ALCHIMISTI

Zosimo, grande alchimista dell’epoca ellenistica, racconta un suo so­gno: un personaggio gli apparve all’improvviso e gli raccontò di esse­re stato trafitto da una spada, tagliato a pezzi, scorticato e decapita­to e poi bruciato sul fuoco. Gli disse di aver sopportato tutto ciò per veder trasformato il suo corpo in spirito. Zosimo interpretò il suo sogno come la rivelazione di un processo alchemico. Gli spiritualisti hanno sempre trovato difficoltà nell’esprimere a parole le loro espe­rienze spirituali. Le conoscenze, durante l’estasi mistica, possono non passare attraverso il normale processo della conoscenza per immagi­ni, per cui cercate di rendere a parole quanto si è provato, sarebbe una trasposizione indebita.

I mistici hanno cercato di tradurre la loro esperienza con la termino­logia dell’esperienza umana dell’amore e sono stati troppo spesso equi­vocati; lo stesso era successo per l’iconografia tantrica. Alla difficol­tà di espressione si aggiunge l’inconfessato proposito di mantenere, sotto un velo di segretezza, quei rituali iniziatici che portano all’e­sperienza mistica, quelle prove che gli inesperti giudicherebbero «stra­ne». Niente di più naturale quindi che si sia cercato un modo di par­lare di questi argomenti con parabole significative. Lo studio dei me­talli e delle trasformazioni della materia ha fatto trovare una di que­ste parabole, per descrivere le trasformazioni che l’anima umana su­bisce nel passaggio da un livello di coscienza a un altro. Anche le so­stanze minerali soffrono, muoiono e rinascono sotto altra forma, ve­nendo trasformate a prezzo di profondi cambiamenti. In questo mo­do e sotto questo segreto, l’alchimia ci ha conservato e trasmesso le dottrine ermetiche della tarda antichità e ha prolungato in Europa alcuni scenari iniziatici, di struttura arcaica, fino all’alba dei tempi moderni. In epoche in cui le esperienze mistiche erano malviste o ad­dirittura perseguitate (perché si sottraggono per la loro natura al con­trollo delle autorità) è naturale che gli adepti comunicassero tra loro attraverso una terminologia cifrata.

Vennero così favorite certe immagini emblematiche: antri semibui po­polati di polverosi mortai, gufi e alambicchi attorno alla grande bocca del forno magico, che rischiara i volti demoniaci dei vecchi ricer­catori.

El-Kimia (letteralmente «terra nera») è una scienza che dobbiamo alla civiltà araba. Secondo la definizione di Bacon, essa insegna a pre­parare una certa medicina o elisir che, proiettato sui metalli imper­fetti, comunica loro immediatamente la perfezione. E, in altre paro­le, la scienza della preparazione della polvere di proiezione che, con la Pietra Filosofale, trasforma tutto in oro. E naturalmente scienza sacra, intuitiva e soprasensibile, basata sulla nostra affinità con la na­tura chimica delle cose e il suo comportamento.

Le infinite possibilità della natura umana sono un mistero che si apre solo a chi accetta la vita come una lenta maturazione verso mete in­credibilmente alte. Tale capacità di maturazione la si riscontra, come in segreta parabola, nei metalli. Si parla quindi di materia trasmuta­bile, per intendere capacità evolutiva dell’uomo.

Gli elementi dell’alchimia segreta sono tre: anzitutto la materia pri­ma, la cosa più segreta: è un minerale metallico povero (per alcuni è il solfuro di metallo) e va ricercato nel segreto della miniera. Il se­condo elemento è il fuoco, o piuttosto la luce polarizzata, fuoco che lava con procedimento fisico e non chimico. Terzo elemento è il tem­po: si può lavare soltanto tra il 21 marzo e il 20 maggio, giorni in cui si può raccogliere la rugiada. Per l’operazione si possono seguire tre vie: quella umida che dura tre anni, quella secca per cui basta qual­che settimana, quella ad altissima temperatura per cui bastano tre o quattro giorni. Il calore è l’energia che congiunge ciò che è congiun­gibile, mentre il gelo può unire anche ciò che è eterogeneo.

Partendo dalla concezione che tutte le cose provengono dallo stesso seme (Omnia in urntm — di Raimondo Lullo), c’è nella materia que­sta possibilità di trasformazione indefinita; i metalli sono elementi sessuati che si attraggono e si respingono in un continuo matrimo­nio. La terra è il ventre di cui le miniere sono l’utero. I minerali sono i suoi embrioni che maturano lentamente e, se l’estrazione avviene anzitempo, si può maturarli artificialmente per mezzo della Pietra. Mercurio è l’elemento femminile, umido, freddo e incolore; lo zolfo è l’elemento maschile, secco, caldo e colorato; il loro connubio gene­ra il cinabro, che è l’oro vivo. Ogni metallo è composto, in proporzione diversa, dai tre elementi: zolfo, mercurio e sale, che sono tre qualità della materia; il sale è l’elemento di unione e di relazione tra gli altri due.

Per distinguerli dallo zolfo, mercurio e sale comuni, sono detti «dei filosofi». Oggi la teoria scientifica dei quarks ritorna praticamente sulla concezione che la materia è frutto della combinazione di soli tre elementi. La materia prima, in molti casi, si identifica con il mer­curio che può essere definito quello stato oscuro della coscienza, mal­leabile e senza irrigidimenti razionali, che può essere preso come ba­se della creazione: albero della vita, energia potenziale delle cose, forza motrice di tutti i movimenti, simboleggiato nella Vergine Madre, tutta piena di grazia. Per uscire di metafora, la nostra trasformazione av­viene soltanto se sappiamo ridurci a materia prima, sciogliendoci nel mercurio, l’acqua vitale che ringiovanisce. Dobbiamo dissolverci per presentarci allo zolfo come materiale nuovo, ricettivo. L’ostacolo piò grave è il nostro io: dobbiamo sacrificare la nostra mente individuale per aprirci alla coscienza universale. L’alchimia, quindi, con tutto il suo apparato tecnico, insegna all’uomo il «lavoro» religioso che deve eliminare gli ostacoli perché la luce si manifesti e maturi l’esperienza religiosa, fino allo stato beatificante. Nel lavoro alchemico, l’anima si congela, si ritrae verso l’interno, si scioglie al calore centrale, per poi cristallizzare diventando fissa e permeata di luce divina.

Il maestro, che ha il compito di accelerare il processo, sostituisce il tempo.

L’operazione alchemica si riduce al detto: «Solve et coagula». Biso­gna prima saper portare tutto allo stato fluido, lo stato primordiale, che è uno stato confuso, ma genuino, in cui la materia è malleabile, priva di rigidezza o di chiusure: regressus ad uterum; si può poi proce­dere o volatilizzando i minerali volatilizzabili raccogliendone il vapo­re allo stato puro, o distillando le sostanze solubili, o calcinando le sostanze insolubili per separarle dal magma; bisogna perciò sottopor­si ai quattro seguenti passaggi:

Nigtedo, significa morte, discesa agli inferi, notte profonda; viene visualizzata da Saturno in melanconica meditazione di fronte al te­schio e alla bilancia.

Albedo, cioè la resurrezione che valorizza gli aspetti positivi della realtà e fa capire quanto erano necessarie le rinunce per valorizzare la parte buona.

Citrinitas, quando la luce riveste di splendore il cristallo fissato nel­l’immobilità.

Rubedo, in cui il cristallo acquista il colore dell’oro.

Questi quattro passaggi rispecchiano quelli di una creazione a rove­scio, in cui la volontà ritorna a Dio per la stessa strada per cui Dio si è donato all’uomo. Per questa operazione è necessario il corpo uma­no, corrispondente al sale che fissa l’operazione. E necessario il reci­piente, o Athanor, la fornace in cui si prepara l’elisir; esso corrispon­de alla coscienza interiore che contiene la materia da trasmutare, ma deve essere chiuso in modo speciale: chiusura ermetica, degna dei se­greti di Ermes, chiusura segreta, iniziatica. Athanor ha tre involucri protettivi: il forno in terracotta che deve reggere il calore, il bagno di cenere che conserva il calore e infine il recipiente vitreo che con­serva il liquido. Deve essere immerso nel fuoco, forza vitale che va attizzata e nel contempo domata. Il mantice è la regolazione del respiro. La Pietra Filosofale decuplica le possibilità di purificazione. Non ha in sé il potere trasmutatorio, ma serve a preparare la polvere di proie­zione e anche l’oro potabile che è l’elisir di lunga vita. Talvolta la Pietra Filosofale è definita urina di fanciullo, spruzzo vitalizzante, per cui il «puer mingens» è fontana di giovinezza. L’adepto stesso deve trasformarsi in Pietra Filosofale. Il suo lavoro sui minerali serve alla sua purificazione. Questo diuturno lavoro deve fargli imparare quanto sia lunga la fatica per far sì che la sua coscienza acquisti la dimensione della coscienza cosmica, perché la forza divina che vuole agire su di lui possa trovare la via libera indispensabile per purificar­lo dalla ganga che lo oscura, per farla trasformare in oro puro.

L’alchimia conserva un fondamentale segreto. E sovrarazionale, spe­rimentabile, ma non dimostrabile. È facilmente equivocata: va pre­dicata con immagini, con similitudini, perché chi non afferra il se­greto profondo possa rimanere appagato dalla razionalità dell’esposto. Il sogno di ogni uomo è quello di cambiare natura, di poter volare in mondi sconosciuti, padroneggiando i vari livelli di coscienza. L’al Albedo, cioè la resurrezione che valorizza gli aspetti positivi della realtà e fa capire quanto erano necessarie le rinunce per valorizzare la parte buona.

Citrinitas, quando la luce riveste di splendore il cristallo fissato nel­l’immobilità.

Rubedo, in cui il cristallo acquista il colore dell’oro.

Questi quattro passaggi rispecchiano quelli di una creazione a rove­scio, in cui la volontà ritorna a Dio per la stessa strada per cui Dio si è donato all’uomo. Per questa operazione è necessario il corpo uma­no, corrispondente al sale che fissa l’operazione. E necessario il reci­piente, o Athanor, la fornace in cui si prepara l’elisir; esso corrispon­de alla coscienza interiore che contiene la materia da trasmutare, ma deve essere chiuso in modo speciale: chiusura ermetica, degna dei se­greti di Ermes, chiusura segreta, iniziatica. Athanor ha tre involucri protettivi: il forno in terracotta che deve reggere il calore, il bagno di cenere che conserva il calore e infine il recipiente vitreo che con­serva il liquido. Deve essere immerso nel fuoco, forza vitale che va attizzata e nel contempo domata. Il mantice è la regolazione del respiro. La Pietra Filosofale decuplica le possibilità di purificazione. Non ha in sé il potere trasmutatorio, ma serve a preparare la polvere di proie­zione e anche l’oro potabile che è l’elisir di lunga vita. Talvolta la Pietra Filosofale è definita urina di fanciullo, spruzzo vitalizzante, per cui il «puer mingens» è fontana di giovinezza. L’adepto stesso deve trasformarsi in Pietra Fiosofale. Il suo lavoro sui minerali serve alla sua purificazione. Questo diuturno lavoro deve fargli imparare quanto sia lunga la fatica per far sì che la sua coscienza acquisti la dimensione della coscienza cosmica, perché la forza divina che vuole agire su di lui possa trovare la via libera indispensabile per purificar­lo dalla ganga che lo oscura, per farla trasformare in oro puro.

L’alchimia conserva un fondamentale segreto. E sovrarazionale, spe­rimentabile, ma non dimostrabile. È facilmente equivocata: va pre­dicata con immagini, con similitudini, perché chi non afferra il se­greto profondo possa rimanere appagato dalla razionalità dell’esposto. Il sogno di ogni uomo è quello di cambiare natura, di poter volare in mondi sconosciuti, padroneggiando i vari livelli di coscienza. L’al-

Albedo, cioè la resurrezione che valorizza gli aspetti positivi della realtà e fa capire quanto erano necessarie le rinunce per valorizzare la parte buona.

Citrinitas, quando la luce riveste di splendore il cristallo fissato nel­l’immobilità.

Rubedo, in cui il cristallo acquista il colore dell’oro.

Questi quattro passaggi rispecchiano quelli di una creazione a rove­scio, in cui la volontà ritorna a Dio per la stessa strada per cui Dio si è donato all’uomo. Per questa operazione è necessario il corpo uma­no, corrispondente al sale che fissa l’operazione. E necessario il reci­piente, o Athanor, la fornace in cui si prepara l’elisir; esso corrispon­de alla coscienza interiore che contiene la materia da trasmutare, ma deve essere chiuso in modo speciale: chiusura ermetica, degna dei se­greti di Ermes, chiusura segreta, iniziatica. Athanor ha tre involucri protettivi: il forno in terracotta che deve reggere il calore, il bagno di cenere che conserva il calore e infine il recipiente vitreo che con­serva il liquido. Deve essere immerso nel fuoco, forza vitale che va attizzata e nel contempo domata. Il mantice è la regolazione del respiro. La Pietra Filosofale decuplica le possibilità di purificazione. Non ha in sé il potere trasmutatorio, ma serve a preparare la polvere di proie­zione e anche l’oro potabile che è l’elisir di lunga vita. Talvolta la Pietra Filosofale è definita urina di fanciullo, spruzzo vitalizzante, per cui il «puer mingens» è fontana di giovinezza. L’adepto stesso deve trasformarsi in Pietra Fiosofale. Il suo lavoro sui minerali serve alla sua purificazione. Questo diuturno lavoro deve fargli imparare quanto sia lunga la fatica per far sì che la sua coscienza acquisti la dimensione della coscienza cosmica, perché la forza divina che vuole agire su di lui possa trovare la via libera indispensabile per purificar­lo dalla ganga che lo oscura, per farla trasformare in oro puro.

L’alchimia conserva un fondamentale segreto. E sovrarazionale, spe­rimentabile, ma non dimostrabile. È facilmente equivocata: va pre­dicata con immagini, con similitudini, perché chi non afferra il se­greto profondo possa rimanere appagato dalla razionalità dell’esposto. Il sogno di ogni uomo è quello di cambiare natura, di poter volare in mondi sconosciuti, padroneggiando i vari livelli di coscienza. L’al chimia soddisfa questo bisogno di metamorfosi psichica e spirituale, ma richiede un lungo lavoro, fatto di preghiere, di digiuni, di segrete dottrine e soprattutto di solitudine. Deve essere protetta dalle virtù che sono simboleggiate dagli involucri di Athanor: umiltà, ascetica e obbedienza.

L’alchimia sembra una scienza appartenuta a una razza scomparsa, che insegnava a usare l’anima per riconciliare lo spirito con il corpo. I testi alchemici sembrano diari di poesia di uno che tenta di narrare la strada percorsa per raggiungere e partecipare alla coscienza cosmica. La strada è irta di ostacoli che si superano soltanto con l’aiuto della bacchetta magica: la grazia di Dio. L’ostacolo più grave è l’avarizia:

bisogna essere disposti alla completa povertà di chi rinuncia a tutto l’oro del mondo per possedere il segreto della fabbrica. Bisogna poi conservare gelosamente il segreto per evitare l’esibizionismo e il pe­ricolo di mettere in crisi chi non è ancora arrivato. Non può intra­prendere il lavoro chi teme la paura della morte, chi teme la perdita della propria integrità, chi non sa rischiare tutto. Per poter raggiun­gere una meta così alta bisogna rinunciare, almeno per un po’ di tem­po, ai rapporti sociali, per ritirarsi nel segreto di una grotta e matura­re nel silenzio quell’oro che solo in un secondo tempo potrà giovare al bene degli altri.

La storia dell’alchimia accompagna la storia dell’umanità; il fondato­re mitico sembra essere stato Ermete Trismegisto (cioè tre volte po­tente), supposto autore delle tavole smeraldine, citate in un antico papiro egiziano. Si dice che siano state trovate da Alessandro Magno nella Grande Piramide, ritenuta la tomba di Ermete, incise con pun­ta di diamante su lastra di smeraldo. Di certo sappiamo che Zòsimo Panapoletano fondò una scuola ermetica ad Alessandria, nel iv seco­lo dopo Cristo. La scuola ermetica si trasferì a Costantinopoli nel se­colo v e di là si diffuse, nel secolo vui, nelle scuole arabe.

Djabis Ibn-Hajjan parla già di acido nitrico, acqua regia e altro. Si incomincia a insegnare alchimia nelle università arabe spagnole e di là l’insegnamento entra anche nell’università di Montpellier dove èstudiata da Sant’Alberto Magno, da Bacone, da Raimondo Lullo, da Erasmo da Rotterdam e da tanti altri.

L’alchimia ha anche beneficiato dell’antica sacralità dei metalli. Non dimentichiamo che per molto tempo la lavorazione dei metalli venne accompagnata da una sorta di rituale sacro. Sacra era la scoperta di una miniera, per la quale occorreva l’indicazione di un mago o di una fata; sacra era considerata la fusione dei metalli e la costruzione di una fornace: erano operazioni rituali. Dovevano essere preparate da riti propiziatori, da digiuni e astinenze e talvolta da sacrifici umani. La fucina è luogo sacro perché vi si lavora il corpo di un dio che si immola per il bene dell’umanità. I meteoriti sono carichi di sacralità, sono le pietre del cielo, simboli dei messaggeri divini, i profeti, e l’a­scia è il simbolo dell’unione tra cielo e terra. Molto spesso la fucina è il luogo sacro, luogo dove si va a pregare. Il fabbro ne è il sacerdote che conosce i misteri dei metalli e i loro rituali, per cui diventa divul­gatore di mitologie e delle poesie epiche che ne sono il supporto na­turale. Il fabbro è anche il padrone del fuoco, il mago sciamanico che fornisce le armi degli dèi e il fulmine di Giove, anzi aiuta Dio nell’o­pera della creazione. È spesso zoppo perché deve portare nella sua carne il segno di una vocazione divina. Conosce i mantra segreti, le parole che posseggono la forza creatrice e che vanno cantate per por­tare a termine la fabbricazione di un oggetto importante.

Per questo è aureolato di magia, temuto e venerato e nei momenti difficili può essere eletto re, come successe a Sargon e a Gengis-Rhan che erano fabbri.

La scienza alchetnica non rimase prerogativa dell’occidente, anzi sem­bra abbia avuto cultori anche in India, prima della conquista araba. L’alchimia indiana tende a fornire e liberare il corpo divino, cioè Ji­vanmukta e per solidarietà tra materie e forze psichiche, interioriz­zando le operazioni che i chimici fanno sulla materia, si ottengono gli stessi risultati nello spirito.

Purusa e Prakriti sono comprincìpi di tutto l’essere, sia materiale che psichico. Il cambiare metalli in oro, il rendersi invisibili, il prolunga­re la vita sono alcune delle classiche buddhis yogiche per cui il Ra­sayana o scienza alchemica è praticamente una branca dello yoga, che insegna la liberazione dello spirito attraverso la scienza del cor­po. Lo yogi come l’alchimista tende a conquistare la libertà assoluta decondizionando l’esistenza dal tempo. Ridurre la fluidità del mer­curio è simbolo del bloccare la vivacità della coscienza, del «citta vritti­ nirodhà». Per entrambi si richiede padronanza di sé, dieta, controllo delle passioni e amore della verità.

Anche lo stesso Taoismo, che ha raccolto e rivalutato molte tradizio­ni spirituali antichissime, tra tecniche dietetiche, ginniche, respira­torie ed estatiche, fa stretto riferimento all’alchimia. Rientravano in­fatti nell’alchimia i principi della cosmologia tradizionale, le tecni­che per prolungare la vita (l’uso del cinabro, dei funghi e dell’elisir) e la ricerca della spontaneità spirituale. L’alchimista taoista è il suc­cessore del primitivo che andava in montagna, con una lunga zucca, a cercare le erbe salutari, gli gnomi e le piante magiche.

L’uso che i cinesi facevano dell’oro e della giada per le suppellettili funerarie prova che credevano alle facoltà dell’oro e della giada di favorire la longevità e la conservazione del corpo.

L’esoterismo alchemico taoista insegnava che il corpo ha il ruolo del piombo, il cuore ha il ruolo del mercurio, i campi del cinabro si trovano nelle parti più segrete del cervello e del ventre e bisogna penetrare nel cervello in cui c’è la montagna di mare in quello stato caotico o embrio­nale (precedente alla creazione) che è possibile ottenere solo nella me­ditazione. E la meditazione accompagnata dal controllo del respiro, a fornire il liquido necessario alla trasformazione, mentre l’intelligenza, con le sue scintille, fornisce il fuoco necessario. Il tempo della trasfor­mazione è di quaranta settimane, come per una normale gestazione. In Europa si continuà a parlare di alchimia ancora per secoli e nei modi più svariati. Persone tra le meno influenzabili da suggestioni magiche ci parlano delle strane «proiezioni trasmutatorie». L’impe­ratore Massimiliano Il ne vide una a Praga nel 1585, fatta da Ed­ward Relly. Sappiamo che il Cosmopolita fece strabiliare il medico van der Linden nel 1602 con una trasmutazione che ripeté davanti allo scienziato Wolfang Dienheim a Basilea e lo stesso fece nel 1600 a Strasburgo, Francoforte e Colonia. Finì in carcere perché non volle rivelare il segreto a re Cristiano Il di Sassonia. Trasmutazioni celebri sono attestate dal chimico van Helmont nel 1618, dal filosofo Spino­za nel 1666 e dal celebre chimico irlandese Robert Boyle nel 1660. Vogliamo concludere ricordando due celebri alchimisti che stimola­no ancora oggi la nostra curiosità e che da questa scienza seppero trarre tanta luce per la loro vita.

Teofrasto Bombasto von Hol-ìenheim (1493-1~41) detto Paracelso. Lavorò come alchimista nelle miniere Fugger del Tirolo e dopo la laurea in medicina continuò i suoi studi alchemici nelle miniere inglesi. E considerato il «Lutero della medicina» forse perché ha fatto bru­ciare gli antichi testi latini su cui si insegnava medicina e ha comin­ciato a insegnarla in tedesco. Dall’approfondito studio dell’alchimia ricavò luce per mettere la medicina sui binari di una vera metodolo­gia scientifica e per arricchirla con gli afrporti di una seria dietetica e addirittura di una certa omeopatia. Le sue fughe, per timore del­l’Inquisizione, i suoi nascondigli e la fama dell’assistenza demoniaca ne fecero un modello che Goethe terrà certamente presente per il Doc­tor Faust.

Michel de N6tre-Dame (1503-1566) detto Nostradamus. Nipote di due medici astrologi fu educato all’erboristeria, all’alchi­mia e a tutta quella scienza esoterica a cui poteva attingere con la conoscenza della lingua latina, greca ed ebraica. Studiò nelle varie universidì del sud della Francia e lì si rese celebre nella cura della peste. Accanto a questa autentica scienza medica coltivò anche l’al­èhimia per maturare il suo spirito profetico; ciò lo portò alla pubbli­cazione nel 1555 delle celebri «Centurie». Come profeta predisse a Caterina de’ Medici che tutti i suoi tre figli sarebbero diventati re e i fatti gli diedero ragione. Leggendo le celebri quartine ci sorpren­de la perfetta previsione della morte di Enrico Il di cui descrisse la ferita della lancia che gli trapassò il capo (1-35). Sorprendente la pre­visione della fuga di Luigi XIV e del suo arresto con i particolari del luogo e del travestimento (IX-209). Previde la decapitazione di Car­lo I d’Inghilterra (IV-39) e la morte violenta di Mussolini (IV-47). Sembra evidente che abbia potuto prevedere il moderno sommergi­bile (111-8), la locomotiva (IV-85), lo Spitfire (V-100), l’automobile (IX-25) e addirittura il missile (11-46) e la bomba atomica (V-8). Si possono leggere anche le previsioni della SocieTh delle Nazioni (1-47) e forse anche la morte di Kennedy a Dallas (1-52). Nostradamus sapeva concentrarsi guardando il riflesso di una cande­la su un ampio catino di rame, posto di sera tra il letto e la scrivania. Fissando la luce dorata e tremolante egli scorgeva una qualche scena Teofrasto Bombasto von Hol-ìenheim (1493-1~41) detto Paracelso. Lavorò come alchimista nelle miniere Fugger del Tirolo e dopo la laurea in medicina continuò i suoi studi alchemici nelle miniere inglesi. E considerato il «Lutero della medicina» forse perché ha fatto bru­ciare gli antichi testi latini su cui si insegnava medicina e ha comin­ciato a insegnarla in tedesco. Dall’approfondito studio dell’alchimia ricavò luce per mettere la medicina sui binari di una vera metodolo­gia scientifica e per arricchirla con gli afrporti di una seria dietetica e addirittura di una certa omeopatia. Le sue fughe, per timore del­l’Inquisizione, i suoi nascondigli e la fama dell’assistenza demoniaca ne fecero un modello che Goethe terrà certamente presente per il Doc­tor Faust.

Michel de N6tre-Dame (1503-1566) detto Nostradamus. Nipote di due medici astrologi fu educato all’erboristeria, all’alchi­mia e a tutta quella scienza esoterica a cui poteva attingere con la conoscenza della lingua latina, greca ed ebraica. Studiò nelle varie universidì del sud della Francia e lì si rese celebre nella cura della peste. Accanto a questa autentica scienza medica coltivò anche l’al­èhimia per maturare il suo spirito profetico; ciò lo portò alla pubbli­cazione nel 1555 delle celebri «Centurie». Come profeta predisse a Caterina de’ Medici che tutti i suoi tre figli sarebbero diventati re e i fatti gli diedero ragione. Leggendo le celebri quartine ci sorpren­de la perfetta previsione della morte di Enrico Il di cui descrisse la ferita della lancia che gli trapassò il capo (1-35). Sorprendente la pre­visione della fuga di Luigi XIV e del suo arresto con i particolari del luogo e del travestimento (IX-209). Previde la decapitazione di Car­lo I d’Inghilterra (IV-39) e la morte violenta di Mussolini (IV-47). Sembra evidente che abbia potuto prevedere il moderno sommergi­bile (111-8), la locomotiva (IV-85), lo Spitfire (V-100), l’automobile (IX-25) e addirittura il missile (11-46) e la bomba atomica (V-8). Si possono leggere anche le previsioni della SocieTh delle Nazioni (1-47) e forse anche la morte di Kennedy a Dallas (1-52). Nostradamus sapeva concentrarsi guardando il riflesso di una cande­la su un ampio catino di rame, posto di sera tra il letto e la scrivania. Fissando la luce dorata e tremolante egli scorgeva una qualche scen che poi descriveva in quella forma enigmatica e strana sulle sue cele­bri quartine.

Come ogni buon profeta l’avvenimento non gli veniva sempre rivela­to nel tempo relativo. Da qui la genericità di alcune previsioni, ma post-factum, soprattutto se i termini sono generici, ognuno può rico­noscervi episodi eccezionali della cronaca nera, anche dei nostri tempi. Ma fra tante previsioni oscure e incerte è indubitabile che egli abbia avuto effettivamente qualche previsione chiara e irrefutabile.

Certamente previde la sua morte e la predisse con un’approssimazio­ne di pochi mesi. Predisse anche la violazione della sua tomba e la terribile punizione che avrebbero avuto i malcapitati soldati. Sappia­mo che perirono il giorno dopo in un’imboscata.

Il  resto fa parte di quei diversivi che l’alchimia ci ha lasciato in eredità.

Bibliografia

T. BIJRCKHARDT, L’alchimia, Boringhieri, Torino 1961.

iVI.      ELiADE, Il mito dell’alchimia, Avanzini e Torraca, Roma 1968.

E. ZOLLA, Le meraviglie della natura, Bompiani, Milano 1973.

R. LULLO, Trattato della quinta essenza, Athanor, Roma 1972.

LU KUAN Yu, Lo yoga del Tao, Mediterranee, Roma 1976.

nuv MINGUZZI, Alchimia, in Il cammino della potenza, Armenia 1976.

E. J. HOL1vIYARIJ, Storia dell’aichimia, Sansoni 1972.

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