EMMY NOETHER
Genio matematico e trasandato
di Luisa Bonolis
“Perché vale in generale l’atteggiamento di considerare le questioni della matematica o della scienza da un punto di vista storico?… Io credo che oggi più che mai abbiamo bisogno di questo modo di vedere le cose. In particolare per quanto riguarda la scienza molto dipende da quanto i suoi rappresentanti siano capaci di considerare se stessi e la loro sfera di azione come elementi di una lunga serie di sviluppi, e fino a che punto siano in grado di trarre un insegnamento per il presente e per il futuro dalla consapevolezza di questo legame”. Richard Courant , 1926 (1)
“Nei giorni scorsi un eminente matematico, la professoressa Emmy Noether, che in precedenza ha lavorato nell’Università di Göttingen e negli ultimi due anni ha fatto parte del Bryn Mawr College, è morta a cinquantatrè anni. Secondo il giudizio dei più competenti matematici contemporanei Fräulein Noether è stata il genio matematico più importante da quando le donne hanno avuto accesso all’istruzione superiore”.
Queste righe sono estratte da un necrologio a firma Albert Einstein, apparso sul New York Times il 3 maggio 1935. Einstein conosceva bene il lavoro di Emmy Noether, fin dai tempi in cui entrambi vivevano ancora nel continente europeo, dove Einstein non aveva più fatto ritorno dopo il suo arrivo negli Stati Uniti il 17 ottobre 1933. Il 30 gennaio di quello stesso anno i nazisti erano giunti al potere e Emmy, come tanti altri, era fuggita anche lei negli Stati Uniti, costretta, in quanto ebrea, pacifista convinta e simpatizzante marxista, ad abbandonare l’Istituto di matematica dell’università di Göttingen e tutto il suo mondo di colleghi, amici e allievi amatissimi. In realtà Einstein non aveva mai frequentato la Noether. Principale ispiratore del necrologio sembra infatti essere stato l’eminente matematico tedesco Hermann Weyl, anche lui rifugiato negli Stati Uniti per problemi razziali. Weyl, che era stato l’artefice della sistemazione di Emmy nel prestigioso College di Bryn Mawr, vicino a Princeton, la conosceva invece benissimo, essendo stato a lungo suo collega a Göttingen: “Nei miei anni passati a Göttingen, 1930-1933, lei è stata senza dubbio il più forte centro di attività matematica, sia dal punto di vista della fecondità del suo programma di ricerca scientifica, sia riguardo la sua influenza su una vasta cerchia di allievi” (2).
Il genio matematico in questione è Amalie Emmy Noether, nata a Erlangen, una piccola città del Sud della Germania, il 23 marzo 1882. In questo importante centro universitario, una delle tre università “libere” del Paese (non fondate dalla chiesa) insegnava suo padre Max, uno dei maggiori rappresentanti della scuola algebrico-geometrica, che aveva svolto un ruolo rilevante nello sviluppo della teoria delle funzioni algebriche. Max Noether era un uomo di grande intelligenza, pieno di calore umano e di interessi. La madre di Emmy, Ida Noether, apparteneva a una ricchissima famiglia ebrea. Emmy era la primogenita di quattro figli. Suo fratello Fritz, di circa tre anni più giovane, segue le orme di suo padre, mentre la vita di Emmy sembra inizialmente seguire i canoni dell’educazione femminile dell’epoca: aiuta sua madre nella cura della casa e frequenta con profitto le tipiche scuole per ragazze studiando lingue ed economia domestica. La madre, che suonava il pianoforte, aveva una grande passione per la musica e così Emmy prese lezioni di piano, secondo un tipico cliché nell’educazione delle ragazze di buona famiglia, e tuttavia non andò mai oltre l’esecuzione di una allegra canzoncina popolare. Peraltro amava molto andare a ballare in casa dei colleghi del padre ed è famosa la storia di come i genitori raccomandassero ai propri figli di non dimenticare di invitare Emmy, una ragazza miope e molto poco attraente, seppure simpatica e vivace, ma non certo la compagna ideale per un ballo. Nell’aprile del 1900 Emmy sostenne brillantemente l’esame di stato per l’insegnamento del francese e dell’inglese. Ma non divenne mai un’insegnante di lingue.
Nell’autunno dello stesso anno, insieme ad un’altra ragazza, è la sola donna presente fra i circa mille studenti della popolazione universitaria di Erlangen. Dal 1900 al 1903 frequenta come uditrice le lezioni di matematica, romanistica e storia e nel frattempo si prepara per l’esame di maturità. A quell’epoca non esistevano scuole superiori dove le ragazze potessero prepararsi a sostenere questo tipo di esame; in Germania e in Austria l’educazione formale delle donne finiva all’età di 14 anni e la loro iscrizione regolare all’università era del tutto fuori questione. Nel 1898 il senato accademico dell’università di Erlangen, dove il padre di Emmy era professore, dichiarò che l’ammissione di studenti di sesso femminile avrebbe “sovvertito l’ordine accademico”. Ma la discussione su questi temi è molto infiammata e nel 1900, quando Emmy ha diciotto anni, l’università di Erlangen consente finalmente alle donne di assistere alle lezioni, il permesso rimane tuttavia subordinato al parere del titolare; anche la possibilità di sostenere un colloquio finale per ottenere un certificato universitario dipende completamente dalle simpatie dell’esaminatore. Fino alla prima guerra mondiale esistevano in Germania professori che si rifiutavano di fare lezione se erano presenti donne in aula! Eppure nel 1908 il ministro prussiano dell’educazione si trovò nella necessità di ribadire che l’accesso delle donne alle lezioni “non doveva essere subordinato al personale grado di disapprovazione dell’insegnante riguardo l’educazione mista”! Nel luglio del 1903 Emmy sostiene come privatista l’esame di maturità.
Nell’anno accademico 1903/1904 Emmy Noether frequenta l’università di Göttingen, di nuovo come uditrice. All’inizio del XX secolo gli studenti di matematica di tutto il mondo ricevevano lo stesso consiglio: “Fai la valigia e vai a Göttingen”. La grande tradizione scientifica di Göttingen aveva una solida posizione nel campo della matematica, principalmente come risultato dei contributi di Carl Friedrich Gauss, Peter Gustav Lejeune Dirichlet, Bernhard Riemann. All’epoca vi dominava la figura leggendaria di Christian Felix Klein, il più celebre e venerato esponente della matematica tedesca di fine Ottocento. Nel 1872, a soli 23 anni, era già diventato professore a Erlangen e la sua lezione inaugurale, nota come “Programma di Erlangen”, faceva ormai parte della storia della matematica (3). La fama di Klein attirava a Göttingen studenti da tutto il mondo, particolarmente dagli Stati Uniti. Il cuore della vita matematica si trovava nella sala di lettura voluta da Klein, completamente diversa da qualsiasi biblioteca di matematica esistente all’epoca. Gli studenti potevano accedere liberamente ai libri messi a loro disposizione in scaffali aperti. Prima della lezione Klein si preparava accuratamente uno schema mentale della lezione organizzato in formule, diagrammi e citazioni controllando la lista enciclopedica dei riferimenti bibliografici preparata dal suo assistente. Alla fine della lezione la lavagna era ordinatamente ricoperta fino all’ultimo centimetro, senza alcun segno di cancellatura. A Göttingen Emmy segue le mitiche lezioni del “divino Felix”, di sicuro ben lontana dall’immaginare che entro dieci anni lei stessa avrebbe in qualche modo fatto parte di quell’olimpo.
Quello stesso anno nelle università bavaresi viene concessa la possibilità di iscrizione alle donne che hanno sostenuto la licenza. Nell’autunno del 1904 Emmy si iscrive regolarmente all’università di Erlangen, Facoltà di filosofia, frequentando esclusivamente i corsi di matematica. E’ l’unica donna insieme a 46 uomini. Qualcuno sostiene che Emmy volesse far piacere a suo padre studiando la matematica; ciò non toglie che il suo talento fosse inequivocabile. Nel 1907 si laurea “summa cum laude”; suo relatore di tesi è Paul Gordan, “il re della teoria degli invarianti”, collega e grande amico di suo padre. A quel tempo ci si poneva il problema di scoprire se esisteva una base, cioè un insieme finito di invarianti, nei cui termini potessero esprimersi, attraverso una funzione polinomiale, integralmente e senza eccezioni, tutti gli altri infiniti invarianti (4). Vent’anni prima Gordan aveva ottenuto un risultato chiave nella teoria che tuttavia era relativo a un insieme semplificato di forme algebriche. Gli sforzi successivi di matematici tedeschi, inglesi, francesi e italiani non erano riusciti in un ventennio a venir a capo della forma più generale del teorema, nota appunto come “problema di Gordan” che era tra i più aperti e tra i più dibattuti nei circoli matematici dell’epoca. Insieme a Max Noether, Gordan fu certo una delle figure più familiari nella vita della giovane Emmy. Gordan amava parlare e camminare, interrompendo le sue passeggiate con soste al caffè o in birrerie all’aperto. Come matematico lo stesso Noether lo aveva definito un “algoritmico”. I suoi lavori consistevano in venti pagine di formule ininterrotte e si diceva che le poche righe di testo fossero aggiunte dagli amici. Emmy conserverà sempre una profonda devozione per Gordan, il cui ritratto campeggiò sempre sulle pareti del suo studio.
Rapidamente Emmy Noether inizia a lavorare, senza alcun contratto né compenso, presso l’Istituto di Matematica di Erlangen, collaborando con suo padre e con i due successori di Gordan. Uno di loro in particolare, Ernst Fischer, ebbe un’influenza notevole sul suo lavoro nel campo dell’algebra. Fischer diventa uno dei suoi più importanti interlocutori, con lui poteva “parlare di matematica” a suo piacimento. Nonostante vivessero entrambi a Erlangen e si vedessero di frequente all’università, esiste un notevole carteggio fra i due fatto di cartoline contenenti argomenti matematici, conservato con cura da Fischer, nonostante l’avventura della guerra. Sembra quasi che Emmy, subito dopo aver conversato con lui si precipitasse a buttare giù le idee di cui avevano discusso, vuoi per non dimenticarle, vuoi per stimolare la prosecuzione del discorso. Fischer fu senza dubbio il suo mentore; sotto la sua guida Emmy Noether passò dallo stile algoritmico alla Gordan all’approccio assiomatico e astratto di Hilbert, grandissimo protagonista della matematica a cavallo tra Ottocento e Novecento. La Noether della maturità sarà chiamata la “madre” della moderna algebra astratta e costituirà un estremo e grandioso esempio di pensiero concettuale assiomatico in matematica: è difficile immaginare un contrasto maggiore rispetto al più puro stile formale che aveva caratterizzato la sua tesi, un lavoro che lei stessa liquiderà definendolo una “giungla di formule”, una pura “faccenda di conti”.
La sua reputazione cresce insieme alle sue pubblicazioni: nel 1908 viene eletta membro del Circolo Matematico di Palermo, l’anno successivo viene invitata a far parte della Deutsche Mathematiker Vereinigung. E’ la prima donna a partecipare alla riunione annuale della Società. Emmy ama molto questi incontri annuali che soddisfano il suo naturale desiderio di “parlare di matematica” come lei stessa diceva sempre. I primi anni era praticamente l’unica donna attiva presente, a parte le mogli dei partecipanti. Nel 1913 la riunione annuale si tiene a Vienna. 65 anni più tardi viene ricordata così da un nipote del matematico Franz Mertens che ebbe modo di incontrarla in quell’occasione: “Ricordo chiaramente una persona in visita che, sebbene una donna, mi sembrò simile a un cappellano cattolico di una parrocchia di campagna. Vestita con un indescrivibile pastrano nero che le sfiorava la caviglia, un cappello da uomo da cui spuntavano capelli corti (ancora una rarità all’epoca) e con una borsa a tracolla sistemata di traverso simile a quella dei ferrovieri all’epoca dell’impero. Era una ben strana figura. Avrà avuto circa trent’anni allora. L’avrei facilmente scambiata per un prete di qualche villaggio dei dintorni” (5). In questa descrizione sono già evidenti molti tratti caratteristici di quello che sarà il tipico stile “à la Noether”. Negli anni fra il 1913 e il 1914 la Noether intensifica i suoi contatti con Felix Klein e David Hilbert i quali all’epoca si stavano interessando della teoria della relatività generale di Einstein. Hilbert era il personaggio di punta della vita scientifica di Göttingen e dopo la morte di Henri Poincaré era ormai considerato il più grande matematico dell’epoca.
Hilbert insegnava a Göttingen dal 1895, città dove sarebbe rimasto per il resto della sua vita; durante il famoso semestre 1903/1904 Emmy aveva seguito anche i suoi corsi. A differenza di Klein, un uomo piuttosto bello, barba e capelli nerissimi, alto e distaccato nella sua tipica aria regale, Hilbert era di media statura, vivace, quasi sanguigno, con una barba rossiccia e dall’abbigliamento non pretenzioso; non aveva affatto l’aria del professore. Anche il suo stile come insegnante era del tutto diverso da quello di Klein: parlava lentamente senza “darsi delle arie” e con molte ripetizioni “per essere sicuro che tutti fossero in grado di capirlo”. Era sua abitudine fare una accurata rassegna degli argomenti della lezione precedente, una tecnica ritenuta da liceo e disdegnata dagli altri professori. A volte, senza dirlo in modo esplicito, Hilbert sviluppava una delle sue personali idee spontaneamente, di fronte alla classe. Le sue lezioni erano lontanissime dalla perfezione di Klein, eppure proprio le false partenze, le asperità, il perdersi nei dettagli, rendevano gli studenti intensamente partecipi del processo stesso della ricerca. Non era infrequente che le lezioni si trasformassero in un fiasco. Hilbert borbottava che avrebbe dovuto prepararsi meglio e lasciava liberi gli studenti. Fin dall’inizio Hilbert aveva deciso che, attraverso la scelta dei soggetti, avrebbe educato se stesso esattamente come i suoi allievi e che quindi non avrebbe mai ripetuto sempre le stesse lezioni. A Hermann Weyl, anche lui, come Emmy, arrivato a Göttingen nel 1903, Hilbert apparve come il “Pifferaio Magico” della fiaba, che con l’irresistibile richiamo del suo “dolce flauto” lo attirava “nel profondo fiume della matematica” (6). Dopo i seminari andavano tutti insieme a mangiare in un ristorante tipico, parlando tutto il tempo di matematica. Hilbert selezionava gli studenti più brillanti con i quali faceva delle passeggiate più lunghe. I suoi “ragazzi prodigio”, li chiamava.
All’inizio del secolo Göttingen era considerata la “Mecca della matematica”, e Klein, sempre nel suo stile da dio lontano che dirigeva tutto dall’alto delle nuvole, dedicava molto del suo tempo e delle sue energie alla realizzazione del suo sogno di rendere Göttingen il centro del mondo scientifico. Già alla fine dell’Ottocento aveva creato una Società per lo sviluppo della matematica applicata e della meccanica e parallelamente aveva gradualmente organizzato l’Università in una serie di istituti scientifici e tecnici che sarebbero stati il futuro modello per i complessi scientifico-tecnologici che in seguito si sarebbero sviluppati intorno a varie università americane. Il forte interesse di Hilbert nei confronti della fisica matematica contribuiva alla notevole reputazione dell’università di Göttingen nel campo delle scienze fisiche. L’unità organica di matematica e fisica era d’altra parte un risultato che la moderna Scuola di Göttingen aveva ereditato da Friedrich Gauss e da Wilhelm Weber e Hilbert fu sempre ben lontano dal disattendere le speranze di Klein in una rinascita della tradizione. Dopo il 1900 Hilbert decise di mettersi a studiare fisica e si occupò attivamente di fisica classica prima, e poi di teorie relativistiche e di meccanica quantistica. Hilbert coltivava questi interessi in stretto contatto con Hermann Minkowski, un altro degli astri di Göttingen. Questo rapporto molto profondo, grazie al quale avranno una forte influenza reciproca nel rispettivo lavoro scientifico, era maturato nel corso degli studi universitari. La mente brillante e la precocità del timido Hermann, parecchio più giovane di tutti i suoi compagni, avevano affascinato il giovane David. Appena diciottenne Minkowski aveva vinto il Grand Prix des Mathématiques dell’Accadémie des Sciences di Parigi con una memoria sulla rappresentabilità di ogni numero come somma di cinque quadrati. L’entusiastico amore per la matematica aveva unito Hilbert e Minkowski, in un’amicizia durata fino alla morte precoce di quest’ultimo, avvenuta all’inizio del 1909.
Torniamo al 1915, anno in cui il lavoro di Einstein sulla relatività generale gioca un ruolo importante nel destino di Emmy Noether. A differenza della relatività speciale, che rappresentava la sintesi e la conclusione delle scoperte di una generazione di scienziati, la relatività generale è stata una creazione individuale, solitaria, una geniale intuizione, poggiata però su solide basi matematiche. In primo luogo sulla geometria non euclidea, elaborata nel secolo scorso da Riemann, ma anche sulla utilizzazione di uno strumento matematico di difficile accesso, il calcolo differenziale assoluto, che, sorto con le ricerche di Friedrich Gauss, Bernard Riemann e Erwin Christoffel, in quel periodo era stato sistematicamente sviluppato da due grandi matematici italiani, Gregorio Ricci-Curbastro e Tullio Levi-Civita. L’estensione del principio di relatività al caso della gravitazione richiese un lavoro durissimo. L’elaborazione matematica della teoria fu particolarmente impegnativa e si protrasse per circa sette anni. Nel 1912 Einstein scriveva a Arnold Sommerfeld: “Una cosa è certa, in tutta la mia vita non ho mai lavorato tanto duramente, e l’animo mi si è riempito di un sacro rispetto per la matematica, la parti più sottili della quale avevo finora considerato, nella mia dabbenaggine, un inutile orpello. Di fronte a tale problema, l’originaria teoria della relatività è un gioco da ragazzi” (7).
Nonostante i progressi la teoria non funzionava ancora. Nel 1913 Max Planck, in visita da Einstein, gli aveva detto: “Come amico di vecchia data devo metterti in guardia; in primo luogo non riuscirai, e anche se ciò dovesse accadere nessuno ti crederà”. Verso la fine del 1914 Einstein tenne una proficua corrispondenza con Levi-Civita il quale, mostrandosi molto più interessato di molti suoi colleghi alle idee di Einstein sulla relatività, lo aiutò a risolvere alcuni errori tecnici relativi al calcolo tensoriale. Tra la fine di giugno e i primi di luglio del 1915 Einstein viene invitato a tenere sei conferenze a Göttingen. “Con mia grande gioia sono riuscito a convincere completamente Hilbert e Klein”. “Sono entusiasta di Hilbert: un personaggio autorevole”, scrisse a Sommerfeld al suo ritorno a Berlino (8). Un entusiasmo apparentemente condiviso da Hilbert, che in quello stesso anno propone Einstein per il prestigioso premio Bolyai “per l’alto spirito matematico che permea tutti i suoi risultati”. A quest’epoca Einstein non aveva ancora completato la teoria, che presentava alcuni problemi. I progressi più importanti risalgono al periodo tra l’ottobre e il novembre di quell’anno. Il passo finale verso il completamento della teoria generale della relatività fu fatto quasi contemporaneamente da Einstein e da Hilbert. Tra il 7 e il 20 novembre i due hanno un fitto scambio di lettere – da cui traspare una notevole cordialità – nel quale comunicano l’uno all’altro gli ultimi risultati. Hilbert a Einstein: “Il tuo sistema [di equazioni] si accorda, per quanto mi è dato di vedere, esattamente con ciò che ho trovato nelle ultime settimane e ho esposto all’Accademia”. Il 25 novembre Einstein presenta all’Accademia prussiana la versione definitiva delle equazioni del campo gravitazionale – “la scoperta più preziosa della mia vita” – che rappresentavano il completamento della struttura logica della teoria (9). Il 20 novembre Hilbert aveva sottoposto a sua volta all’Accademia delle scienze di Göttingen una nota – “Grundlagen der Physik” (Fondamenti della fisica) – nella quale derivava le equazioni definitive del campo gravitazionale come soluzione di un problema variazionale. E’ difficile stabilire quanto ciascuno avesse appreso dall’altro, tuttavia Hilbert ammise pubblicamente che la grande idea di base era di Einstein. Alla fine del suo lavoro Hilbert magnificava il “metodo assiomatico”, del quale era il re, che aveva utilizzato impiegando “i più potenti strumenti dell’analisi, ovvero il calcolo delle variazioni e la teoria degli invarianti” (10).
E’ interessante notare che nelle “Grundlagen der Physik” Hilbert presentava anche il primo sforzo di formulare esplicitamente una teoria di campo che unificava gravitazione, elettromagnetismo e materia. Il tutto era nella linea caratteristica della tradizione di Göttingen: il punto di vista assiomatico-deduttivo, l’utilizzazione di teorie matematiche astratte (geometria differenziale, teoria dei gruppi e calcolo delle variazioni), l’aspirazione alla costruzione di teorie fisiche unificate. Gli aspetti sperimentali ed empirici e le questioni di interpretazione fisica erano invece considerati di secondaria importanza (11). All’epoca l’entusiasmo di Hilbert e dei suoi seguaci era alle stelle. Il sogno di una legge universale che rendesse conto della struttura del cosmo nel suo insieme, compresi gli enigmi della struttura atomica, sembrava quasi a portata di mano. La formulazione di grandi teorie di unificazione volte alla sintesi delle conoscenze seguirà un percorso ben più complesso, ma certamente Hilbert restava un precursore dei primi modelli di teorie di campo unificate. Lo stesso Einstein sembrava considerare fin troppo ambizioso il programma hilbertiano. Nel 1917 disse a uno studente di Göttingen: “E’ troppo temerario tracciare già ora una immagine del mondo, dal momento che vi sono ancora tante cose che non possiamo neppure lontanamente immaginare”. Eppure, di lì a poco, lui stesso, come ricorda Pais, “avrebbe dato inizio a un proprio programma di costruzione di una immagine del mondo…” (12).
Nel XX secolo la natura dei rapporti fra matematica e fisica si modifica profondamente. Nel caso della teoria della relatività di Einstein – speciale e generale – interviene una forma inedita di interazione: la matematica non è più un mero supporto “di calcolo”, ma assume ormai un ruolo di struttura fondante per la descrizione della realtà fisica. Nel 1907 Einstein aveva avuto quello che lui stesso ha definito “il pensiero più felice della mia vita”. “Ero seduto sulla mia sedia nell’ufficio brevetti a Berna quando all’improvviso mi si presentò un pensiero: “Se una persona cade liberamente non sentirà il suo stesso peso”. Ne fui colpito. Questo semplice pensiero fece su di me una profonda impressione. Mi indirizzò verso una teoria della gravitazione”. Dalla primitiva intuizione fisica del principio di equivalenza tra massa inerziale e massa gravitazionale, il cammino di Einstein verso la formulazione di una teoria generale dovette passare attraverso la scoperta dell’esistenza di strutture matematiche che forniranno un fondamento matematico alla teoria fisica. Nel primo paragrafo della sua memoria del 25 novembre Einstein aveva esplicitamente affermato: “I mezzi matematici necessari per la teoria della relatività generale erano già pronti nel “calcolo differenziale assoluto”, che si basa sulle ricerche di Gauss, Riemann e Christoffel sulle varietà non euclidee, ed è stato eretto a sistema da Ricci e Levi-Civita e da essi applicato a problemi della fisica teorica” (13).
La teoria dei gruppi, un tipo di matematica che gli stessi matematici consideravano all’inizio troppo astratta per trovare applicazioni nella fisica, costituisce un’altra eclatante dimostrazione di quella che Eugene Wigner ha definito la ingiustificabile (unreasonable) applicabilità della matematica alla fisica. Fu la teoria dei gruppi continui di trasformazioni, elaborata da Lie intorno al 1870, quella che si dimostrò più fruttuosa nelle sue applicazioni alla fisica. Essa condusse in maniera naturale a definire il concetto di simmetria o invarianza delle leggi fisiche rispetto a un gruppo continuo di trasformazioni, concetto che rappresenta una delle innovazioni più significative della fisica del nostro secolo (14). Certamente Einstein, più di ogni altro, comprese le conseguenze della simmetria delle leggi fisiche – e il loro collegamento con la struttura matematica dello spazio-tempo – mettendone in luce le profonde e rivoluzionarie implicazioni: “Le leggi della fisica devono essere di natura tale da valere in sistemi di riferimento in moto arbitrario” e non già solo in quelli in moto uniforme, come richiedeva la relatività speciale. Già nel 1910 Klein aveva osservato che relatività significa invarianza rispetto a un gruppo di trasformazioni e implica perciò una particolare simmetria delle equazioni della teoria, a sua volta un riflesso della geometria dello spazio-tempo postulata per l’insieme degli eventi fisici. A questo punto entra ufficialmente in scena Emmy Noether, che a quell’epoca aveva al suo attivo numerose pubblicazioni sulla teoria degli invarianti ed era ormai considerata un’ autorità sull’argomento. Questo spiega perché avesse attratto l’attenzione di Hilbert e di Klein i quali, immersi fino al collo nella teoria della gravitazione l’avevano invitata a Göttingen. Emmy Noether si trovava là dall’aprile del 1915.
Nell’autunno del 1915 Emmy scriveva a Ernst Fischer: “La teoria degli invarianti qui va per la maggiore; perfino Hertz, un fisico, studia il Gordan-Kerschensteiner, la prossima settimana Hilbert farà un seminario sugli invarianti differenziali di Einstein, e allora sì che a Göttingen bisognerà saperne qualcosa” (15). Le porte della “Mecca” si erano aperte dinanzi a Emmy Noether che non lascerà più Göttingen, se non per soggiorni di studio e di lavoro, e vi rimarrà fino ad assistere alla fine di quell’epoca gloriosa a opera della Germania di Hitler. Hilbert e Klein, ben determinati a farla restare, pongono immediatamente il problema della sua collocazione accademica e già il 20 luglio del 1915 spingono la Noether a fare richiesta per l’abilitazione. L’università di Göttingen era stata la prima università tedesca a fornire il titolo di dottore a una donna, ma concedere l’abilitazione era tutt’altra faccenda. Nell’intera Germania nessuna donna aveva ancora ottenuto l’abilitazione all’insegnamento. L’intera facoltà di Filosofia, che comprendeva filosofi, filologi e storici insieme ai matematici e agli studiosi di scienze naturali, doveva votare l’accettazione della tesi di abilitazione. Nel 1907 lo storico Karl Brandi aveva espresso la sua profonda disapprovazione “Molti di noi giudicano l’accesso delle donne agli organismi universitari come qualcosa di dannoso per l’influsso umano e morale che può avere sul corpo insegnante maschile e su un uditorio fino ad ora omogeneo”. E continuava su questo tono affermando che la presenza femminile avrebbe compromesso il buon esito dell’insegnamento: “Non vorrei rinunciare a quel tono di confidenza informale […] una condizione fondamentale per una perfetta riuscita della lezione risiede nell’omogeneità di sesso” (16). Naturalmente l’opposizione veniva in particolare dai membri non matematici della facoltà. “Come si può consentire che una donna diventi Privatdozent? Se diventa Privatdozent può diventare professore e membro del Senato accademico. Si può permettere che una donna entri a far parte del Senato?” Queste erano le ragioni formali. Ma altre inquietanti preoccupazioni agitavano le menti: “Cosa penseranno i nostri soldati quando torneranno all’università e scopriranno che gli si chiede di studiare sotto la guida di una donna?” Hilbert, che non aveva peli sulla lingua ed era sempre molto diretto nelle sue argomentazioni, sembra rispondesse così agli argomenti formali: “Cari signori, non vedo perché il sesso della candidata debba costituire un argomento contro la sua ammissione come Privatdozent. In fin dei conti il Senato accademico non è uno stabilimento termale”. Per ironia della sorte nessuno sembrava considerare Emmy come appartenente al sesso femminile a tutti gli effetti. A chi gli chiedeva se ritenesse la Noether il più grande matematico di sesso femminile, il matematico Edmund Landau, collega di Emmy, dirà più tardi: “Non c’è alcun dubbio che sia un grande matematico, ma che sia una donna non posso giurarlo”. Normalmente ci si riferiva a lei con l’appellativo “der Noether” – der è l’articolo che precede i nomi maschili in tedesco. Era stato uno dei suoi studenti più famosi, Alexandrov, a ribattezzarla così. Lui stesso preciserà in seguito: “La sua femminilità si manifestava in quel gentile e sottile liricismo che era al cuore degli assai diffusi ma mai superficiali interessi nei confronti delle persone, della sua professione, e dell’intera umanità”.
In ogni caso l’aspetto fisico di Emmy Noether sembra fosse ben lontano dall’indurre in tentazione: “Nessuno potrebbe sostenere che le Grazie abbiano presieduto alla sua nascita”, dice Weyl, che la frequentò a lungo. Certo Emmy aveva poco in comune con la leggendaria Sonya Kowalewski, che aveva stregato anche Weierstrass con il suo charme fisico e intellettuale. Tutti quelli che hanno conosciuto Emmy sono concordi nel dichiarare che “aveva una voce forte e sgradevole” e che “il suo abbigliamento faceva borse da tutte le parti”. In contrasto con queste apparenze le sue qualità umane e spirituali erano considerate notevoli e lo stesso Weyl ricorda che Emmy era “piena di calore umano quanto una pagnotta di pane”. Nonostante gli sforzi Hilbert e Klein non riuscirono nel loro intento. Alla richiesta ufficiale di concedere l’abilitazione – “La nostra istanza non ha l’obiettivo di andare contro il decreto ma chiede di prendere in considerazione una dispensa per questo caso particolare, più unico che raro…” – il Ministero rispose dopo due anni: “Non si possono concedere eccezioni, anche se in un caso così particolare in cui l’eccezione è innegabile”. Nel frattempo Hilbert aveva risolto il problema a modo suo. Le lezioni di fisica matematica – Teoria degli invarianti – annunciate con il nome del professor Hilbert, venivano tenute da Fräulein Noether. Nel corso del semestre invernale 1916/17 la Noether tenne lezioni sulla teoria degli invarianti e continuò a lavorare su questi argomenti per i quali lo stesso Klein dimostrava un fortissimo interesse che scaturiva dall’individuare una correlazione fra le idee alla base della teoria speciale e generale della relatività e il suo “Programma di Erlangen”, vero e proprio “manifesto” sull’importanza dei gruppi di trasformazioni e dei loro invarianti per la geometria. Il tutto si integrava con la sua grande ammirazione per Riemann, che Klein vedeva così sorprendentemente giustificata dalla teoria di Einstein sulla gravitazione (17).
Anche la connessione fra le leggi di conservazione della meccanica classica (energia, impulso, momento angolare e moto uniforme del centro di massa) e le corrispondenti simmetrie dello spazio-tempo (traslazioni nello spazio e nel tempo, rotazioni e trasformazioni di Galileo e di Lorentz) erano da diversi anni al centro degli interessi di Klein, come si deduce dal testo delle conferenze da lui tenute negli anni 1915-1917 sugli sviluppi della matematica nel XIX secolo. Nel frattempo Hilbert continuava a occuparsi di relatività generale e in particolare dell’apparente venir meno delle leggi di conservazione dell’energia-impulso. Questo restava il punto debole della teoria. Hilbert lo aveva citato in un lavoro come “il venir meno del teorema dell’energia”. In una lettera a Klein affermava che questo sembrava una caratteristica distintiva della teoria generale. Hilbert dice anche di aver chiesto a Emmy Noether di aiutarlo a chiarire la faccenda. Nel 1916 anche Klein stava lavorando a questo problema della conservazione dell’energia – che lui definiva “vettore dell’energia di Hilbert” – e a questo proposito scriveva a Hilbert: “Lei sa che la signorina Noether continua a consigliarmi nel mio lavoro ed è certo grazie a lei che sono diventato competente nell’argomento. Parlando di recente con Fräulein Noether dei risultati ottenuti con il suo vettore dell’energia, mi ha detto di aver derivato la stessa cosa a partire dalla sua nota di un anno fa [Grundlagen der Physik] e di averne preso nota su un manoscritto che ho esaminato”. Nel presentare i suoi risultati sul vettore dell’energia all’Accademia, Klein ringraziava la Noether per i suoi contributi. Nel rispondere a Klein Hilbert sottolineava a sua volta: “Emmy Noether, al cui aiuto ho fatto ricorso per chiarire le questioni connesse alla mia legge dell’energia…”. L’ “esperto di teoria degli invarianti”, come Hilbert una volta si era autodefinito, ricorreva all’aiuto dell’antica allieva del “re degli invarianti”! Nello stesso periodo la Noether raccontava a un’amica che un gruppo di Göttingen, al quale apparteneva anche lei, stava eseguendo calcoli difficilissimi per Einstein. “Nessuno di noi capisce a che cosa possano servire” (18). A questo punto sembrerebbe proprio che anche Emmy stesse sguazzando in piena teoria della relatività.
Il 24 maggio 1918 Einstein scrive a Hilbert a proposito di un articolo pubblicato da Emmy nel mese di gennaio (19): “Ieri ho ricevuto dalla signorina Noether un lavoro molto interessante sugli invarianti. Mi impressiona molto il fatto che qualcuno riesca a comprendere questioni di questo tipo da un punto di vista così generale. Non sarebbe stato male mandare la vecchia guardia di Göttingen a scuola da Fräulein Noether. Di sicuro conosce bene il suo mestiere!” (20). Nel mese di luglio dello stesso anno un lavoro di Emmy Noether (21) fu presentato all’Accademia reale delle scienze di Göttingen da Felix Klein, presumibilmente perché la Noether non faceva parte di quell’accademia. Viene perfino la tentazione di chiedersi se fosse presente quando il lavoro venne letto! (22) Vi si presentavano due teoremi e i loro inversi che rivelavano nel modo più generale la connessione tra simmetrie e leggi di conservazione in fisica, generalizzando una serie di risultati ottenuti in epoche diverse a tutti i gruppi continui finiti e infiniti. Il lavoro della Noether incorporava in modo inedito differenti campi della matematica e della fisica matematica:
1) La teoria degli invarianti algebrici e differenziali;
2) La geometria di Riemann e il calcolo delle variazioni nel contesto della relatività generale, della meccanica e della teoria dei campi;
3) La teoria dei gruppi, in particolare la teoria dei gruppi di Lie per risolvere o ridurre le equazioni differenziali per mezzo dei loro gruppi di invarianza.
L’originalità di quello che si chiamerà il “Teorema di Noether” consiste proprio nel fondare ciascun principio di conservazione di una quantità fisica sull’invarianza formale delle leggi (23). Più precisamente enuncia che, per ciascuna simmetria continua – come per esempio una rotazione nello spazio – o una simmetria discreta – come l’inversione temporale o riflessione spaziale – della funzione di Lagrange che rappresenta il sistema fisico, esiste una quantità che si conserva nel corso dell’evoluzione di questo sistema. Le conclusioni più interessanti del teorema si ottengono nel caso di trasformazioni cosiddette euclidee, perché in questo caso le grandezze conservate hanno una interpretazione fisica immediata. Le trasformazioni euclidee hanno la caratteristica di non deformare gli oggetti: si tratta di traslazioni temporali, traslazioni spaziali o rotazioni. In queste situazioni semplici il teorema fornisce i tre risultati seguenti: se la lagrangiana che rappresenta il sistema fisico è invariante (simmetrica) per una traslazione temporale – ovvero se la sua espressione formale non cambia quando si effettua uno spostamento sulla variabile tempo – l’energia totale del sistema si conserva nel corso del movimento; nel caso di invarianza per traslazioni spaziali, la quantità che si conserva è l’impulso (quantità di moto del sistema); infine, se si ha invarianza per rotazione (i parametri necessari per descriverla sono tre) si conserva il momento angolare (tre componenti). Ciascuno dei tre grandi principi di conservazione della fisica si fonda quindi in ultima analisi su una simmetria di tipo particolare. Il teorema di Noether fa quindi apparire un legame del tutto inatteso fra il contenuto delle leggi fisiche e la struttura dello spazio tempo stesso. La conservazione dell’energia in particolare ha come diretta implicazione la costanza delle leggi della fisica, e dunque l’uniformità del tempo. In effetti la costanza di alcuni parametri base come la carica elettrica, la massa dell’elettrone, la costante di Planck, la velocità della luce, ecc. è stata verificata ampiamente su tempi lunghissimi e distanze enormi attraverso osservazioni astronomiche e geologiche con una precisione di circa 10-8 sull’intera età dell’Universo. La conservazione della quantità di moto ci rinvia a quella che si potrebbe chiamare l’universalità delle leggi (l’invarianza per traslazione spaziale ci dice che la fisica si scrive nello stesso modo a Parigi e a New York) e dunque all’omogeneità dello spazio. La conservazione del momento angolare implica invece che lo spazio è isotropo (non esiste una direzione privilegiata) (24).
Questi teoremi si allontanavano in qualche modo dalla principale linea di ricerca della Noether, lo sviluppo della moderna algebra astratta. Ma la caratteristica costante dei suoi maggiori contributi alla matematica moderna consisteva proprio nella sua abilità nel derivare risultati di importanza generale a partire da un caso specifico. Anche in questo caso il risultato che Emmy aveva ottenuto era infatti del tutto generale, nel più puro stile “noetheriano”. Nel primo teorema Emmy Noether mostrava infatti, come caso particolare, che in teorie del tipo della relatività generale esistono delle identità – nel caso di questa teoria sono le cosiddette identità di Bianchi – che forniscono delle leggi di conservazione locali di tipo differenziale le quali in uno spazio tempo piatto si trasformano nelle ordinarie leggi di conservazione dell’energia e dell’impulso (25). La bellezza e l’importanza straordinaria del Teorema di Noether sta proprio nella combinazione di due proprietà: è estremamente generale da una parte e dall’altra fornisce la possibilità di costruire immediatamente le quantità conservate data la funzione di Lagrange e il suo gruppo di invarianza! Nel lavoro di Emmy confluivano in definitiva una serie di ingredienti che ne facevano l’apice dell’evoluzione di una serie di campi di ricerca rendendo molto più profonda la comprensione dei principi di conservazione e fornendo lo strumento per le grandi scoperte delle simmetrie di gauge che caratterizzeranno il XX secolo, proprio grazie al fatto che il teorema si basa su una versione generalizzata della teoria del gruppi. La generalità del teorema è infatti tale che attraverso di esso la matematica ha acquistato una portata “euristica” del tutto inedita: diventa possibile derivare a priori e in modo del tutto stupefacente l’esistenza di entità fisiche ben determinate. Tutto ciò non ha fatto che accrescere il mistero sulla natura del potere creativo del linguaggio matematico, apparentemente una semplice concatenazione di simboli, eppure così prossima alla natura delle cose.
Questo lavoro rappresentò la sua tesi di abilitazione. Nel curriculum vitae che la Noether allegò agli atti lei stessa lo presenta come uno studio che “in parte consiste in uno sviluppo del mio lavoro di supporto a Klein e Hilbert nelle loro ricerche sulla teoria generale della relatività di Einstein”. Ben cosciente degli scopi e dell’importanza dei suoi risultati per la fisica, la Noether scriveva anche: “I risultati generali contengono, come casi particolari, i teoremi sugli integrali primi
[leggi di conservazione]
in meccanica, oltre ai teoremi di conservazione e le identità fra le equazioni di campo della teoria della relatività” (26). Questi risultati così fondamentali furono comprensibilmente molto apprezzati da Einstein, il quale, in una lettera a Hilbert, si riferiva al “penetrante pensiero matematico della Noether”. Alla fine del 1918 Einstein scriveva a Klein, a proposito del deplorevole protrarsi del caso Noether: “Nel ricevere il nuovo lavoro della Noether ho riflettuto di nuovo sulla grossa ingiustizia che le viene fatta negandole la venia legendi. Io sarei dell’avviso di intraprendere un energico passo verso il Ministero. Se lei non lo ritiene possibile, allora me ne incaricherò io stesso”. Alla fine della prima guerra mondiale l’atteggiamento politico cambia, ha luogo un riconoscimento più esteso dei diritti della donna e il ministero concede l’abilitazione a Emmy, che nel 1919 divenne finalmente Privatdozent, una posizione che, oltre a rappresentare il più basso dei gradini nella scala accademica, non comportava alcuno stipendio. Nel 1923 Hilbert riuscì a ottenere per lei l’incarico di nicht-beamteter ausseordentlicher Professor, di nuovo una nomina che non implicava “alcun mutamento nella sua posizione legale”, in particolare non comportava l’assegnazione di alcuna funzione ufficiale. In altre parole era un mero “titolo senza mezzi”. L’unico piccolo introito stabile le derivava da un contratto per l’insegnamento dell’algebra. Tutto ciò obbligò sempre la Noether a vivere in modo molto semplice e modesto, ma forse Emmy avrebbe mantenuto ugualmente uno stile di vita di questo tipo; tutti i soldi che le avanzavano li utilizzava in genere per aiutare i propri familiari.
Intanto le preoccupazioni dei membri più reazionari del senato accademico venivano smentite in modo eclatante: intorno a Emmy Noether ruotava uno dei più fertili gruppi di ricerca della Göttingen fra le due guerre. I suoi rapporti con gli studenti erano leggendari. Come disse una volta Norbert Wiener: “Sembrava una robusta lavandaia molto miope i cui studenti si affollavano intorno a lei come una nidiata di anatroccoli intorno a una chioccia materna e affettuosa”. Con autoironia lei stessa chiamava i più brillanti “Trabanten”, i suoi “seguaci”. I “ragazzi di Noether” venivano da tutto il mondo: Russia, Olanda, Israele, Cina e Giappone. Erano la sua famiglia e un’offesa fatta a loro era per Emmy peggiore di qualsiasi oltraggio fatto a lei stessa. La sua dedizione verso i suoi studenti era enorme, ed essi ricorrevano a lei per qualsiasi problema, anche di carattere privato. Emmy di certo non era adatta per l’insegnamento dei corsi di base. Pensava a grande velocità e parlava ancora più velocemente tenendo l’uditorio per tutto il tempo al limite dell’impegno mentale. Pur essendole ben chiaro ciò che voleva dire, non era affatto sicura di quanto avrebbe detto. Scriveva qualcosa sulla lavagna e la cancellava subito dopo. I pareri sono molto discordi sulle sue qualità come insegnante. Molti dei suoi studenti divennero essi stessi professori universitari, alcuni di loro molto eminenti, ma perfino alcuni tra i più famosi ricordano di aver seguito con molta difficoltà le sue lezioni, che il più delle volte non erano preparate in anticipo. Chi era già addentro all’argomento le ricorda invece come un’esperienza indimenticabile. I risultati non venivano presentati in modo chiaro e definito, ma in compenso era possibile partecipare al loro processo di derivazione e perfezionamento. Uno degli allievi preferiti di Emmy Noether, Bertel van der Waerden, racconta che durante le lezioni di Emmy si assisteva a questa tipica scena: Emmy doveva dimostrare un certo teorema e aveva in mente una prova diversa da quella utilizzata correntemente, che tipicamente seguiva un approccio astratto, basato su concetti e assiomi, senza calcoli e con pochissimi passaggi. Ma Emmy al solito non aveva definito nei dettagli il procedimento e quando si accorgeva in aula che le cose non funzionavano come previsto veniva sopraffatta dalla rabbia. Lanciava via il gesso e calpestandolo urlava: “Ecco, ora non posso farlo a modo mio!” e proseguiva a malincuore, seppure in modo impeccabile, seguendo la “via tradizionale”.
Durante le lezioni si appassionava talmente che i suoi abiti si scomponevano, le forcine cominciavano a sfuggire dai capelli. Alla fine della lezione non c’era speranza di attrarre l’attenzione di Emmy sullo stato pietoso della sua capigliatura, tanto continuava a essere assorbita dalle discussioni con gli studenti. In ogni caso non gliene importava un bel niente dell’abbigliamento: andava in giro con ombrelli dissestati e scarpe terribilmente robuste – davano l’impressione di essere calzature maschili – e così finiva con l’avere un’aria trasandata. La sua sciatteria finiva con l’essere contagiosa e quando i suoi studenti russi – presso i quali era molto popolare – cominciarono ad andare in giro per Göttingen in maniche di camicia – una sorprendente trasgressione rispetto al canonico abbigliamento degli studenti dell’epoca – lo stile fu ribattezzato “uniforme della guardia Noether”. Il suo comportamento a tavola era ugualmente “distratto”, come ricorda Olga Taussky, una studentessa cecoslovacca che ebbe con lei dei rapporti molto stretti: “All’ora di pranzo io sedevo vicino a Emmy, alla sua sinistra. Emmy era occupatissima a discutere di matematica con il suo vicino di destra e con tutti coloro che sedevano nei dintorni. Mangiava il suo pasto gesticolando violentemente per tutto il tempo. L’operazione le teneva occupata anche la mano sinistra, con la quale spazzava via del tutto imperturbata il cibo che faceva continuamente cadere sul vestito”.
La sua generosità e la sua dedizione verso i propri allievi erano proverbiali. In effetti Emmy non era portata all’insegnamento elementare davanti a classi numerose, ma era capace di esercitare un’influenza eccezionale su allievi particolarmente dotati e già avanti con gli studi o addirittura già avviati nel lavoro di ricerca. Il significato del suo lavoro non può essere valutato a pieno soltanto a partire dalle sue pubblicazioni. Emmy aveva una enorme capacità di stimolare gli altri e molti dei suoi suggerimenti presero una forma definitiva soltanto nel lavoro dei suoi allievi e collaboratori. Era sempre pronta a condividere il suo patrimonio di idee con chiunque fosse in grado di seguirla. Van der Waerden la definì: “Del tutto priva di egoismo e libera da qualsiasi vanità, non reclamava mai nulla per sé, ma portava avanti prima di tutto il lavoro dei suoi allievi” (27). Lei stessa affermava: “I miei metodi riguardano il lavoro e la capacità di comprensione e quindi il loro affermarsi avviene in modo anonimo”. Un tipico destino che ha caratterizzato l’operato delle donne per secoli. Per anni curò la pubblicazione di articoli per i Matematische Annalen. Pur non figurando ufficialmente svolse sempre il suo lavoro con coscienza e precisione, riuscendo a essere amica fedele e critico severo allo stesso tempo.
Molti concetti di base dell’algebra sono scaturiti dalle sue lezioni. Nel 1930 lo studente olandese van der Waerden, che nel 1924 passò un anno a Göttingen, ne tradusse le idee nel volume Moderne Algebra, che contribuì in maniera essenziale a diffondere le concezioni della Noether e a farle diventare patrimonio di ogni matematico. Il libro, che ha conosciuto non meno di otto riedizioni, era da van der Waerden redatto “utilizzando le lezioni di Emmy Noether e di E. Artin” ed è oggi diventato un classico. Vi si dava un’esposizione dei concetti fondamentali dell’algebra astratta, dalla teoria dei gruppi, agli anelli, ai campi, alla teoria degli ideali e delle algebre. Nel corso degli anni Venti il lavoro di Emmy Noether cambiò il volto dell’algebra e soprattutto da lei scaturì un nuovo modo di pensare in algebra, che ha fatto epoca. Insieme ai suoi studenti, pochi e spesso stranieri, rappresentava la tendenza verso l’astrazione e la generalizzazione che negli anni successivi sarebbe diventata sempre più dominante. “Ci ha insegnato a pensare in termini semplici e quindi del tutto generali […] non secondo complicati procedimenti algebrici”, disse di lei Alexandrov. Molti dei suoi allievi sono poi diventati matematici di fama mondiale. Intorno al 1930 Emmy Noether continuava a non essere professore, ma contribuiva in modo decisivo all’ “atmosfera matematica” di Göttingen. Ogni domenica pomeriggio faceva con i suoi “seguaci” una lunghissima passeggiata – matematica e passeggiate erano una solida tradizione di Göttingen – che aveva come meta finale la modesta casa di Emmy dove veniva preparato il delizioso pudding “à la Noether” senza mai interrompere l'”algebrica” conversazione. Una gran parte della vita sociale a Göttingen dipendeva dalle festicciole che i professori davano in varie occasioni durante l’anno. Ciascuno aveva il suo stile. Le riunioni di Landau avevano un carattere “intellettuale”, si facevano dei giochi di abilità; Hilbert non vi partecipava mai, mentre era sempre presente ai famosi “party per bambini” di Emmy Noether. I coniugi Weyl davano dei tè danzanti la domenica pomeriggio, molto eleganti e formali, pieni di ragazze carine. I Courant invece organizzavano di continuo serate musicali, alle quali alcuni studenti venivano invitati (28). Una volta emigrata negli Stati Uniti Emmy conserverà il suo tipico stile, con i suoi immancabili occhiali spessi come fondi di bottiglia e il suo modo caratteristico di girare la testa da un lato e di guardare in lontananza nello sforzo di pensare, con il suo modo anticonformista di vestire che attraeva l’attenzione – un effetto del tutto fuori dalle sue intenzioni. Continuerà a fare le tradizionali passeggiate della domenica pomeriggio finendo come al solito con l’essere talmente assorbita dalla conversazione da rischiare di finire sotto un’auto se i suoi studenti non l’avessero regolarmente protetta (29).
Alla fine degli anni Venti Göttingen era ormai il centro della matematica mondiale. Vi insegnavano matematici di prim’ordine come Edmund Landau – analista e teorico dei numeri succeduto a Minkowski – Hermann Weyl, Richard Courant – l’antico assistente di Hilbert, ora direttore del nuovo Istituto di Matematica -, Costantin Carathéodory e Paul Bernays, solo per citarne alcuni. Matematici di ogni paese vi passavano periodi di studio. Göttingen era diventata un centro importante anche per la fisica. Un gruppo di giovani eccezionalmente dotati si era raccolto intorno a Max Born, che dopo la guerra era diventato professore di fisica teorica. Fin dall’inizio era stata sua ferma intenzione di creare un istituto all’altezza di quello di Sommerfeld a Monaco. Quest’ultimo, per inciso, era stato a sua volta allievo di Klein… I primi assistenti di Born furono Wolfgang Pauli e Werner Heisenberg,, entrambi destinati a modificare radicalmente il modo in cui la fisica guarda il mondo. Emmy Noether giocava ormai un ruolo di primo piano nel gruppo dei matematici. Le sue idee e i suoi metodi si andavano decisamente affermando anche all’estero e nel 1928-29 essa fu per qualche mese professore visitatore all’università di Mosca, dove consolidò l’amicizia con P. S. Alexandrov, suo antico allievo e influenzò il circolo dei matematici riuniti intorno a lui. Nel 1930 ebbe un incarico a Francoforte. Tuttavia Hermann Weyl, nel succedere alla cattedra di Hilbert nel 1930, ricordava con rammarico la penosa situazione accademica della Noether: “Quando ebbi un incarico stabile a Göttingen nel 1930, cercai in tutti i modi di ottenere dal Ministero una migliore posizione per lei, perché mi vergognavo di occupare una posizione tanto privilegiata rispetto a lei, che ritenevo superiore a me come matematico sotto molti punti di vista. Non ci riuscii, così come fallì un tentativo di sostenere la sua elezione come membro dell’Accademia delle Scienze di Göttingen. Tradizione, pregiudizio, considerazioni esterne, fecero pendere la bilancia contro i suoi meriti scientifici e la sua statura scientifica, che all’epoca non era negata da alcuno” (30). Quando Emmy fu negli Stati Uniti, Weyl fece in modo che divenisse membro dell’American Mathematical Society.
Nel settembre 1932 Emmy Noether è l’unica donna a partecipare alle ventuno conferenze plenarie del Congresso internazionale di matematica tenuto a Zurigo. Era il trionfo della sua linea di lavoro, il pieno riconoscimento del suo programma di ricerca e il punto più alto della sua fama scientifica a livello internazionale. Nello stesso anno ricevette l’ambito premio Alfred Ackermann-Teubner per i suoi meriti scientifici. Ma la tempesta si sta addensando sulla testa di Emmy Noether, su Göttingen, sulla Germania e presto coinvolgerà il mondo intero. Nel gennaio dell’anno successivo il presidente von Hindenburg nomina Adolf Hitler cancelliere del Reich. Immediatamente vengono prese le prime misure destinate a distruggere il “potere satanico” che “teneva in pugno tutte le posizioni chiave della vita scientifica e intellettuale, oltre a quella politica ed economica”. Alle università viene ordinato di rimuovere da qualsiasi incarico di insegnamento tutti coloro che hanno sangue ebraico nelle vene. La scuola di Hilbert riceve il colpo più duro. Nessun pregiudizio – di nazionalità, di sesso o razziale – vi aveva mai avuto cittadinanza. Weyl prese il posto di Courant, succedendo a Otto Neugebauer che, essendosi rifiutato di giurare fedeltà al regime, era sopravvissuto come direttore dell’Istituto un solo giorno. Weyl pensava che si potesse fare ancora qualcosa. Scrisse innumerevoli lettere, incontrò membri del governo, ma nulla poté essere cambiato. Sua moglie era in parte ebrea e gli amici, tra cui Einstein che era già a Princeton, lo scongiurarono di partire prima che avvenisse il peggio. L’ultimatum si applicava anche a Emmy Noether. Non si erano mai viste tante firme illustri come quelle poste in calce agli appelli inviati al Ministero per il caso Noether. Il nome di Hilbert era in cima alla lista. Hilbert aveva da poco compiuto settant’anni e il giorno del suo compleanno era stato ben lontano dall’immaginare sorte peggiore per la sua Göttingen (31).
Emmy morirà improvvisamente nel 1935, in seguito a un’operazione. “Il suo cuore non conosceva la malizia, lei non credeva nel male – in realtà non le passò mai per la mente che potesse avere un ruolo fra gli uomini”. “Era al culmine dei suoi poteri, la sua immaginazione e la sua tecnica avevano raggiunto il punto più alto di un perfetto equilibrio” (32). L’avvento del nazismo segnò anche la fine della straordinaria stagione matematica di Göttingen. Come Emmy Noether quasi tutti i membri della scuola di Hilbert e moltissimi altri furono costretti a partire. La maggioranza emigrò negli Stati Uniti. Altri, pur non essendo ebrei, li seguirono nell’emigrazione per non sottostare al regime nazista. Gli Stati Uniti improvvisamente si ritrovarono incredibilmente arricchiti del fior fiore degli scienziati europei. Durante un banchetto Hilbert fu apostrofato dal nuovo ministro nazista per l’educazione: “Come va la matematica a Göttingen, ora che l’abbiamo liberata dall’influenza ebraica?”. “Matematica a Göttingen?” rispose Hilbert. “Non se ne vede più nemmeno l’ombra” (33).
Attualmente il teorema di Noether è uno strumento fondamentale nell’arsenale del fisico teorico e viene insegnato correntemente in teoria quantistica dei campi e in fisica delle particelle, ma probabilmente la maggior parte degli algebristi non ha mai sentito parlare del teorema di Noether, che interessa solamente i fisici i quali, per la maggior parte, continuano a loro volta a ignorare l’esistenza degli anelli di Noether…
NOTE
1) Cit. in Hans A. Kastrup, The contribution of Emmy Noether, Felix Klein and Sophus Lie to the modern concept of symmetries in physical systems, in Symmetries in physics (1600-1980), Proceedings of the 1st international Meeting on the History of Scientific Ideas; a cura di Manuel G. Doncel, Armin Hermann, Louis Michel, Abraham Pais, Universitat autonòma de Barcelona (1987).
2) Hermann Weyl, Scripta Mathematica, 3, 201-221 (1935)
3) I. M. Yaglom, Felix Klein and Sophus Lie – Evolution of the Idea of Symmetry in the Nineteenth Century, Birkhäuser (1988), pp. 22-27.
4) Dato che ogni punto del piano equivale a una coppia di numeri reali, le figure geometriche possono essere formalizzate attraverso equazioni algebriche e, viceversa, le equazioni algebriche possono essere graficate come figure geometriche. Geometria e algebra sono strettamente correlate: la prima diviene più astratta e più maneggevole e le idee algebriche più comprensibili attraverso l’intuizione ed entrambi guadagnano in generalità. Così come le dimensioni e la forma delle figure non cambiano quando la loro posizione rispetto agli assi cartesiani viene modificata, così certe proprietà delle corrispondenti forme algebriche rimangono invariate. Tali “invarianti” (polinomi omogenei di più variabili che restano invariati quando a tali variabili viene applicata una certa classe di trasformazioni lineari) servono quindi a caratterizzare una determinata figura geometrica. In modo del tutto naturale lo sviluppo della geometria proiettiva, che si occupa delle notevoli trasformazioni indotte dall’operazione di proiezione, ebbe come conseguenza uno sviluppo parallelo nel campo dell’algebra che riguardava specificamente gli invarianti delle forme algebriche sotto vari gruppi di trasformazioni. L’approccio algebrico, molto più sofisticato e più potente, sopravanzò rapidamente quello geometrico, e la teoria degli invarianti algebrici divenne oggetto di un crescente interesse fra i matematici.
5) Cit. in Auguste Dick, Emmy Noether, 1882-1935, Birkhäuser (1981), p. 22.
6) Cit. in U. Bottazzini, Il flauto di Hilbert, Storia della matematica moderna e contemporanea, Utet (1990), p. 5.
7) Il cuore della difficoltà stava nel fatto che, volendo prendere in considerazione i sistemi non inerziali, non risultava più possibile ritenere validi, per questi sistemi, i sistemi di coordinate abituali, nei quali le coordinate hanno un significato metrico immediato, cioè differenze tra coordinate spaziali o tra coordinate temporali equivalgono a lunghezze e intervalli di tempo misurabili. Einstein si rese infatti conto che nei sistemi non inerziali debbono valere sistemi di coordinate differenti da quelli validi per i sistemi inerziali, cioè che la geometria dello spazio-tempo in cui vengono rappresentati gli effetti gravitazionali non ha proprietà euclidee. Per poter trattare lo spazio-tempo con sistemi di coordinate adeguate a tale complessità di rappresentazione Einstein dovette ricorre a strumenti matematici estremamente astratti e raffinati – in primo luogo al calcolo tensoriale, elaborato dai matematici italiani – che resero la sua teoria oltremodo difficile per la maggior parte dei fisici. Essa offriva un’immagine del mondo assolutamente nuova: i corpi si muovono liberamente, seguendo dunque un moto inerziale, in uno spazio tempo non-euclideo, “curvo”; le masse non esercitano alcuna forza gravitazionale, ma determinano la curvatura dello spazio-tempo che le circonda e con essa anche il percorso dei corpi che si trovano in movimento al suo interno; solo approssimativamente, su brevi distanze, cioè localmente, lo spazio-tempo può essere considerato di tipo euclideo.
8) J. Earman 1 C. Glymour, “Einstein and Hilbert: Two Months in the History of General Relativity”, Archive for the History of Exact Sciences, 19 (3) (1978/79), pp. 291-308.
9) Einstein a Sommerfeld, 9 dicembre 1915. Il 18 novembre Einstein aveva scritto al fisico Paul Ehrenfest: “Per alcuni giorni sono stato fuori di me per l’eccitazione e la gioia”. La questione riguardava la precessione del perielio di Mercurio, per il quale Le Verrier, nel 1859, aveva riscontrato uno spostamento residuo di 38” per secolo che non poteva essere spiegato in base agli effetti della gravitazione newtoniana e per la quale aveva ipotizzato “qualche azione sconosciuta”. Nel 1882 tale avanzamento era stato fissato con precisione a 43” per secolo. Einstein applicò la sua teoria della gravitazione e scoprì che poteva rendere esattamente conto dell’avanzamento residuo senza ricorre a lune invisibili né “ad alcuna speciale ipotesi”. Contemporaneamente Einstein aveva calcolato con precisione l’entità della deflessione di un raggio di luce al suo passaggio in prossimità del forte campo gravitazionale esercitato dal sole. Questa predizione sarà confermata sperimentalmente in modo spettacolare nel 1919, anno in cui la fama mondiale di Einstein salirà alle stelle. Questi calcoli furono appunto presentati da Einstein il 18 novembre 1915, in una memoria che precede di pochi giorni quella contenente le equazioni definitive del campo gravitazionale.
10) Il membro sinistro delle equazioni gravitazionali (Rmn – 1/2 gmn R = k Tmn ), soddisfa quattro identità (Rmn-1/2 gmn R);m= 0) dette identità di Bianchi, dal nome del matematico italiano Luigi Bianchi, di cui, fino al 25 novembre 1915, Einstein, era certamente ancora all’oscuro. Infatti non si rese conto che i principi di conservazione dell’energia e della quantità di moto conseguono automaticamente dalle equazioni del campo e da quelle identità. Invece Einstein fece uso di questi principi di conservazione come di un vincolo imposto alla teoria, piuttosto che una conseguenza quasi immediata della covarianza generale! Le leggi di conservazione rimangono l’unico punto debole del lavoro di compendio pubblicato da Einstein nel marzo 1916 (Annalen der Physik 49, 769), le leggi di conservazione sono verificate mediante un calcolo diretto anziché con una argomentazione basata sull’invarianza. Apparentemente neppure Hilbert conosceva le identità di Bianchi. In pratica nel novembre 1915 né Hilbert né Einstein erano ancora a conoscenza di questa strada maestra per la deduzione dei teoremi di conservazione. (Cfr. A. Pais, Sottile è il Signore…, Bollati Boringhieri, 1986, p. Nell’edizione del 1924 delle Grundlagen der Physik Hilbert attribuirà uno dei teoremi principali che riguardano le quattro identità di Bianchi a Emmy Noether. Nessuna prova viene fornita. Nel 1918 Emmy Noether dimostrerà che le identità sono in realtà conseguenze particolari di un teorema molto più generale!
11) La natura della connessione tra gravitazione ed elettromagnetismo nella toria di Hilbert segue il tipico modo di procedere della tradizione teorica di Göttingen: le equazioni del campo elettromagnetico vengono interpretate come equazioni di Euler-Lagrange di problemi variazionali covarianti. La formulazione di Hilbert risultava naturalmente ben lontana dal risolvere un problema che per anni occuperà la mente dello stesso Einstein. (Cfr. Einstein and the History of General Relativity, in Einstein Studies Vol. I, a cura di D. Howard, J. Stachel, (Birkhäuser, 1989), pp. 300-313.
12) A. Pais, cit., p. 284.
13) A. Einstein, “Grundlagen der allgemeinen Relativitätstheorie”, Annalen der Physik, (4), 49, 1916, pp. 769-822; trad. it. in A. Einstein, Opere scelte, a cura di E. Bellone, Bollati Boringhieri (1988), p. 282.
14) Nel linguaggio della teoria dei gruppi si può dare in particolare una definizione di simmetria assai più precisa e generale della nozione comune strettamente legata a un’immagine geometrica: un insieme è simmetrico se le relazioni fra i suoi elementi sono invarianti rispetto a un gruppo di trasformazioni dei suoi elementi. Questa definizione non richiede in alcun modo che gli elementi dell’insieme abbiano un’interpretazione geometrica, né che le trasformazioni del gruppo siano rappresentabili come operazioni spaziali. Si può quindi dire che un sistema di equazioni possiede una certa simmetria se mantiene la stessa forma quando le grandezze che vi compaiono sono assoggettate alle trasformazioni di un gruppo. Simmetria e invarianza rispetto a un gruppo di trasformazioni diventano dunque sinonimi e di simmetria si può quindi parlare in un senso assai più lato di quello comunemente attribuitole, anche quando gli elementi cui la si applica non hanno alcuna rappresentazione concreta. L’applicazione della teoria dei gruppi alla fisica iniziata da Einstein trovò il suo terreno più fertile nella meccanica quantistica. Grazie all’opera di Hermann Weyl e di Eugene Wigner fu possibile, già alla fine degli anni Venti, dare un’interpretazione relativamente semplice della struttura degli spettri atomici, tanto che Max von Laue poteva affermare che praticamente tutte le regole della spettroscopia seguono dalla simmetria del problema. La struttura dell’insieme degli stati atomici non dipende cioè dai dettagli della dinamica, ma solo dalle proprietà di simmetria dell’atomo stesso rispetto alle rotazioni e alle riflessioni spaziali e allo scambio degli elettroni.
15) Hans A. Kastrup, cit. p. 122.
16) C. Tollmien, “Emmy Noether 1882-1935, zugleich ein Beitrag zur Geschichte der Habilitation von Frauen an der Universität Göttingen”, Gottinger Jahrbuch 38 1990, p. 168.
17) Riemann aveva scritto negli ultimi paragrafi della sua famosa lezione inaugurale tenuta il 10 giugno 1854: “Il problema della validità dei postulati della geometria nell’infinitamente piccolo è strettamente connesso al problema del fondamento interno delle relazioni metriche dello spazio. […] Questo ci conduce nell’ambito di un’altra scienza, nell’ambito della fisica…”. (Bernard Riemann: Über die Hypothesen, welche der Geometrie zu Grunde liegen, trad. it. Sulle ipotesi che stanno alla base della geometria, Bollati Boringhieri (1994), pp. 19-20.
18) Cit. in A. Pais, cit., p. 297.
19) “Invarianten beliebiger Differentialausdrücke”, Nachr. d. König. Gesellsch. d. Wiss. zu Göttingen, Math-phys. Klasse (1918).
20) N. Beyers, The Life and Times of Emmy Noether: Contributions of Emmy Noether to Particle Physics in History of Original ideas and Basic Discoveries in Particle Physics, a cura di H B Newmann e T Ypsilantis, Plenum Press, New York, 1996, p. 950.
21) Emmy Noether, “Invariante Variationsprobleme”, Nachr. d. König. Gesellsch. d. Wiss. zu Göttingen, Math-phys. Klasse (1918), pp. 235-257.
22) E’ bene sottolineare che la Royal Society di Londra, fondata nel 1662, ha eletto il primo membro di sesso femminile nel 1945 e l’Académie des Sciences di Parigi, fondata nel 1666, ha ammesso per la prima volta una donna soltanto nel 1962!
23) In meccanica un sistema viene formalmente caratterizzato da una funzione matematica che dipende dalla sua posizione (coordinate spaziali) e dalla sua velocità, oltre che dal tempo. Questa funzione, detta lagrangiana – dal nome del matematico di origine italiana Lagrange – è uguale alla differenza fra energia cinetica e energia potenziale del sistema. Il problema fondamentale consiste nel determinare quali sono le leggi fisiche che restano valide quando si cambia il sistema di coordinate effettuando delle trasformazioni di simmetria: come nel caso delle rotazioni o delle traslazioni, per esempio.
24) Oltre alle leggi di conservazione che seguono dalle proprietà di simmetria dello spazio e del tempo ne esistono molte altre legate a simmetrie più astratte come per esempio la conservazione della carica in tutte le reazioni che si riferiscono a un sistema isolato. Secondo il teorema di Noether questa legge di conservazione scaturisce da una simmetria della natura chiamata “simmetria di gauge”. Uno dei risultati più stupefacenti della fisica del XX secolo consiste nell’aver compreso che tutte le forze conosciute attualmente in natura sono controllate da questo tipo di simmetria, che in particolare è alla base dell’elettrodinamica quantistica, la teoria più accurata e precisa che l’uomo abbia mai costruito, verificata con una precisione di 10-12.
25) La teoria della relatività generale è appunto una cosiddetta teoria di gauge, ovvero è caratterizzata da un gruppo di simmetria continuo infinito, a cui appartiene come sottogruppo quello delle traslazioni temporali. L’invarianza rispetto al gruppo di traformazioni che caratterizza la relatività generale equivale a postulare che ogni osservatore possa scegliere arbitrariamente i suoi sistemi inerziali. La fisica si trovava per la prima volta di fronte a una simmetria locale anziché globale, la quale, invece di dipendere da un numero infinito di parametri, dipende da sei funzioni arbitrarie. Una invarianza così vasta è una conseguenza necessaria della richiesta che la dinamica, e non soltanto la cinematica, possa essere ricondotta alla geometria. Il teorema di Noether dimostra che l’invarianza rispetto a trasformazioni dipendenti da funzioni arbitrarie dà luogo a leggi di conservazione locali anziché globali, come avviene nel caso di trasformazioni dipendenti da un numero finito di parametri. Questa località delle leggi di conservazione riflette la possibilità di scegliere localmente, anzichà globalmente, il sistema di riferimento, ossia l’impossibilità di dare una separazione oggettiva fra inerzia e gravitazione. Nella teoria generale l’energia non si conserva localmente, come avviene nelle teorie di campo classiche – gravitazione newtoniana, elettromagnetismo, idrodinamica, ecc. – dove si può dimostrare che il flusso di energia attraverso i confini di un volume arbitrario equivale alla variazione di energia all’interno del volume. Questo implica che c’è un trasferimento di energia verso e dal campo gravitazionale e quindi non ha senso di parlare di una localizzazione dell’energia. In regioni dello spaziotempo prossime a una sorgente gravitazionale, dove la curvatura diRiemann è diversa da zero, viene meno il principio di conservazione dell’energia. Il bilancio energetico non può esser discusso indipendentemente dalle coordinate che uno utilizza per calcolarlo, e di conseguenza si ottengono risultati differenti in vari sistemi di coordinate – alcuni dei quali sono prodotti del calcolo stesso. Tuttavia, nonostante il venir meno del principio di conservazione locale, esiste un principio di conservazione su larga scala, come dimostrò la Noether nel suo primo teorema.
26) Nell’edizione del 1924 dei Grundlagen der Physik Hilbert attribuisce appunto alla Noether la dimostrazione del teorema che riguarda le quattro identità di Bianchi.
27) N.L. va, der Waerden, “Obituary of Emmy Noether”, Math. Annalen 111 (1935), p. 472.
28) C. Reid, Courant, Springer Verlag, New York 1976.
29) C.H.Kimberling, “Emmy Noether”, Ann.Math. Monthly 79 (1972, p. 148.
30) Hermann Weyl(1885-1955), brillante allievo di Hilbert cui succedette nella cattedra nel 1930, fu uno dei molti matematici di primo piano usciti dall’Università di Göttingen e diede contributi a parecchie branche della matematica e in particolare contribuì ai due maggiori progressi scientifici realizzati nei primi decenni del secolo. Nel 1913 era stato collega di Einstein al Politecnico di Zurigo, e nel 1918 si fece sostenitore della teoria della relatività in un libro che venne largamente letto, intitolato Raum-Zeit-Materie (Spazio-tempo-materia). Nel decennio successivo scrisse una serie di articoli sulle applicazioni della teoria dei gruppi alla meccanica quantistica, cui anche Einstein aveva dato importanti contributi. Al culmine della sua carriera, nel 1933, Weyl diede le dimissioni in segno di protesta contro l’allontanamento di suoi colleghi da parte dei nazisti: questo fatto segnò la fine del glorioso periodo di studi matematici che avevano caratterizzato quella università. Weyl emigrò negli Stati Uniti, dove diventò membro dell’Institute for Advanced Studies di Princeton, del quale, in quello stesso anno, anche Einstein era stato nominato membro a vita.
31) Nel 1928, in occasione del Congresso internazionale di matematica tenuto a Bologna, il primo incontro internazionale a cui i tedeschi fossero stati invitati dopo la guerra, Hilbert aveva guidato una delegazione di 67 matematici tedeschi, in opposizione al parere di coloro che volevano boicottare il congresso. L’entrata del gruppo tedesco, con alla testa la figura familiare di Hilbert, era stata salutata con un applauso. Hilbert aveva detto: “Quasiasi limite, specialmente di tipo nazionale, è contrario alla natura della matematica. E’ un totale fraintendimento rispetto alla nostra scienza costruire differenze in base a persone e razze[… ]. La matematica non conosce razze e le ragioni per cui ciò è stato fatto sono molto meschine. Per la matematica, l’intero mondo della cultura è un solo paese”. L’anno dopo Hilbert aveva avuto anche la gioia di assistere a ciò di cui Klein sarebbe stato orgoglioso: l’inaugurazione dell’edificio costruito appositamente con il contributo della Rockfeller Foundation per ospitare l’Istituto di matematica. (C. Reid, Hilbert , p. 188)