IL GRANDE ORIENTE D’ITALIA – . . . all’esilio

…all’esilio

 
      Nei mesi seguenti le leggi eccezionali ebbe luogo una terza ondata di espatri dall’Italia, per ragioni politiche, molti dei quali clandestini. Fu questo il caso del deputato repubblicano Eugenio Chiesa, schietto alfiere delle libertà parlamentari dopo l’assassinio di Giacomo Matteotti e di Giovanni Amendola 12. Della schiera di esuli fecero parte anche molti massoni, che avevano protratto sino all’estremo la loro resistenza civile in Italia e ora raggiungevano, in Francia, quanti – come Ubaldo Triaca, già garante d’amicizia presso il Grande Oriente di Francia – sin dal 1922 avevano messo in guardia dalle mire dittatoriali di Benito Mussolini.
      La situazione determinatasi in Italia suonava conferma di tesi circolanti nella Massoneria italiana sin dagli albori del Risorgimento: quando era stato denunziato il significato emblematico dell’art. 1 dello Statuto, che Giovanni Bovio aveva detto di voler conservare quale gufo impagliato sulla porta di un castello fatiscente, a comprova del declino delle istituzioni che avessero voluto appoggiarsi a un patto teocratico di potere.
      I massoni in esilio – in linea con la storiografia “radicale“, da Giustino Fortunato a Piero Gobetti – consideravano il regime la “rivelazione” della minorità nella quale eran sempre rimasti nella penisola sia una formula politica (la democrazia) che il presupposto di qualsiasi costituzione, cioè il postulato (propriamente liberomuratorío) della libertà e della tolleranza.
      La fedeltà al principio andersoniano della lealtà nei confronti del capo dello Stato – perseguito attraverso la mediazione del fratello Giovanni Amendola – aveva dato i frutti possibili sino al cedimento di Vittorio Emanuele III. L’epilogo della crisi italiana aveva anche confermato l’altro concetto cardine della tradizione liberomuratoria: se non fossero riuscite a ritrovare unità d’intenti, al di sopra delle pur legittime distinzioni tra scuole e memorie, le forze della libertà non sarebbero giunte a riscattarsi dal regime. Il Grande Oriente aveva infatti perduto d’efficacia proprio quando, tra i molti, erano prevalsi uomini che perseguivano l’obiettivo di eliminare qualsiasi concorrenza e di costringere i fiancheggiatori a irreggimentarsi o a scomparire.
      Molti tra i massoni trasmigrati in esilio avevano del resto vissuto dall’interno il precoce autunno dell’Aventinismo: troppo chiuso nel quadro statutario per riuscir efficace, giacché, anche in quel periodo, la rappresentatività dello Stato era rimasta nelle mani del governo, che aveva quindi ulteriormente ridotta di dimensioni la già assediata autonomia anche delle Istituzioni autocefaliche, quali il G.·.O.·.d’I.·.  

12. Sul pugnace militante repubblicano (per il cui pensiero vedasi Le mani nel sacco, Milano, Tarantola, 1946) un succoso e informato profilo di ARTURO COLOMBO, La lezione di Eugenio Chiesa, in « Archivio trimestrale », Roma, VI, 1980, f. 2, pp. 219-25 con l’Appendice, Chiesa nel ricordo della Massoneria, testo della « plaquette » edita dalla Loggia parigina « Italia Nuova » l’8-X-1930.
Sull’espatrio clandestino di Chiesa – che venne aiutato da Gigino Battisti – A. GAROSCI, Storia dei fuorusciti, Bari, Laterza, 1953; ID., La vita di Carlo Rosselli, Roma, Edizioni U, 1946.  
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