L’alleanza delle Massonerie perseguitate
Il
giorno successivo all’Assemblea della Massoneria italiana negli stessi locali
messi a disposizione dalla Gran Loggia di Francia, in rue Puteaux, nacque
l’Alleanza delle Massonerie perseguitate: per iniziativa e con la guida della
Comunione italiana, il cui Gran Maestro, Tedeschi, ne venne infatti eletto
presidente. Un rapporto sulle condizioni delle Famiglie in Europa (Italia,
Polonia, Germania, Portogallo, Ungheria, Turchia, Austria, Finlandia, Russia,
Olanda, Svizzera … ) offriva un quadro impressionante di persecuzioni,
interdizioni, minacce. Non era quindi più tempo di lamenti, ma d’azione. Alla Federazione aderirono anche le Grandi Logge di Paesi dell’America meridionale, ove si presentavano condizioni analoghe a quelle d’Europa. A suggello della fondazione dell’Alleanza, tutti i delegati si recarono a rendere omaggio alle tombe di Ellero, De Caro, Gobetti, Rosselli, Turati, Treves, Chiesa e al monumento a Garibaldi in Place Cambronne, ove Tedeschi inneggiò all’opera di Randolfo Pacciardi, che, alla guida del battaglione internazionale di volontari ne « rinnova(va) le gesta in Ispagna per la Repubblica e la libertà » 55. Il successo dell’iniziativa del G.·.0.·.d’I.·. suscitò notevole allarme nel governo di Roma, al quale affluivano copiose notizie su un generale risveglio massonico nelle comunità italiane d’Oltralpe: dall’Egitto (ove si contavano ormai a molte decine gl’italiani che non nascondevano di frequentare ambienti massonici britannici e la loggia « Cincinnato » di Alessandria), all’America meridionale, ai nuclei italofoni della penisola balcanica, a contatto con le legazioni franco-britanniche, che facevano leva sui quadri liberomuratori locali per fronteggiare la penetrazione nazifascista, più aggressiva nel clima ormai arroventato dall’Anschluss e dalla questione dei Sudeti. Né mancavano ripercussioni all’interno della penisola, se veniva segnalato che 8 dei 13 reparti degli Altiforni di Livorno erano sotto diretto controllo di ex massoni, tra i quali Andrea Del Bruno, trovato in possesso di materiali avvolti in stampe massoniche e di una medaglia in morte di Giuseppe Mazzoni. Altre segnalazioni riguardavano Napoli e Savona, centri portuali nei quali era più agevole e frequente il contatto coi fratelli d’altre Comunioni, di passaggio nella penisola, e dai quali era anche facile avere e far giungere notizie ai fratelli in esilio. Per essere aggiornati sulla consistenza del risveglio massonico gli uffici investigativi del regime potevano dunque ormai fare anche a meno degl’informatori, via via assoldati, talvolta anche nelle file dell’Istituzione 56. La vastità del movimento si palesava in tali e tante forme, da indurre il regime a fare il deserto dinanzi a una sua possibile avanzata, con l’eliminazione di tutti gli organismi che in qualche modo potessero favorirla. Bastino, tra tutti, gli ostacoli frapposti ai convegni di studi di metapsichica (aprile 1938, a Bologna, per iniziativa di Emilio Servadio) e, infine, il divieto del Rotary Club: atto, codesto particolarmente grave, quando si pensi che sin dal 1926 la presidenza onoraria del più noto e diffuso club service di tradizione laica era stata assunta, in Italia, da Vittorio Emanuele III. In tale situazione assume un significato emblematico la rappresaglia attuata dal regime nei confronti delle residue spoglie dell’ingente materiale massonico (arredi, paramenti, fondi archivistici, schede nominative, corrispondenza varia, … ) rinvenuto in locali di Via Gino Capponi, a Roma, sin dal 1931. Con stile barbarico, mentre la maggior parte del materiale cartaceo, irrimediabilmente rovinato per l’umidità, fu distrutta, le medaglie d’oro di Ettore Ferrari – capolavori dell’oreficeria massonica italiana – vennero fuse e ridotte a un lingotto di 68 grammi 57: manifestazione di quella rozzezza culturale che trasformava la persecuzione razziale da genocidio in etnocidio. Altrove, però, il Grande Oriente raccoglieva i frutti dei suoi decennali travagli: nel maggio del 1938 la Gran Loggia di New York riconosceva al « fratello Randolfo Pacciardi » il diritto di visitare le Logge di quello Stato: premessa – suggeriva Angelo Princi a Giuseppe Leti 58 – per « risolvere, nel caso eccezionalissimo, la posizione del riconoscimento di tutti i Gr.·.0.·. che per ragione di persecuzione della dittatura si trovassero in esilio », col proposito, in caso di esito negativo, di rialzare le colonne di tutte le officine italofone a suo tempo all’obbedienza del Grande Oriente d’Italia, costituite da quanti, tra i 13 milioni d’italiani emigrati dalla penisola verso altri lidi s’eran riconosciuti sotto le volte d’Hiram. Che la svolta per la penisola sarebbe comunque giunta dall’esterno fu chiaro anche dalla cauta richiesta d’informazioni da Leti rivolta a Tedeschi intorno al « signor Guariglia », trasferito dall’Ambasciata d’Italia di Buenos Aires a quella di Parigi: proprio l’uomo che avrebbe poi avuto una parte fondamentale per “sganciare” l’Italia dall’ineguale alleanza con la Berlino hitleriana. 55. I delegati presenti alla fondazione dell’Alleanza delle Massonerie Perseguitate erano: Alessandro Tedeschi, Giuseppe Leti, Giacomo Carasso, Cesare Lazzari, Urbano Ciacci, Otello Masini, Francesco Cerasola, De Ambrosis e Ferri per il G.·.O.·.d’I.·., José Dominguez Dossantos e Agathaa Lança per la Massoneria portoghese, Wagner, Gembel e Behrendson per quella tedesca. Resoconti della fondazione dell’A.M.P. comparvero anche in « L’Italia del Popolo », 8-VIII-1938, e « La Stampa Libera », New York, 11 luglio 1937. Rapporti informativi in merito in ACS, MI, DGPS, AA GG RR, 1920-45, a. 1937, b. 70 e, ivi, 1938, b. 55. 56. Il caso più clamoroso di “voltafaccia” fu quello di Alberto Giannini, già Gran Segretario del Grande Oriente. Contrariamente alle fosche leggende sulle “vendette” massoniche, il G.·.O.·.d’I.·. in esilio – benché versasse in gravi difficoltà finanziarie e sfidando gli strali di taluni antifascisti – deliberò di continuare a corrispondere le rette mensili al collegio nel quale studiava Marcelle Giannini, abbandonata dal padre, passato in Italia, a scriversi Le memorie di un fesso (parla Gennarino “fuoruscito” con l’amaro in bocca), Paris, 1934, allo stesso modo in cui manteneva il piccolo Bruno Becciolini, figlio del massone massacrato dagli squadristi a Firenze il 3 ottobre 1925, fatto clandestinamente pervenire con la madre a Parigi, ove, nel 1937, egli venne “adottato” come “lupetto” della Loggia « E. Chiesa » nel corso di una solenne cerimonia. 57. In proposito, un minuzioso rapporto, datato 28 febbraio 1938, in ACS, MI, DGPS, AA GG RR, 1938, b. 55. 58. A. Princi a G. Leti, New York, il 14 maggio 1938. Alle pastoie burocratiche di taluni poteri massonici d’oltre Oceano, con la coscienza dell’opera svolta in una trincea avanzata, Giuseppe Leti rispondeva: « Noi non cerchiamo riconoscimenti. Essi non sono costituzionali secondo le leggi massoniche, e molto meno necessari. Di più noi siamo tra le più vecchie e, certo, le più nobili delle massonerie europee. Non cerchiamo patenti, le diamo. Non provochiamo l’onore di relazioni, quando non sono ricercate, siamo felici di accordarle quando riescono gradite a corpi e istituzioni legittime. Per superbia? No, ma per doveroso rispetto delle nostre tradizioni; e poiché dobbiamo non diminuire in polemiche, in piccoli conflitti, malintesi, competizioni di corridoio la grande rispettabilità dei grandi come Garibaldi, Mazzini, Nathan, Lemmi, Ballori, Ferrari, di cui continuiamo l’esempio e la scuola ( … ) ». |