IL GRANDE ORIENTE D’ITALIA – VIGILIA

Vigilia“: La Parola ritrovata

 
      Costretto a procedere da solo sotto la volta celeste, tallonato da presso dalla polizia del regime, senz’alcuna copertura formale da parte degli Stati ospitanti, a cospetto dell’intrico di contrasti partitici che, se non l’Istituzione, ne coinvolgevano gli “operai”, il 10 ottobre, 1932 (venti mesi dopo la sua ricostituzione) il nuovo Grande Oriente d’Italia poteva comunque tracciare un bilancio complessivamente positivo, anche se rimanevano da sciogliere i nodi del riconoscimento da parte di altri corpi massonici, la riorganizzazione disciplinare e finanziaria dell’Ordine, il rapporto con la “politica”.
      Per la navigazione verso la regolarità il Grande Oriente doveva fidare in molte ma divaricanti stelle polari: l’A.M.I., anzitutto, che da un decennio accennava a coordinare le Famiglie dell’Europa continentale in un unico sforzo verso la democrazia; ma anche le Grandi Logge d’Oltreoceano – pur così lontane dal penetrare la complessità della terra delle due Rome -; e, infine, la Gran Loggia Unità d’Inghilterra 40.
      Altrettanto suggestivo era però il disegno di una Federazione Massonica Universale, di cui i Fratelli d’Italia sentivano bisogno dinanzi alla lentezza con la quale le famiglie d’Oltralpe stentavano a capire la situazione, nuova e drammatica, a fronte della quale si trovava l’Europa e di cui si fece interprete il repubblicano Cipriano Facchinetti quando giunse ad affermare che « la Massoneria internazionale dorme e non si accorge o finge di non accorgersi che ci si prepara una nuova guerra, finanziando le organizzazioni fasciste e comuniste ». A conferma, gli bastava constatare che « ormai 10 Stati Europei sono nelle mani dell’Autocrazia, in 10 Stati non vi è più parlamento, libertà di parola, libertà di riunione ». A quel punto, anziché attendere riconoscimenti dall’alto, meglio era mirare a legittimazioni « dal basso », cioè attraverso la relazione reciproca con Logge d’altre Comunioni, che avrebbero poi provveduto a far valere i diritti degl’italiani dinanzi ai rispettivi governi, come propose Alessandro Tedeschi.
      Dinanzi a un Fratello « che viene dall’Italia e vi deve ritornare e ritornando deve portare il programma della nostra azione, e dice e consiglia di tagliare netto all’interno coi vecchi e coi tiepidi », Leti non mancò tuttavia di richiamare i Fratelli tra le colonne del Tempio, sul quadro immutabile dell’Ordine: « ( … ) se si vuole restare Massoneria – egli sentenziò – non si può fare una politica repubblicana o socialista e più che farla non si può dichiararla, in una parola gli Statuti dell’Ordine non si possono cambiare né correggere ». Fermamente convinto che « in Italia anche i più vecchi costituzionali e monarchici che pensano all’abbattimento del fascismo sono diventati repubblicani », il S.·.G.·.C.·. collegava la crisi italiana a quella dell’intera Europa.
      Le forze della reazione ormai prevalevano ben oltre i confine della penisola. Anche se tardi, altre Famiglie non potevano più nascondersene gli effetti. Dal gennaio 1932 la Massoneria tedesca aveva fatto sapere di considerare « l’avvento di Hitler come la più grande calamità che possa abbattersi sulla Germania » 41. Ma se pochi capivano, meno ancora erano quelli disposti a capire. Le tensioni e il disorientamento penetrati anche nell’Ordine venivano percepiti all’esterno, tantoché un informatore registrava le dimissioni di Facchinetti « anche da massone », annunziava che la Massoneria rifiutava di aiutare finanziariamente « Giustizia e Libertà » e, infine, concludeva che l’intero Grande Oriente « non ha vitalità » ed era « senza alcuna probabilità di esistenza » 42.
      La realtà era però di tutt’altra natura. Come riferivano, non senza preoccupazione, altre spie, malgrado gli arresti dell’ottobre 1930, il governo dell’Ordine decise infatti la ricostituzione di logge clandestine in Italia, mentre numerosi fratelli facevano la spola dall’uno all’altro centro della Francia, del Belgio, della Spagna repubblicana per rievocare la figura del Gran Maestro vittima del fascismo e per testimoniare che la Massoneria era tutt’altro che spenta: da Strasburgo, ove parlò Alceste De Ambris, a Parigi, ov’era Luigi Campolonghi a commemorare Torrigiani, a Parigi, ove operava Luigina Nitti (promotrice di un comitato di soccorso per le famiglie dei massoni incarcerati) e Baldacci, Giovanelli e Battaglini parlavano su Vaticano e gioventù fascista. Né, tra quelle circostanziate, mancavano le informazioni infondate: come l’annunzio, per il 14-16 ottobre 1933, di un « congresso del partito massonico italiano », a Bordeaux, con relazioni di Pacciardi, Buozzi e Rosselli e una riunione massonica preparatoria, a Marsiglia, con Rosselli e Chiostergi 43.
      In effetti, il fervore della presenza liberomuratoria – dal cinquantenario della morte del Gran Maestro Giuseppe Garibaldi, il cui massonismo era taciuto nell’Italia concordataria, al bicentenario della nascita di Washington, al centenario della morte di Goethe – non si restringeva a riti estrinseci, ma riaffermava le ragioni del contrasto radicale tra l’Italia delle libertà e quella della reazione 44.
      Insistere sui landmarks dell’Ordine – anche attraverso l’esemplificazione biografica – serviva, inoltre, a mettere in guardia da un certo vezzo di verbalismo rivoluzionario dilagante nelle file dell’antifascismo militante. Se ne fece interprete, nell’Assemblea dell’Ordine del 18 dicembre 1932, il Fratello Cipriano Facchinetti, secondo il quale la “latitudine” nell’ammissione di nuovi fratelli non doveva condurre a cedimenti sotto il profilo programmatico e dottrinale. « Troppi errori di questo carattere – egli notava – hanno provocato la profonda crisi che attraversa l’antifascismo e hanno contribuito a consolidare la situazione dei nemici nostri ». Le vere radici della crisi – spiegava – eran tali da rendere « quasi impossibile la convivenza politica di uomini di scuola diversa, e l’assenza assoluta di un vero programma contingente e una reale visione dei bisogni dell’Italia di domani. Tutti i partiti politici di sinistra o quasi si sono dati ad una gara al sempre più rosso dimenticando l’essenza del Popolo italiano e le condizioni economiche e morali del nostro Paese. Non si è trovato, in questi ultimi tempi, altro di meglio – annotava Facchinetti con sarcasmo – che di enunciare come un programma di domani nazionalizzazioni di proprietà e di istituti, statizzazione di imprese, ecc. ecc., promettendo cioè agli italiani derubati per merito del fascismo del 75% delle loro proprietà che l’Italia di domani li priverà di ciò che resterà. … Non si sistemerà le finanze d’Italia – egli concludeva – statizzando le cambiali protestate giacenti nelle Banche ». Osservazioni alle quali non contrastava neppure Peroni, che pur ricordava ai presenti la sua fede socialista.
      Dopo lungo intervallo, il 2 settembre 1934 ebbe luogo una nuova Assemblea dei massoni italiani presso l’abitazione del Gran Maestro, a Reignac (St. Loubé). Respinta la proposta di Labriola, di trasformare il Grande Oriente in un comitato massonico, Tedeschi comunicò l’avvenuto rilancio dell’iniziativa massonica nella penisola, « senza far cenno di luoghi e persone », perché era ormai chiaro che solo dall’interno della Famiglia eran potute partire le indiscrezioni (arduo stabilire quanto malintenzionate), rivelatesi esiziali per alcuni nuclei operativi.
      L’intero quadro politico internazionale era in fermento per il mutamento di rotta seguito dalla Terza Internazionale, col programma dei “fronti popolari“, tardivamente avviato dopo l’avvento di Hitler in Germania e – con specifico riferimento agli esuli italiani – per l’inasprimento dei contrasti nelle file repubblicane. Nulla dunque consigliava di correlare al contesto dell’antifascismo il senso globale dell’azione liberomuratoria, consegnato da Giuseppe Leti alla Storia del Supremo consiglio d’Italia, stampata a Parigi nel luglio 1932 per la « A.D.P. e C. Publischer di Brooklyn (New York) » e diffusa, tra i massoni delle due sponde dell’Atlantico, quale “manifesto” del risorto Grande Oriente d’Italia.       « Né la solidarietà mondiale, né quella più ristretta internazionale non hanno mai sufficientemente funzionato » – vi osservava Leti a proposito della “solidarietà massonica”, sulla quale era stato relatore nel Congresso internazionale promosso a Roma dal Grande Oriente nel cinquantenario del regno -. « Veramente lacrimae rerum… », era il suo commento. Tuttavia proprio sulla « ardua e spinosa » via dei riconoscimenti gli anni 1933-34 non erano stati senza frutti positivi, se anche dal Supremo Consiglio dell’American Federation of Human Ríghts veniva manifestato il pieno consenso alla legittimità della rinascita della Massoneria italiana 45.   40. Il 4 settembre 1929 la Gran Loggia Unita d’Inghilterra adottò una risoluzione in 10 punti, che riassumevano i principi fondamentali della « regolarità ». Il punto 7 ribadiva: « Ogni discussione di religione o di politica nella Loggia deve essere strettamente proibita ».

41. ACS, MI, DGPS, G/1, b. 67 e Verbali GOIE, 18-XII-1932.

42. ACS, MI, DGPS, Pol. Pol., 1931, b. 27, f. 4, Massoneria italiana.

43. Ivi.

44. Particolari consensi raccolsero anche sempre le rievocazioni di Domizio Torrigiani, entrato nel novero delle illustri vittime della causa massonica.
V. per es. l’invito diramato da Santi Puglisi, Venerabile della Loggia « Archimede », n. 835, all’Oriente di New York, a una solenne commemorazione di Torrigiani per il 20 settembre 1935. Il G.·.M.·. scomparso vi era definito « gloria e vanto della Massoneria universale, Colui per il quale la nostra “Archimede” si sente orgogliosa di averlo annoverato nell’Album d’Oro quale nostro Membro Onorario ( … ) Siate numerosi – incitava Puglisi – mettete ogni altro impegno da parte, che ciò facendo avrete compiuto un Dovere Massonico e confermata la vostra sempre crescente stima per l’Eroe Immortale. Venite tutti ed insieme reciteremo una Prece di Devozione per il Martire che sarà Ammonimento ai Tiranni nemici del nostro Ordine » (GOI, AS).

45. Docc. in Carte Leti (GOI, AS), cfr. Appendice, doc. n. XI.  
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