LA MORTE COME PENA

La morte come pena

La campagna per l’abolizione della morte come pena è un “fenomeno” che si ripete ciclicamente, all’incirca una volta all’anno, almeno in Italia.

L’anno trascorso, il 1996, era stato proposto dal 1° congresso internazionale dell’Associazione Nessuno tocchi Caino per una moratoria mondiale dell’assassinio legale. Appello rimasto praticamente inascoltato da tutti quei Paesi che sono “attivi” in  tal senso!

Alla fine dell’anno abbiamo invece poi osservato una campagna di stampa, incredibilmente intensa e violenta, per ottenere la revoca della pena ad un americano,un certo O” Dell, un condannato sulla cui colpevolezza esistono fondati dubbi: la pena è stata sospesa, ma nello stesso giorno e nello stesso carcere un altro condannato è stato “giustiziato”.

Gheddafi, che si dichiara contro la pena di morte, ha inaugurato il corrente anno con la fucilazione di sei ufficiali, rei di aver complottato (!) contro la sua persona.

Subito dopo, negli Usa in Arkansas, sono state eseguite ben tre altre esecuzioni nello stesso giorno: per risparmiare tempo e denaro, diranno ! Uno dei tre addirittura con l’ago già nella vena ha dovuto attendere ancora circa 30 minuti per permettere al giudica di esaminare bene un’ultima volta l’intera pratica e poter così giustamente respingere l’ultimo ricorso!!!

L’Osservatore Romano ha commentato con un “Macabra scena di montaggio”,  mentre W, Shultz, presidente di Amnesty International, lo ha dichiarato: “una barbarie che si verifica solo più in una minoranza di Paesi”.

Con piacere debbo dire che anche il nostro G.O.I. ha preso parte alla tenzone schierandosi, a suo tempo ed in maniera netta, a favore dell’americana Paula Jones, ed ora, forse con meno clamore, per O’ Dell.

Ma l’argomento a me pare troppo importante per non doversi confrontare e ragionarci su, cari Fratelli.

Volendo schematizzare, posso riassumere l’intera questione in:

a) la pena di morte, oggi, è razionalmente accettabile? È moralmente accettabile ? È politicamente accettabile?

b) e, ammesso che lo sia, non è altrettanto barbaro tenere una persona, ancorché condannata, per anni, talvolta decine, in attesa dell’esecuzione nel “braccio della morte”? Nei soli USA sono più di 3.100 i condannati in questa scomoda ed alienante situazione.

Per fornire alcuni spunti di riflessione posso ricordare T. Moro che, nel suo Utopia, afferma: “O noi ammettiamo la validità del principio ‘non uccidere’ come superiore e trascendente l’uomo (in questo caso la società non potrà poi togliere la vita ad alcuno, perché della vita nessuno, né la società, né l’individuo, ha la disponibilità), oppure ammettiamo che la società ha, in certi casi, il potere di derogare alla legge divina. Ma così non ci saranno più limiti perché la deroga sarà sempre ottenuta ogni volta che la società lo riterrà necessario”.

Da questa base parte poi tutto il ragionamento di Moro, che ha una concezione umanamente e “modernamente” cristiana, ed è per questo che in tutto Utopia non ci sono né roghi, né impiccagioni: e questo, per un libro scritto agli albori del 1500 è incredibile, quasi scandaloso! Solo verso gli eretici mostra un’insofferenza spiccata, senza tuttavia giungere mai a teorizzare violenza, a differenza degli altri pensatori    cattolici.

Sant’Agostino, invece, ipotizza la violenza come giusta se usata contro i nemici della chiesa.

San Tommaso giustifica la morte come pena, e pone il condannato alla stessa tregua della bestia: l’unica condizione che pone è che la condanna sia emessa da un giudice: “il bene comune vale di più di quello di un solo individuo. Se dunque la vita di certi delinquenti è contraria al bene comune, cioè all’ordine della società umana, essi potranno essere uccisi”.

Parole agghiaccianti.

Ma anche i pensatori laici non sfuggono alla contraddizione su questo terribile tema, compreso Cesare Beccaria.

Perché delle due l’una: o noi crediamo che davvero la persona umana non possa mai essere uccisa da chi ha il potere per il suo valore incommensurabile ed allora in questo caso la morte come pena non è mai applicabile, o crediamo che la vita e la morte individuale possa essere trattata e discussa, sia pure da leggi approvate regolarmente e dopo processi legittimi.

Ma in questo caso tutto il diritto si riduce all’impiego di più o meno forza ed allora lo Stato avrà sempre ragione perchè è sempre più forte del singolo: diritto diviene allora e così tecnica del terrore e finirà per essere usato in base alle variabili opportunità politiche.

Al punto b) dello schema prima esposto la risposta non può che essere

strettamente legata alla risposta sopra esaminata, perché se si ammette che lo Stato possa eliminare una persona, i limiti temo siano facilmente superabili. Non esisterà più nulla di certo.

Così nel Medio Evo era normale che chiunque fra i presenti ad una esecuzione capitale infierisse sul condannato sulla via del patibolo o del rogo. Una sorta di rigenerazione psicologica dei “buoni e perbene”, Insomma, se non esiste il limite dell’inviolabilità della persona umana, allora tutto diventa in qualche modo possibile. possiamo diventare dai barbari applicando la più raffinata tortura inventata dell’uomo, quella che ne “Dei delitti e delle pene” viene detta “il più carnefice dei nemici,

l’incertezza”, Condannare un uomo e dargli però tutte le possibilità di ricorrere, di fare appelli, revisioni, nuovo processi, richieste di grazia, eccetera è, io credo, la tecnica più sadica che si possa inventare. È quanto più crudele e spietato l’uomo abbia mai praticato.

Parliamo di persone che, immesse nel “braccio della morte” attendono che la loro sentenza capitale divenga esecutiva, definitiva!

È l’applicazione del detto romano “summus jus, summa iniuria”. Insomma, è la dimostrazione di come l’uomo possa, usando la legge in modo assolutamente corretto, diventare una belva nei confronti di chi (?) ha sbagliato.

E se condividiamo il sacrosanto principio della dignità umana è anche contro queste sottili forme di violenza che dobbiamo, tutti noi Fratelli Liberi Muratori,

batterci!

A.’.G.’. D.’.G.’.A.’.D.’.U.’.

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