IL GRANDE ORIENTE D’ITALIA – L’ipotenusa dei Fratelli d’Oltrappe, …

L’ipotenusa dei Fratelli d’Oltreoceano, dalla Concentrazione a “Giustizia e Libertà

 
      Anche le relazioni tra il nuovo G.·.O.·.d’It.·. e i Fratelli d’oltre Oceano avevano per precedente l’azione di Torrigiani, che nel 1923 aveva compiuto un viaggio negli Usa, per attuare lo scambio dei garanti d’amicizia con la Gran Loggia di New York: traguardo prossimo alla realizzazione sin dal 1922, quando Ulisse Bacci scriveva a Franck Bellini: « La notizia che la Gran Loggia di New York nella sua ultima riunione aveva dichiarato Potere,massonico legale e sovrano in Italia il Grande Oriente d’Italia, mi era già nota » 18.
      Il “garante” e storico della G.·.L.·. di New York, Ossian Lang, era poi stato in Italia, ricevuto con grande solennità a Palazzo Giustiniani. L’anno seguente egli non aveva mancato di ringraziare Bellini per l’inoltro della « Rivista Massonica » di Ulisse Bacci 19. In quelle occasioni, Torrigiani aveva però fornito anche ai Fratelli d’oltre Oceano notizie rassicuranti sul corso della crisi italiana, affermando che i massoni avrebbero provveduto da soli a superare le difficoltà nelle quali versavano a causa della crescente persecuzione. Palazzo Giustiniani voleva infatti evitare che un qualsiasi passo formale di Potenze massoniche straniere avvalorasse la tesi del governo Mussolini, secondo il quale il Grande Oriente d’Italia tramava ai danni del Paese con la connivenza di organizzazioni internazionali: massima, codesta, non potuta poi correggere per l’arresto e la condanna al confino di Capello, Torrigiani, Meoni, Ferrari, che pure provavano in modo inoppugnabile a qual punto fosse precipitata la situazione della Massoneria in Italia. La crisi in corso non poteva essere agevolmente decifrata dai massoni americani, la cui concezione dell’Ordine e del suo impegno nella militanza civile rispondeva ai canoni propri di un Paese nel quale, a differenza di quanto accadeva nella penisola, il laicismo dello Stato non doveva essere riconquistato di giorno in giorno, ma era realtà originaria e indiscussa. I massoni statunitensi eran pertanto corrivi a ritenere “politica” – e, in quanto tale, contrastante con l’Ordine – l’opera dei Fratelli italiani che, invece, potevano praticare effettivamente i predicati liberomuratori solo attraverso un’azione umanitaria, educativa, civile, fatalmente conflittuale con un governo che ormai spingeva la pretesa di dominio sulle coscienze sino a imporre i simboli della « religione di Stato » nelle scuole e in ogni edíficio pubblico.
      Il 6 gennaio 1926, il Gran Commander John H. Cowles diramò la risoluzione adottata dal Supreme Council 33.·. della Giurisdizione Sud del Rito Scozzese Antico e Accettato (Washington) sui “casi” italiani, accompagnandola con una dichiarazione dal tono fermo ed inequivoco 20 circa le « deplorevoli difficoltà » cui erano sottoposti i Fratelli della penisola: « perseguitati, discriminati, privati dei loro originari diritti di libertà e di pensiero, di parola e di azione, falsamente accusati, sottoposti a ingiurie fisiche e persino a omicidi ».
      Una raccolta di fondi a favore dei massoni italiani versanti in condizioni di particolare bisogno era però stata causa di malintesi tra Roma e Ossian Lang. Mentre dall’Italia si proponeva, infatti, che i Fratelli d’oltre Oceano sottoscrivessero individualmente – e in forma riservata -, inviando le somme raccolte al Comitato Ordinatore di Palazzo Giustiniani (unico potere in grado di decidere a chi dovessero essere destinati i soccorsi più urgenti), Lang aveva inviato in Italia un emissario di sua fiducia per distribuire direttamente una parte delle quote raccolte, trattenendone però la parte più cospicua, allarmato dalla voce, infondata, che la somma sarebbe stata destinata all’acquisto di un nuovo tempio 21.
      Le difficoltà d’intelligenza tra i poteri istituzionali erano però largamente compensate dal fitto e confortante intreccio di relazioni tra i singoli e, soprattutto, tra i massoni in esilio e taluni Fratelli italofoni, di schietto atteggiamento antifascista, fatti personalmente esperti delle vessazioni alle quali il regime sottoponeva, in Italia, quanti fossero sospetti di attività latomica. Un ruolo particolarmente attivo venne svolto da Franck Bellini, Charles Fama e da Arturo Di Pietro, fratello “sotto la volta celeste“. Dopo fitti scambi epistolari con Giuseppe Leti – giunto a Parigi dalla Polonia, ove nel 1926 aveva avuto inizio il suo pellegrinaggio di esule – Charles Fama e altri dettero vita alla Società Nazionale « Fides », fulcro di altri sodalizi, impegnati nella raccolta di fondi e, soprattutto, nell’informazione dell’opinione americana sulle reali condizioni dell’Italia di Mussolini 22. Tra le realizzazioni più efficaci – oltre a trasmissioni radiofoniche settimanali e a conferenze in numerose città statunitensi – la « Fides » curava altresì la pubblicazione del Bollettino, « Italia », formalmente diretto da Filippo Turati e redatto in gran parte da Arturo Di Pietro, lanciato d’intesa con Francesco Saverio Nitti ed Eugenio Chiesa, a sua volta destinatarío di aiuti da utilizzare « secondo la sua coscienza » 23.
      L’azione della « Fides », « diretta principalmente agli elementi liberali, protestanti e massoni, non associati ad alcun partito », era considerata soddisfacente anche per i legami stabiliti tra i suoi promotori e la sezione di Washington della Lega dei diritti dell’uomo e per la diffusione da essa assicurata presso il pubblico americano di opere – quali Escape di Francesco Nitti -, il cui straordinario successo si traduceva in una maggior penetrazione delle ragioni dell’antifascismo democratico e in una pacata e ferma confutazione, negli Stati Uniti, degli agenti del regime, certo non inoperosi.
      Per i Fratelli d’oltre Oceano “liberali” erano, s’intende, tutti i fautori di un programma di rinnovamento civile, senza riferimenti all’uno più che all’altro partito. Tra i componenti del Comitato generale della « Fides » si contavano, infatti, i rappresentanti di 3 organizzazioni operaie, 4 repubblicani, 11 socialisti, 5 ministri evangelici, 2 senza partito alcuno e 23 “massoni“: un’insegna, questa, che accomunava, come sempre, al di sopra di qualsiasi altra distinzione 24.
      L’unità d’azione era il criterio al quale s’attenevano Fama, Di Pietro e gl’italo-americani, allarmati non tanto per l’azione di disturbo di agenti del regime quanto per le talora ingenerose intemperanze di alcuni esuli che proponevano i motivi di antichi e recenti contrasti tra le correnti dell’antifascismo, determinando disagio e disorientamento 25. Di tale pericolo si fece interprete Arturo Di Pietro in una lettera a Giuseppe Leti dell’11 agosto 1930. Ricevuto da Nitti l’opuscolo « G. e L. », – il cui contenuto era stato divulgato in vari modi -, Di Pietro confermava la decisione di inviare a Leti i fondi, da ripartire in Francia secondo i bisogni locali, a cura di un comitato di tre membri, rappresentanti di Massoneria, « Giustizia e Libertà » e Concentrazione antifascista. « Il prof. Salvemini è già informato in linea di massima di quello che intendiamo fare », assicurava di Pietro. « Il modo come potere fornire tali aiuti finanziari ai detti organismi – aggiungeva lo stesso in una successiva lettera del 2 ottobre – fu già tempo fa discusso e studiato tra il compianto amico Eugenio Chiesa e la Segreteria Generale della “Fides ».       Sarebbe tuttavia errato ritenere che il concorso finanziario d’Oltreoceano sia stato l’elemento determinante per la ricostituzione del G.·.0.·.d’It.·.. Il 22 dicembre 1930, infatti, Giuseppe Leti sgombrò il campo da qualsiasi equivoco, a tal riguardo, precisando a Franck Bellini: « Sommariamente e in linea generale, Vi dirò questo solo. Io per me non chieggo e non accetto nulla, sebbene i bisogni miei siano ragguardevoli. Per la massoneria italiana ricostituita io non chieggo nulla da alcuno; accetto solo da fratelli italiani; se fratelli americani (mai profani) vogliano spontaneamente fare qualche cosa, riservatamente, senza romore, senza collettazioni e pubblicità, sarà da vedere, caso per caso, come regolarsi » 26.
      Nel corso del 1930 Eugenio Chiesa (passato all’Oriente Eterno il 12 giugno), Arturo Labriola, suo successore come Gran Maestro Aggiunto, Cipriano Facchinetti, gli altri più noti esponenti dell’Ordine – in molta parte raccolti nella combattiva Loggia « Giovanni Amendola » all’Oriente di Parigi 27 – e, soprattutto, Giuseppe Leti erano andati svolgendo un’opera di grande rilievo per ricondurre all’unità le molte correnti dell’antifascismo dell’esilio, scosso dalla fondazione di « Giustizia e Libertà », “movimento” che proponeva di « archiviare per ora le tessere », di rilanciare l’iniziativa in Italia e chiedeva il privilegio di farsene carico esso solo 28.
      Questo era anche il senso degli appelli rivolti da Arturo Labriola dentro e fuori la Famiglia. Con la circolare n. 1 (datata da Londra, 31 gennaio 1931), il G.·. Maestro Aggiunto affermò infatti: « Oramai è fatale che la rinascita italiana potrà avvenire soltanto ad un patto: la distruzione totale, contemporanea e perpetua, di tutte le vecchie impalcature politiche, culturali, religiose, il cui tradimento e fallimento è stato completo; e la sostituzione di una democrazia pura, che nella forma, negli istituti e nel contenuto sostanziale costituisca in atto l’applicazione intenzionale e pratica dei principi di governo e di vita insegnati da Giuseppe Mazzini, che, se non fu iniziato, appartenne però come onorario a varie Loggie, e fu veramente eletto e maestro. La vita italiana – proseguiva Labriola – ora che tutto vi è stato lacerato e imputridito, deve essere resurrectio ab imis: solo allora si potrà riprodurre in Italia un clima respirabile per le nuove generazioni » 29.
      Due mesi dopo, rivolgendosi ai supremi dignitari delle Comunioni sorelle, il Gran Maestro Aggiunto delineò l’obiettivo della « reconstitution du Gr.·. Orient.·., nécessaire non seulement pour reprendre la tradition maçonnique italienne, mais, en outre, pour ne point la laisser se perdre au profit de la réaction ».
      Alle Potenze liberomuratorie straniere era lasciata la responsabilità di scegliere tra ignorare o aiutare gli sforzi dei Fratelli italiani in esilio, le cui decisioni « en tout cas son légitimées, renforcées par des variés et précedents congénères relatifs à d’autres Maçonneries tombées sous le joug de la dictature ». « L’Italia – aggiunse Labriola nell’appello “ai Fratelli Italiani in Patria e fuori di Patria!“, datato da Londra il 20 settembre 1931 – è alla breccia di Porta Pia, non negli accordi del Laterano… Il XX settembre di ieri fu un programma ed un’allegoria; il XX settembre di domani vorrà essere un adempimento e una realtà. All’Italia di domani laica, repubblicana, amministrata dal popolo, sommessa alle sue rischiarate e consapevoli volontà, la nostra Istituzione manda gli auspici e prepara le vie… ».
      Il Gran Maestro si muoveva dunque sulla linea tracciata dall’o.d.g. approvato dalla prima riunione del Governo dell’Ordine i cui atti risultino verbalizzati (10 ottobre 1930): « Il Grande Oriente – vi si diceva – esaminata la situazione italiana, indipendentemente da ogni pregiudiziale di partito, afferma che la crisi italiana è ormai nettamente caratterizzata dalla necessità della conquista rivoluzionaria di istituti repubblicani che garantiscano al popolo l’esercizio dei diritti consacrati dal trinomio massonico » 30.       Nel corso del 1931 i massoni italiani unirono ai travagli dell’Arte Reale un serrato impegno per restituire unità al fronte democratico antifascista. Proprio Giuseppe Leti funse da presidente della commissione (composta da Nenni per il Psi, Ferdinando Bosso per la Lidu e Felice Quaglino per la Cgil) incaricata, nell’ottobre 1931, di esaminare il problema dell’azione antifascista in Italia e di « prendere contatto con le organizzazioni che, sul programma della Concentrazione, a questa azione si dedicano » 31.
      In tale veste Leti fu il destinatario delle condizioni alle quali Cianca e Rosselli, a nome di « Giustizia e Libertà » accettavano il patto d’unità d’azione con la Concentrazione antifascista 32 e, il 30 ottobre, era ancora il Sovrano Gran Commendatore degli scozzesisti italiani a redigere un lungo memoriale « Al comitato Centrale ed al Consiglio Generale della Concentrazione », con i sei punti che avrebbero dovuto sciogliere qualsiasi contrasto e remora, anche se, in pari data, accompagnando tale risoluzione, Leti precisava: « Il risultato del nostro lavoro non costituisce affatto né una soluzione ideale, né il tocca-sana della situazione; è il meno peggio che siasi potuto trovare con una serie di sforzi e di rinunzie ( … ) » 33.       Negli stessi anni Giuseppe Leti fu al centro di una fittissima corrispondenza “politica” con un gran numero di antifascisti (e non solo dell’esilio) – quali Francesco Saverio Nitti, già presidente del consiglio, Carlo Sforza, ex ministro degli esteri, l’irredentista Salvatore Barzilai, Alberto Tarchiani, Alberto Cianca, Pietro Nenni, Filippo Turati, Emilio Lussu, Emanuele Modigliani, Silvio Trentin, Oddino Morgari, Achille Loria … : nessuno dei quali ignorava ch’egli fosse (come gli scriveva Turati) « intinto di pece massonica » e che anzi bene sapevano che proprio la qualità massonica animava l’azione sua e dei suoi collaboratori. Per un numero crescente di esuli, del resto, si stabilì un rapporto di « fratellanza » non solo nei comitati interpartitici, ma anche in sedi più idonee.
      Dunque, il Grande Oriente era divenuto un’abside della composita architettura dell’antifascismo? Tutt’altro. Esso conservava infatti uno stile inconfondibile: i lavori delle sue Officine, consolidate, ampliate, chiamate a più assidua disciplina rituale, e il programma globale, più volte ribadito nelle Assemblee e nelle sedute di Governo dell’Ordine, come nei pubblici annunzi dei suoi programmi, immediati e generali.
      Già il 31 gennaio 1931 Arturo Labriola aveva precisato che l’azione civile « non significa, per noi, fare della politica, o combattere una religione. La nostra Istituzione è insieme spirituale, di cultura, di incitamento, e operativa. Prepara al migliore avvenire le genti, ma le aiuta anche cogli atti positivi a riscattarsi da ogni abbiezione e da ogni servitù sì materiale che morale. Questo fu sempre il suo compito, oggi non lo muta, lo continua ». Nel citato appello del 20 settembre – di poco precedente le definitive dimissioni, rese irrevocabili dal 29-XI-1931 – egli aveva aggiunto: « ( … ) lungi dal voler fare opera politica, non vogliamo che ristabilire, fratelli miei, l’impero della verità e della giustizia; il clima della civiltà; il terreno e i modi propizi alla Libertà, alla Eguaglianza, alla Fratellanza; e preparare e consolidare loro per sempre l’avvenire. È la nostra tradizione e il nostro destino, che non mutano e non si arrestano ».
      Su quella stessa linea, con significativa lungimiranza, salutando l’avvento della repubblica in Spagna, il Governo dell’Ordine metteva in guardia dal razzismo ormai dilagante nell’Europa centrale 34.   18. U. Bacci a Frank Bellini, Roma, 23 maggio 1922. La notizia era stata anticipata al Gran Segretario di Palazzo Giustiniani dal massone italo-americano Diana.

NORE
19. 0. Lang a Frank Bellini, New York, 28 gennaio 1923. Lang scriveva di aver letto la « Rivista Massonica » « with much interest » e domandava donde fossero state tratte le puntuali notizie pubblicate da Bacci intorno alla sua attività liberomuratoria.

20. Cfr. Appendice, doc. n. I.

21. Sull’ormai annosa questione U. Bacci inviò una lunga lettera a Franck Bellini (Roma, 25 marzo 1927) puntualizzando la posizione del Gran Maestro Aggiunto, Meoni, e del Comitato di Ordinamento: « Certo il G.M.A., in nome di tutti noi, si presterà mai a mandar liste di bisognosi ai quali elargire elemosine; e tu, allora dovrai riprendere in mano, sia pure con altri amici, l’opera che ti venne commessa, e fare così come hai fatto a Cleveland, presso i Fratelli italiani delle altre più importanti città degli Stati Uniti, senza bisogno di chiedere autorizzazioni o controlli, perché, evidentemente, i singoli massoni italiani, come persone, possono accogliere liberamente le nostre richieste, senza doverne rendere conto a nessuno. Qua si vive in angustie indicibili ( … ) ».

22. In proposito un ampio « resoconto » su carta intestata della « Società Nazionale Fides » (Charles Fama, presidente; Arturo Di Pietro, segretario generale). Per i soli mesi di marzo e aprile 1930 esso dava conto, tra l’altro, delle commemorazioni di Giuseppe Mazzini e della Repubblica romana e forniva minute indicazioni sul movimento di cassa, che, tra quote associative, contributi e incassi per vendite e abbonamenti, raccoglieva 394 dollari contro 372 di spese postali, rimborsi, e 16 dollari di contributo alla Concentrazione Antifascista di Parigi per la pubblicazione del Bollettino « Italia ».

23. Copiose notizie al riguardo nelle lettere di A. Di Pietro a Giuseppe Leti, da New York (1929-31) (GOI, AS). Su Charles Fama v. JOHN P. DIGGINS, L’America, Mussolini e il fascismo, Bari, Laterza, 1972, che però non fa cenno all’attivismo propriamente massonico suo e degli altri Fratelli d’oltre Oceano.

24. A. Di Pietro il 2 agosto 1930 informava Leti: « Fin dallo scorso febbraio io ho cercato di mettere insieme nella “Fides” i massoni sicuri di Chicago, associandoli ad elementi liberali di cui possiamo fidarci ». Il 2 ottobre 1930 egli annunziava la formazione di « un Comitato di generosi (di cui sono esponenti principali l’avv. Francesco Di Bartolo, i fratelli Romeo e Giacomo Battistoni e Domenico Pieri) sorto in Buffalo per tentare l’esperimento di una collettazione di fondi, esperimento che è stato coronato da successo essendo già stati raccolti 25 mila franchi (di cui 15 mila già spediti a Parigi) e con la prospettiva di poter presto superare i 30 mila franchi ».
Ecco, di seguito, l’elenco del Comitato generale per il soccorso ai massoni italiani in esilio e a Concentrazione antifascista. Di ciascun componente veniva anche indicato l’orientamento politico, sia per evitare malevoli insinuazioni, sia per dimostrare la piena concordia, nello spirito superiore della fratellanza, tra i pur diversi orientamenti ideologici (GOI, AS): Michele Armato, Chicago Ill. (Massone); Luigi Antonini, New York City (Organizzazioni Operaie); Gioacchino Artoni, Paterson N.J. (Organizzazioni Operaie); Giacomo Battistoni, Buffalo N.Y. (Socialista); Romeo Battistoni, Buffalo N.Y. (Massone); G. Bellini, New York City (Massone); Ing.re G. Bolaffio, Brooklyn N.Y.; Prof. Mario Bottasini, Rochester N.Y. (Massone); Nino Carminati, Portsmouth N.H. (Repubblicano); Prof. Gaetano Cavicchia, Providence R.I. (Massone); Dott. Domenico Crachi, Brooklyn N.Y. (Massone); Dott. Alfredo D’Aliberti, Steubenville Ohio (Ministro Evangelico); Prof. Teodoro De Luca, Wakefield N.J. (Massone); Avv. Francesco Di Bartolo, Buffalo N.Y. (Massone); Dott. Angelo Di Domenica, Philadelphia Pa. (Massone, Ministro Ev.); Arturo Di Pietro, Brooklyn N.Y. (Repubblicano); G. E. Fabiani, Pittsburgh Pa. (Massone); Dott. Carlo Fama, New York Cíty (Massone); Dott. Nino Firenze, Brooklyn N.Y. (Repubblicano); Avv. Attilio Fusco, New York City (Massone, Socialista); Prof. Salvatore Giambarresi, Boston Mass. (Ministro Evangelico); Santo Giunta, Wakefield Mass. (Massone); Michele Iacocca, Troy N.Y.; Vitantonio La Sorte, Endicott N.Y. (Massone, Socialista); G. Manfredini, Chicago Ill. (Massone); M. C. Marsiglia, Washington D.C. (Massone, Ministro Evangelico); Avv. Gaspare Nicotri, New York City (Massone, Socialista); Gennaro Onorato, Providence R.I. (Socialista); Salvatore Ninfo, New York City (Massone, Organizzazioni Operaie); Prof. Giovanni Pompeo, Boston Mass. (Massone); Serafino Rornualdi, New York City (Socialista); Domenico Ruggieri, New York City (Socialista); Carmelo Sanfilippo, Uniontown Pa. (Massone, Repubblicano); Dott. Amedeo Santini, Detroit Mich. (Massone, Ministro Evangelico); Dott. Nicola Scarito, Lawrence Mass. (Massone); Armando Sichi, Washington D.C. (Socialista); Dott. Matteo Siragusa, Brooklyn N.Y. (Socialista); On. Vincenzo Vacirca, New York City (Socialista); Giuseppe Zegarelli, Utica N.Y. (Massone, Socialista).
Consiglio direttivo: Dott. Carlo Fama, Presidente; Avv. Gaspare Nicotri, V. Presidente; M. C. Marsiglia, V. Presidente; Romeo Battistoni, Tesoriere; Arturo Di Pietro, Segretario; Giacomo Battistoni, Prof. Gaetano Cavicchia, Avv. Francesco Di Bartolo, Avv. Attilio Fusco, Revisori.
Commissione esecutiva: Avv. Gaspare Nicotri, Presidente; Avv. Attilio Fusco, Segretario Finanziario; Arturo Di Pietro, Segretario.
Massoni 23, Organizzazioni operaie 3, Socialisti 11, Repubblicani 4, Ministri Evangelici 5, Senza partito 2.

25. Particolare disagio suscitarono talune sortite di Gaetano Salvemini contro la condotta di Palazzo Giustiniani durante la crisi culminata con l’avvento del regime. Nelle conferenze spesso organizzategli negli Usa da massoni italo-americani (come risulta dai resoconti di Di Pietro a Leti), l’antico interventista e antigiolittiano andava ripetendo che la generazione antefascista aveva compiuto errori gravissimi e doveva quindi essere definitivamente accantonata. Tra i massoni d’oltre Oceano taluno osservò che anche Salvemini era pertanto « un vecchio di quella generazione che ha commesso “errori” gravissimi » e che, quindi, a sua volta avrebbe dovuto trarsi da parte. Era quindi Giuseppe Leti, da Parigi, a rassicurare i massoni italo-americani sulla sicura buona fede del pur irruente storico pugliese: « ( … ) gli amici ed io diamo a lui – e bisognerebbe che Voialtri deste in America – una importanza più che relativa. Egli è un’anima sincera, un gran galantuomo, un quasi dotto. Il suo nome ci serve. Ma – come tutti gli uomini – il S.(alvemini) ha pure difetti gravi: è unilaterale, impulsivo, dominato da certe pregiudiziali politiche e anti-massoniche divenute il suo abito. E allora non gli si chiedono consigli, e non è detto che vengano eseguiti quando egli ne dà spontaneamente. Gli vogliamo bene, siamo felici che stia con noi; ma non discutiamo mai con Lui, e facciamo il meglio che possiamo anche se Egli non approvi ( … ) ». 26. G. Leti a Franck Bellini, Parigi, 22 dicembre 1930.

27. Il nucleo fondamentale del nuovo Grande Oriente coincideva in larga misura con la loggia « Italia », all’Oriente di Parigi. Un “piedilista” annotava anche il “colore politico” dei membri del Governo dell’Ordine: Giuseppe Leti, repubblicano; Eugenio Chiesa, repubblicano; Cipriano Facchinetti, repubblicano; Ettore Zanellini, radicalsocialista; Giacomo Carasso, repubblicano; Alberto Giannini, socialista; Nino Cordovado, repubblicano; Cesare Lazzari, repubblicano; Arturo Labriola, socialista; Aurelio Natoli, repubblicano; Luigi Campolonghi “repubblicano-socialista“.

28. Dalla vastissima letteratura su « Giustizia e Libertà » e gli esuli politici ci limitiamo a segnalare, tra le opere più ricche di indicazioni bibliografiche, N. TRANFAGLIA, Carlo Rosselli dall’interventismo a « Giustizia e Libertà », Bari, Laterza, 1968; AA.VV., Giustizia e Libertà nella lotta antifascista e nella storia d’Italia: attualità dei fratelli Rosselli a quaranta anni dal loro sacrificio, Firenze, La Nuova Italia, 1978; Nello Rosselli: uno storico sotto il fascismo, a cura di Zeffiro Ciuffoletti, Firenze, La Nuova Italia, 1979; Epistolario familiare di Carlo, Nello Rosselli e la madre (1914-1937), a cura di Zeffiro Ciuffoletti, Milano, SugarCo, 1979; AA.VV., L’emigrazione socialista nella lotta contro il fascismo (1926-1939), Firenze, Sansoni, 1982.

29. Il Gran Maestro Aggiunto, Arturo Labriola, 33.·., A tutte le Loggie della Comunione Italiana, Londra, 31 gennaio 1931, su carta intestata « Grande Oriente d’Italia (già palazzo Giustiniani, a Roma) », indirizzo: M. F. Galasso M.D., 2, Sheriff Road, West Hampstead, London, D.W. 6, pp. 2 (stampato Paris, Impr. Nouvelle, 11 rue Cadet, J. Amicar dir.).

30. Cfr. Appendice, doc. n. III. Sarebbe però errato identificare tale scelta con l’opzione esclusiva per un partito. Proprio Leti, che fungeva da rappresentante del partito repubblicano nella Concentrazione antifascista, scrisse: « Noi siamo organismo di élite, non abbiamo contatto colle masse, ma nutriamo i partiti della nostra linfa, e dobbiamo aiutarli ad avviarsi là dove è la vita » (Il Supremo Consiglio d’Italia, New York – in realtà Parigi -, 1932, p. 216).

31. Cfr. Appendice, doc. n. V.

32. Cfr. Appendice, doc. n. VI.

33. « Però non sappiamo – proseguiva Leti – se le nostre proposte saranno integralmente accettate da “Giustizia e Libertà“. Il collega relatore Nenni si è incaricato di riprendere contatto con tale organizzazione. Se con essa egli potrà raggiungere l’accordo, il Nenni presenterà alla “Concentrazione” la nostra relazione e le nostre proposte concrete ieri sera definite e ridotte in scritto. Se “Giustizia e Libertà” rifiuterà, allora vuol dire che (essendosi da nostra parte fatto il massimo delle concessioni, su cui parecchi di noi non credono di potere tornare), allora il compito della Commissione sarebbe esaurito con risultato del tutto negativo. Siccome ciò non è ancora risaputo, io, come Presidente della Commissione, sento il dovere di avvertire di quanto sopra gli organi della “Concentrazione” perché il nostro silenzio non sembri Loro che la Commissione abbia mancato all’assuntosi dovere ».
L’accordo prevedeva sei punti, tra i quali l’ingresso nel Comitato della Concentrazione antifascista di rappresentanti del « movimento rivoluzionario “G.” e “L.” », riconosciuto quale « movimento unitario dell’azione in Italia », ma che a sua volta accettava il programma e la disciplina della Concentrazione. In « G. e L. », come movimento unitario, entravano altresì gli aderenti ai « partiti e movimenti » della Concentrazione, « salvo i diritti di attività autonoma loro riconosciuti dal patto costitutivo della Concentrazione ». L’accordo avrebbe anche dovuto risolvere il contrasto con la « Giovane Italia », sorta dalla scissione del partito repubblicano.
Per i contatti Leti-Nenni cfr. Appendice, doc. n. VIII.

34. Verbali GOIE, Governo dell’Ordine, 21 maggio 1931: « L’entrata dei popoli mediterranei nelle vie della nuova civiltà democratica ed umana arricchisce tutta la nostra specie di un nuovo tesoro di pensieri, di sentimenti e di fatti (…) L’aurora dei popoli coincide col sorgere della libertà ».  

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