e comincia a vedersi e stimarsi per quello che realmente è, dove e fintanto che è, con la promessa di ottenere successivamente nel Tempio quella luce che gli permetterà di proporre all’umanità intera queste sue conquiste

E questo primo viaggio ha una singolarità: esso si svolge non all’interno del tempio, ma all’esterno; questo significa che questa prima esperienza del candidato NON può ancora essere definita come una prova vera e propria, ma quasi come una ulteriore preparazione.

Per meglio spiegare il concetto di “morte iniziatica” e di “suicidio metafisico” vediamo cosa ci suggerisce il passato, che specie a noi deve esser maestro. Basta saper cogliere il senso “nascosto”.

Nei piccoli misteri eleusini che si celebravano in primavera, la condizione del profano alla porta del Tempio veniva drammatizzata con la tragedia di Proserpina.

Figlia di Demetra, vinta dalle astuzie e dalle tentazioni di Eros, raccoglie il narciso che la Terra ha creato per lei in base al volere del dio Plutone, che si era invaghito di lei.

Subito il dio sorge dagli inferi e la ghermisce, trascinandola con sé e facendola sua sposa e regina.

Laggiù resterà, vestita a lutto e perennemente con la tristezza nel cuore, pensando continuamente al suo perduto amore.

La discesa agli inferi simboleggia quindi la presa di coscienza del proprio essere,           avvolto dalle pastoie della materia e dal piacere dei sensi, nella febbre per la ricchezza e per la ricerca del primato sui nostri simili. Questo è il nostro essere, la nostra anima, questa è la nostra prigione (e condanna).

Per Proserpina i sentimenti e la passione costituirono la sua condanna e la sua perdizione; tutta via deve essere chiaro che non sono i sentimenti che debbono essere annullati, ma casomai il nostro attaccamento torbido ad essi: il desiderio, la voluttà, l’avversione, l’ira, eccetera.

Scrive un anonimo “iniziato” italiano. “Se le passioni ti molestano, non reagire né turbarti. Conducile invece deliberatamente a soddisfazione e poi discioglitene”.

E ancora: “Come un’acqua chiara, non smossa, lascia trasparire le cose che ci sono sul fondo, così, non più identificato con i sentimenti, accoglili e osservali come faresti con le cose del mondo esterno”.

Se dalla cultura ellenica passiamo ad una lontana, almeno nello spazio, come può essere la cultura pellerossa, troviamo il rito Hopi (v. Alce nero: La sacra pipa, Rusconi 1996) che si svolge nella “capanna sudatoria”, cosiddetta dalle fumigazioni

cerimoniali che vi si compiono.

La capanna, circolare, ha la volta a cupola sorretta da dodici rami che rappresentano i quattro quadranti dell’universo, ossia i punti cardinali. La capanna ha un unico ingresso, basso e stretto, situato ad occidente, in modo che chi entra cammina verso oriente; non ci sono aperture e viene affermato esplicitamente che la luce viene da oriente.

Alla tenda si giunge percorrendo un sentiero sacro, lungo dieci passi, tracciato con terra di riporto ricavata dal focolare (centrale) della tenda stessa. Il focolare rappresenta in Watan Tanka (il grande spirito) che è appunto simboleggiato dal fuoco.

Tutti i partecipanti al Rito entrano in fila “indiana” e, marciando in senso destro centrico, raggiungono in silenzio ognuno la propria posizione.

La pipa sacra, di terra rossa, viene accesa con una fiamma portata dall’esterno.

Vi si aspira il fumo di un’erba sacra (talvolta è anche tabacco), ed il fumo (che rappresenta lo spirito di Watan Tanka) entra e penetra gli officianti. La pipa è contraddistinta da un lungo cannello che simboleggia l’asse del mondo, ed è usa anche per dei “toccamenti” sacri durante il rito, che è un rito di purificazione e di iniziazione guerriera.

La capanna è immersa nel buio, rischiarata solo dal focolare centrale, un po’ come il nostro gabinetto di riflessione.

Ma tutte (o quasi) le cultura hanno in qualche modo a che fare con la cavità del sottosuolo. Possiamo dire che la caverna deve essere considerata un archetipo.

Nell’antico Cristianesimo il Catecumeno non era ammesso nel Tempio, ma faceva istruzione fuori e solo quando era considerato istruito riceveva il battesimo e diventava neofito.

Ce dire poi di Gesù Cristo, che nasce in una grotta?

Ma d’altronde il ventre di una donna non è la stessa cosa?

Voglio ancora ricordare, al riguardo di locali sotterranei e chiusi e passaggi da uno stato ad un altro, nascita o rinascita che siano, che il novizio benedettino deve rimanere sdraiato fra quattro ceri e coperto da un lungo drappo mortuario (e nero)

mentre i futuri confratelli cantano il “miserere”, quindi si rialza e “resuscitando” la passa soglia della morte, acquisendo così la sua nuova coscienza e conoscenza (ed un nome nuovo).

E poi ancora le catacombe, ove i primi cristiani compivano le prime messe per ricordare il Cristo che, morto e immesso nella tomba, rinasce dopo tre giorni ed assurge al cielo.

Insomma, qualunque iniziazione avviene DOPO la morte, perché solo morendo si può cominciare una nuova vita. E la morte avviene e consiste nell’andare in un luogo senza luce, suoni, altre persone: proprio come il gabinetto di riflessione.

L’uomo, all’inizio della sua storia, ha sempre considerato la terra, e forse più ancora la caverna, come l’ambiente per sentirsi protetto, ha sempre considerato la terra come “madre terra”, come la sua sostentatrice, tributandole onori e sacrifici.

Insomma, le prime grotte naturali, poi quelle artificiali: cripte, ipogei, sotterranei

-.. Non sempre per culti matriarcali o per culti ctonii e terresti, ma anche per culti solari; tuttavia le più antiche forme di iniziazione descritte o testimoniate dagli etnologi hanno quasi sempre la presenza o la partenza da caverne-tempio artificiali o simboliche.

Interessante in questa ottica è allora il culto di Mitra.

Esso si svolgeva sempre in caverne o luoghi sotterranei inseriti in una o più pareti di roccia viva o comunque disseminati di “finte” rocce o asperità (erano in pietra pomice, di solito).

Nella Roma del £° secolo d. C. il culto per il Dio persiano-vedico Mitra, dio della luce, invincibile e guerriero, era molto diffuso, tanto da contendere il primato allo stesso Cristianesimo.

Scrive Renan: “Se il cristianesimo fosse stato interrotto nel suo sviluppo da qualche colpo mortale, il mondo sarebbe stato seguace di Mitra”.

L’aristocrazia romana ostentava le insegne e le decorazioni che testimoniavano l’iniziazione ai misteri di Mitra.

Templi di questo culto ve ne erano un po’ dovunque nell’impero.

Scrive nella “storia delle religioni” di Laterza R. Turcan. “In origine si tratta di grotte. Di esse i santuari conserveranno il nome e l’aspetto, anche quando cominceranno a tendere alla forma e alle dimensioni di templi veri e propri”. Un teorico del Mitraismo, Ebulo, che Porfirio cita nel suo “Antro delle ninfe” faceva risalire ai tempi favolosi di Zoroastro la consacrazione di grotte naturali, fiorite e bagnate da fonti.

A Bourg Saint Adeol un mitreo addossato alla roccia porta ancora scolpita l’immagine di Mitra nella roccia viva, ed è una delle poche che ci siano pervenute.

A Epidauro e a Costanza (in Romania) il mitreo è una vera e propria grotta.

Presumibilmente da questo culto deriva la festa del 25 dicembre, che era destinata al Dies Natalis Solis Invictis. E sempre per i mitrei la Domenica era giorno sacro al sole (Hiram 2, febbraio 1987).

Un altro aspetto legato alla caverna, o agli antri in genere, è quello delle Sibille.

Secondo lo storico latino Varone, esistevano al mondo dieci sibille. cioè vergini dotate di virtù profetiche grazie al loro “contatto” con la divinità in luoghi ben precisi,   guarda caso tutti antri, caverne o simili.

La più antica, la Delfica (o Pizia), vaticinava nel luogo più caro di tutta la Grecia (Schuré. i grandi iniziati: Pitagora). Il tempio, dedicato ad Apollo, sorgeva in una palude ed aveva alle sue spalle una caverna con una profonda fenditura nel terreno. Da qui uscivano dei vapori freddi che provocavano ispirazioni ed estesi donando una “seconda vista”.

Un’altra sibilla era la Cumea, quella che Virgilio descrive come una vecchia di 700 anni incartapecorita. Secondo il poeta, Enea va a consultarla prima di scendere all’Averno, ricevendone il ramo d’oro. Anche qui un cunicolo in discesa immetteva in una vasta sala rettangolare da cui si dipartiva un “dromos” rettilineo ed a sezione

trapezoidale che infine portava all’antro della sibilla. Così scrive Virgilio: “È d’un canto dell’euboica rupe un antro immenso che nel monte penetra. Avvi all’interno cento vie, cento porte e cento voci n’escono insieme allor che la sibilla al sua risposta intona” (Hiram 3, marzo 1987).

Riprendendo il discorso ora più aderente alla nostra tradizione, occorre dire che il gabinetto di riflessione chiuso ermeticamente, nero, con una luce fioca e tremolante

farà una certa impressione al candidato.

Questa emozione gli impedirà, almeno in un primo momento, di esaminare con calma e in toto i vari simboli che lo circondano. Comunque non è neppure detto che in ogni caso lui sia in grado di comprenderli, o anche solo di apprezzarli e valutarli.

Tutte le scritte sulle pareti tuttavia non lasciano molto spazio all’immaginazione,

Esclusa la scritta V.I.T.R.I.O.L.

È presumibile e sperabile che poco per volta il candidato cercherà di capire dove si trova, ripenserà a quanto sta per compiere, dovrebbe domandarsi perché è così, perché è lì, che cosa mai lo attende.

Ovvero si pone le tre domande fondamentali per l’Uomo: “Chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo”. Queste dovrebbero quindi essere le tre domande cui rispondere nel Testamento.  Molto importante in questo momento diventa quanto e come il candidato è stato edotto sulla nostra istituzione, sui suoi riti e sulla nostra modalità di istruzione, insomma sul simbolismo.

Se spaventato chiederà di abbandonare questa “folle” impresa, poco importa; non avremo certo perso un buon fratello: chi si arrende così facilmente alle difficoltà

Non potrà mai essere un buon “ricercatore di verità”.

Dobbiamo auspicare che nel candidato ci sia solo curiosità, non la paura per la morte che sta affrontando.

Questo è, dicevo, il primo viaggio fatto in un mondo “diverso” da quello che conosciamo, che siamo abituati a frequentare ed a vedere, insomma al mondo profano.

E proprio questa potrebbe essere la prima “riflessione”

Ma se supera questa prima paura, egli si è avvicinato alla prima fase del mutamento e quindi di conoscenza; qui il supporto della sua cultura, della sua capacità di comprensione e di analisi, del suo buonsenso lo aiuterà a cominciare a capire ciò che lo circonda.

La possibilità di comprendere comunque di più e meglio sarà limitata e fermata dal compito che, troppo spesso di solito, gli viene assegnato: la stesura del suo testamento.

Ambiente e testamento fanno percepire al candidato la sua completa solitudine, il silenzio che lo circonda (purtroppo da noi ora suona una musica: in una “tomba”!) lo aiuteranno nel suo compito.

Nuovamente, come prima, molta importanza avrà quanto e come è stato informato e preparato; certo qui ed ora gli è relativamente facile guardare dentro se stesso, sentire la verità che lo riguarda e che deve, o dovrebbe, trasmettere a tutti noi.

Presumibilmente il candidato ora è già diverso da quello che era quando, pochi minuti prima, è entrato nel gabinetto di riflessione.

Tutti noi, se riandiamo con la memoria a quando siano stati introdotti nel  gabinetto di riflessione, ci rendiamo conto che è stato proprio “quello” il momento più choccante (insieme forse alla caduta della benda) di tutto il rito, ed a quel momento si torna col pensiero ogni qualvolta si ha la sensazione di aver fatto un passo avanti sulla via della conoscenza.

Possiamo aggiungere che è auspicabile che il candidato, qui, faccia non già delle considerazioni troppo generiche, ma che compia UNA, e una sola, riflessione sulla

vita, sulla morte sul passo che si appresta a compiere e sull’istituzione che crede di conoscere e di cui chiede di entrare a farne parte.

Potrebbe, per esempio, ricordare le parole di Albert Schweitzer: “liberati dalla terribile barriera dell’educazione, e tutto ti sembrerà più chiaro, semplice, lucente”.

La nostra istituzione prevede, per chi si appresta ad entrarvi, tre fasi ben distinte

tra loro:

1. il distacco da tutti i pesi che ci legano al mondo profano (lo spoglio dei metalli).

Questo atto deve essere compiuto PRIMA di essere introdotti nel gabinetto di riflessione.

2. il viaggio nella terra (gabinetto di riflessione), che si compie da soli.

3. i tre successivi “viaggi” (acqua, aria e fuoco) che si compiono nel tempio, non più

soli, ma in compagnia, anche se di persone che non si vedono, di norma non si conoscono, ma che si percepiscono e si sentono.

Che la permanenza del candidato nel gabinetto di riflessione sia un “viaggio nella terra” raramente è percepito dal diretto interessato, ma è chiaro; dal colore, ai vari

simboli, per finire al testamento richiesto non possono non far pensare alla caducità delle cose umane, alla morte ed alla sepoltura.

A proposito del punto 1) sopra citato, possiamo dire che lo spoglio dei metalli è una operazione “a togliere”, così come quando appena iniziato dovrà battere tre colpi sulla pietra grezza, per toglierle subito almeno le più grosse imperfezioni: deve lasciare le propri convinzioni (la vita finora fatta).

Deve demolire i vizi, le passioni, la sua presunzione, il suo egoismo se vuole sperare di portare alla luce l’occultum lapidem.

Per il punto 2) posso solo ricordare che la morte si affronta sempre da soli: è il destino di tutti noi mortali. –

E per il punto 3) invece una nota di gioia: questa istituzione è una comunione, e

 tutta la nostra futura vita (massonica) si svolgerà in compagnia dei nostri “fratelli”, che in questo caso è forse più giusto definire compagni. Si, compagni di viaggio, quel viaggio che durerà molto, di cui sappiamo la meta, ma non il percorso, che dovremo individuare poco per volta, passo dopo passo, anche grazie alla capacità di collaborazione con i propri compagni-fratelli.

Il gabinetto di riflessione oltre che come tomba può anche essere visto come una prigione; e dalla prigione si desidera uscire, evadere. Il nostro corpo fisico può essere la prigione che trattiene il nostro spirito, che vorrebbe evadere, uscire per farsi vedere, sentire.

Ma ritornando alle altre tradizioni e culture posso ancora ricordarne altre.

Vediamo un po’: Alice, che cade in un profondo burrone, una fenditura della terra, che risulta poi essere la tana del coniglio bianco.

E se parliamo di favole e leggende, di miti o di sogni troviamo molto spesso che il “tesoro” è difficile e pericoloso da trovare o di impossessarsene: esso è sempre nella

caverna più profonda e buia, le gemme sono poste in luoghi che divengono accessibili solo dopo ave r vinto terribili draghi e forti guardiani. Se la ricerca anziché vertere sul tesoro è nella ricerca di un proprio caro o la predizione di ciò che dovrà accadere (insomma conoscere la verità!), le difficoltà permangono, e sono praticamente le stesse.

Qui possiamo citare, a titolo di esempio:

— Argo, il feroce guardiano dell’Ade, che ha il compito di bloccare chi si volesse avventurare in quella discesa o chi volesse da lì ritornare.

— Tamino, che affronta i drago e altre difficoltà (specie le prove iniziatiche vere e proprie) per giungere a conquistare Pamina (e la luce e la saggezza!).

— Pinocchio e Giona, che finiscono nel ventre della balena, dove ventre e caverna sono molto simili.

— Osiride, che deve compiere la discesa agli inferi per ritrovare la propria sposa, e che rappresenta il percorso notturno del sole.

— Ercole, che deve compiere le sue fatiche ( o prove che dir si voglia) per …

— Teseo, che deve salvare la sua amata Arianna dal sacrificio e quindi affronta anche  lui la prova più difficile.

— Ermes, lo psicopompo, (guida delle anime) che accompagna, sia dentro che fuori dell’Ade, quei pochi che ottengono il permesso di ritornare … alla luce (il neofito) (Hiram5, 1987).

— Giasone, per la conquista del vello d’oro.

— Enea e Dante, che per conoscere la verità scendono nell’Ade e nell’inferno.

— E ancora, la leggenda di Hiram.

— O ricordare che la trasmutazione avviene, per gli anchimisti, nell’athanor.

Alcuni animali si scavano la tana per difendersi, per allevare la prole o per trascorrere il letargo; per sopravvivere insomma.

Così anche l’uomo, che sono ormai secoli che scava, ora dovrebbe cominciare ad elevare. Ma questo non è appunto lo scopo dichiarato dei nostri lavori?

TAVOLA  SCOLPITA DAL FR.’.  A.Bgg.

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