IL GRANDE ORIENTE D’ITALIA – LE SPIE DEL REGIME

Le spie del regime

      La notte fra il 30 e il 31 ottobre 1930 l’antifascismo democratico subì un grave infortunio, destinato a pesare a lungo anche sulla Massoneria italiana: l’arresto, a Milano, di « quasi tutti gli amici che facevano il lavoro di “G. e L.” e della “C.” e parecchi dei membri di una Loggia clandestina ». « È così spezzato il lavoro di 4 anni – confidava amareggiato Leti a Di Pietro, il 5 novembre -, e un notevole numero di amici hanno la famiglia sul lastrico, oltre a essere essi oramai destinati a varii anni di carcere e di confino » 35. L’immediata identíficazione del denunciatore – « un giovane avvocato, che da varii mesi lavorava per la causa con fedeltà e con disinteresse », evidentemente nell’attesa di « avere in mano le fila del complesso movimento » – apriva un problema sino a quel momento non trascurato, né ignorato, ma certo non ancora valutato in tutta la sua importanza: lo spionaggio attuato dal regime ai danni della Massoneria, come delle organizzazioni antifasciste in esilio già ripetutamente colpite tramite provocatori.
      Nei confronti della Massoneria il regime si mosse secondo tre linee, distinte ma complementari. Anzitutto, pur controllandoli da vicino, tramite infiltrazioni e informatori, il regime lasciava che alcuni pretesi ordini iniziatici tornassero a far capolino, in Italia, diffondendo sigle e diplomi, così da seminare confusione tra le file degli antichi autentici massoni, fra i quali Ulisse Bacci doveva rassicurare i suoi corrispondenti italo-americani, a cominciare da Frank Bellini
36, sull’assoluta infondatezza di un’effettiva rinascita della Massoneria italiana. Al regime, del resto, faceva comodo che all’estero si ritenesse possibile la ricostituzione, in Italia, di una massoneria pur ligia al potere.
      In secondo luogo, la polizia era alle prese con una ridda di voci, che ricorrentemente attribuivano a massoni i complotti più audaci – ora motu proprio ora di concerto con servizi segreti stranieri – per attentare alla vita di Mussolini o preordinare, comunque, un ricambio al vertice del governo
37.       In un rapporto informativo del 1° gennaio 1932, datato da Parigi, per esempio, oltre a dar notizia della formazione, a Milano, di un « comitato segreto fidatissimo con elementi giustinianei », si riferivano pretese confidenze di Arturo Labriola a Emilio Lussu – tramite il quale la notizia era filtrata sino a Nitti e, infine, all’informatore -, secondo le quali « nel corso dell’estate 1931 in una località della Baviera (erano) state gettate le basi di un’intesa segreta tra alcune alte personalità militari e politiche italiane allo scopo di esaminare e approntare i mezzi atti ad assicurare la successione del fascismo nella eventualità che quest’ultimo (dovesse) presto o tardi lasciare il posto ad un’altra forma di governo ». « Onde evitare che nel corso degli avvenimenti (potessero) insorgere tragiche conseguenze – veniva assicurato – una altissima personalità militare, che gode il prestigio di un nome caro agli italiani, avrebbe accettato di assumere la responsabilità di una dittatura militare che (evitasse) all’Italia e agli italiani lo scempio della guerra civile » 38.
      Anche le organizzazioni paramassoniche pullulanti in Italia – dal Movimento Nazionalista Massonico, all’Aquila Massonica, alla Carboneria e ad altre ancora
39 – benché non costituissero di per sé stesse un grave pericolo, erano altrettanti segni della diffusa attesa di un mutamento di regime e spingevano ad aumentare la vigilanza, nel timore che il superamento dei contrasti tra le diverse componenti dell’antifascismo – sui quali la polizia era assai bene informata – potesse produrre maggiori rischi.
      Un mezzo sicuro per seminare discordia tra i nemici era proprio quello – già di per se stesso utile – d’infiltrare spie e informatori nelle file avversarie e di trovare il modo di corrompere qualche elemento di punta del fronte antifascista: se fosse risultato che l’una o l’altra organizzazione antifascista era permeabile alle spie del regime o alla corruzione, ciascuna di esse si sarebbe inevitabilmente chiusa in sé stessa, nel timore di pagare lo scotto d’imprudenze altrui.
      L’azione spionistica a danno dell’Ordine non dette frutti proporzionalmente maggiori rispetto a quelli conseguiti ai danni delle altre organizzazioni; di gran lunga più clamorose furono invece le “conversioni” di Fratelli, già assurti a posizioni elevate nel risorto Grande Oriente d’Italia: ma si trattò di scelte dettate da valutazioni politiche generali, più che di corruzione spicciola, e vanno quindi valutate nel più generale processo di assestamento dell’antifascismo – seguito all’avvento di Hitler in Germania (1933) e al consenso di massa raccolto dal regime con la vittoriosa impresa d’Etiopia (1935-36) -, in un contesto internazionale in movimento.
  35. G. Leti ad Arturo Di Pietro, Parigi, 5 novembre 1930. In un appunto manoscritto, a destinatario non identificato, Leti aggiungeva: « I casi d’Italia – de’ quali vi ho sopra informato – esauriscono pel momento tutta l’attività di tutti in congressi, corrispondenza, comunicazioni telefoniche, relazioni coi giornali locali, gite un po’ qua e là. È vero che quando succedono di tali guai, la divisa è, come insegnava Mazzini, “cominciare da capo”, ma qualche giorno di stordimento, dopo una mazzata del genere, lo provava anche Mazzini ( … ) ».
L’indomani (6 novembre) Leti informava Di Pietro che qualche massone era comunque sfuggito all’arresto (« ma i migliori, i più sperimentati ci sono stati tolti e immobilizzati ») e raccomandava di non rivelare ad alcuno (tranne « i fidatissimi come Fama ») che gli arrestati appartenevano alla Massoneria o a organizzazioni antifasciste.
Leti informava inoltre Di Pietro che era all’esame delle organizzazioni antifasciste dell’esilio la proposta dei massoni italo-americani di ripartizione dei fondi raccolti negli Usa in parti uguali tra « G.L. », Concentrazione e Grande Oriente. Sull’inoltro di fondi dai Fratelli italo-americani a Parigi Pietro Montasini, Vicesegretario generale della Concentrazione Antifascista, a Gabriele Bellini, Parigi, 27 agosto 1931: « ( … ) Vi prego di continuare a sostenere il nostro movimento e di incitare tutti gli amici a fare altrettanto… Come sapete, il loro importo viene destinato all’azione concentrazionista in Italia ».

36. A Roma rimbalzava tuttavia una diceria (da Parigi, 26 dicembre 1931) secondo la quale candidato a nuovo G.·.M.·., in successione a Labriola, fosse il leader socialista Modigliani, che « non sarebbe alieno dall’accettare » (ACS, MI, DGPS, Pol. Pol., b. 27, f. 4). Un altro rapporto, in pari data, affermava che Labriola si sarebbe dimesso per facilitare la riorganizzazione della Massoneria che contava alcune officine in Francia e « molte logge clandestine » in Italia. « Nelle altre opere antifasciste – vi si legge – dopo la sistemazione della Concentrazione, si sentiva il bisogno di assestare anche la Massoneria ». In un’informazione del 26-XII-1931 (ACS, MI, DGPS, Pol. Pol., 1931, b. 27, f. 4) si dava per certa la candidatura di Emanuele Modigliani alla Gran Maestranza del G.·.O.·.d’It.·. in esilio e si precisava: « ( … ) la massa crede o ritiene ancora incompatibile la qualità di massone con quella di socialista. Modigliani non sarebbe alieno dall’accettare (…) ». Altro rapporto dell’11 luglio 1931 aveva asserito che lo stesso Modigliani era affiliato alla Massoneria francese, « ove è realmente molto ascoltato », e operava in collegamento con Alberto Tarchiani (poi ambasciatore d’Italia negli Usa), « il quale rimane il capo riconosciuto del nuovo raggruppamento » (ACS, MI, DGPS, G/1, b. 67, Grande Oriente d’Italia).
Da Berna il 27 febbraio 1932 veniva segnalato che « su proposta Salvemini la Massoneria intensifica l’opposizione antifascista », chiedendo « il diritto di voto per le donne »: “allarme” al quale l’alto funzionario di polizia osservava da Roma: « Le suffragette italiane sono così sparute di numero che la massoneria non farebbe una grande conquista. La stragrande maggioranza delle donne italiane è cattolica e certamente non farà lega col diavolo (massoneria) per combattere il fascismo, tanto piú che tra Italia e Santa Sede corrono rapporti amichevoli » (ACS, loc. cit.).

37. Nella maggior parte dei casi, erano gli stessi funzionari centrali della PS a ritenere infondate le informazioni su pretesi complotti massonici d’intesa con servizi segreti stranieri (v. per es. ACS, MI, DGPS, Pol. Pol., b. 77, Complotto massonico a Parigi per attentare alla vita del duce, e ivi, b. 86, Complotto organizzato dall’Intelligence Service in combutta con massoni). Secondo un’informazione da Parigi (febbraio 1932) un gerarca fascista s’era recato a Parigi, per partecipare a una tenuta massonica, proprio in relazione a un attentato a Mussolini. Veniva altresì asserita l’esistenza di contratti tra nuclei “operativi” e il massone Sante Garibaldi, rimasto in Francia, a differenza di Ezio.
Altre informazioni in ACS, loc. cit., bb. 103-105, Corrieri e fiduciari della Massoneria all’estero.
La vera linea di condotta dell’Ordine fu definita dal G.·.M.·. nella riunione del Governo dell’Ordine del 5 giugno 1932, nella quale Tedeschi affermò di non credere « che l’assassinio politico riesca a distruggere la tirannia ma ( … ) la rivoluzione renderà al nostro Popolo libertà e dignità », ove per rivoluzione s’intendeva una rigenerazione morale, fondata sull’educazione.

38. Informativa da Parigi, 1-I-1932 (ACS, DGPS, Poi. Poi., b. 27, f. 4). Vi si dava anche per certo il riconoscimento del G.·.O.·.d’It.·. da parte della Gran Loggia di Londra, a patto che il primo attenuasse la militanza antifascista.

39. Copiosa documentazione in ACS, MI, DGPS, AA GG RR, 1930, b. 27, f. 531 e 1936, b. 39, fasc. Torino.
Notizie sulla Lega mondiale della gioventù, « composta da elementi massonici pacifisti », in ACS, MI, DGPS, G1, 1920-45, f. 462. La messe di note informative rastrellate dall’Ovra e “girate” alla Direzione Generale di Pubblica Sicurezza, a Roma, non andò però molto al di là di quanto lo stesso Grande Oriente faceva sapere attraverso i giornali, le circolari e comunicati diffusi anche nel “mondo profano”. Semmai, talune informazioni servivano a ingigantire l’immagine dell’Ordine: come l’asserita appartenenza di Francesco Saverio Nitti a una loggia britannica e il preteso « pieno appoggio » della Gran Loggia di Francia all’« azione antifascista dei massoni italiani in esilio » (ACS, DGPS, Pol. Pol., 1931, b. 27, f. 4).
Sulla Carboneria durante il fascismo documenti in ACS, MI, DGPS, Pol. Pol., b. 103. Alcuni carbonari romani risultavano in contatto con Ezio Garibaldi. Di uno di tali nuclei latomici si affermava facessero parte Giuseppe Canti, figlio di un alto dignitario dell’Ordine, e persino il notaio Mencarelli, che ebbe una parte di rilievo nella transazione di vendita di Palazzo Giustiniani.
Trecento erano i membri che alcuni rapporti informativi assegnavano a « Vendite » romane, organizzate dall’ex deputato repubblicano, Giovanni Conti, da Armando Sollazzo e altri. Una nota da Parigi (18 settembre 1928) asseriva che anche il quadrurnviro Michele Bianchi aveva fatto parte della Carboneria.
Secondo alcune note informative nel 1928 Conti e altri avevano fondato un Partito d’Azione, i cui “quadri” erano formati da “popolo minuto” (loc. cit., b. 103).
Sulla scorta delle informazioni di polizia risulta infondata l’attribuzione al repubblicano Mario Pistocchi di un qualsiasi ruolo d’informatore dell’Ovra. Sull’argomento v. E. MERENDI, L’esilio del repubblicano Marzo Pistocchi visto attraverso le sue carte e i documenti dell’Archivio Centrale dello Stato, in « Archivio Trimestrale », Roma, VII (1981), f. 1, pp. 137-66, ove però non risultano utilizzate le carte da noi consultate.
Consta, invece, che nel 1938 Pistocchi fosse tallonato da presso da un informatore della polizia, « Franco » in codice (Parigi, 1-VIII-1938), che, fattosene amico, mirava a farsi introdurre in una loggia in fase di creazione da parte di Augusto Mione, Arturo Buleghin e Randolfo Pacciardi, nel quadro di una forte ripresa dell’attività massonica, « ( … ) anche se non può essere una costituzione regolare né regolarmente riconosciuta » (21 dicembre 1937, in ACS, DGPS, Pol. Pol., Massoneria italiana, b. 27). Risulta inoltre che un “Antonio” – operante in posizione eminente nei quadri del G.·.O.·.d’It.·. – giungeva a trasmettere alla Direzione di P.S. le lettere sue e di Leti; un altro infiltrato – “Togo”, in codice – era in grado di ragguagliare, per esservi stato presente, sulla conferenza svolta a Parigi il 25 marzo 1933 dal massone socialista Umberto Peroni, con 80 fratelli, 50 dei quali francesi, e, più oltre, intorno all’importante assemblea massonica italo-francese svoltasi in Parigi il 27 aprile 1935, al termine della quale, dopo Leti, Pistocchi e Antonio Cohen, Venturi « espose l’odissea di cui sono oggetto le famiglie degli antifascisti » (cfr. ACS, MI, DGPS, Pol. Pol., b. 27, f. 4).
 
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