IL MITO GLOBALE DI GARIBALDI. UN’ICONA SEMPRE ATTUALE
UN SIMBOLO DI LIBERTA’
DI SANDRO RODARI
A 140 anni dalla morte, il generale resta un eroe positivo in tutto il mondo.
Dall’America Latina alla Francia al Risorgimento: combattente senza frontiere
Sembra impossibile, eppure a centoquarant’anni dalla scomparsa Giuseppe Garibaldi mantiene intatto il suo mito. È il mito di un eroe positivo; soprattutto di un eroe globale. Forse proprio per questo conserva tutta la sua attualità. Egli aveva una visione dei valori per i quali combattere che considerava validi in qualsiasi paese della Terra.
Iniziò nell’America latina, giovanissimo, da esule, battendosi per l’indipendenza di quei popoli contro il dominio spagnolo; proseguì in Italia, prima e dopo le rivoluzioni del ’48, e concluse la sua esperienza militare di condottiero organizzando in Francia l’armata dei Vosgi, nel 1871, per sostenere la nascente Terza Repubblica contro il nemico prussiano. Proprio per dare risposta alla incorruttibilità del mito, dodici studiosi hanno riunito le loro diverse competenze per approfondire gli aspetti di una biografia irripetibile (Garibaldi e il suo mito, a cura di Sandro Rogari, Minerva).
Ne è scaturito un libro, oltre che esteticamente assai bello per la grafica e la ricchezza delle immagini, anche assai fruibile per la scrittura piana dei diversi capitoli che lo rende apprezzabile da tutti coloro che amano le biografie storiche. Dalla complessiva lettura del volume, che si fa tutta d’un fiato, emerge il ritratto di un eroe non solo senza spazio, ma anche senza tempo. Fu idolatrato come eroe nazionale dalla dittatura fascista, almeno fino al 1938, poi il suo volto fu assunto a simbolo delle Brigate Garibaldi nella lotta di Liberazione. E tornò di nuovo a simboleggiare le sinistre unite alle elezioni del 18 aprile 1948, aprendo una contesa che non si è mai esaurita. Ma Garibaldi era repubblicano o socialista? In realtà, Garibaldi nasce repubblicano e come tale si batté per il simbolo stesso della repubblica delle rivoluzioni del ’48, la Repubblica romana. E la stessa morte della sua amata Anita, divenuta mito del Risorgimento al femminile, fu causata dalla rocambolesca fuga da Roma per sfuggire alle armate prima francesi, poi austriache.
Ma in realtà, per la causa del Risorgimento nazionale e dell’unità, Garibaldi seppe anche dissociarsi da Mazzini e garantire il proprio appoggio alla Società nazionale, ideata da Cavour per unire le forze dei liberali e dei democratici nella lotta per il riscatto dell’Italia. Come seppe fermarsi, cedendo le armi a Vittorio Emanuele II a Teano, nell’ottobre 1860, rinunciando alla immediata conquista dello Stato Pontificio. Sarebbe stata intempestiva e tale da minacciare le conquiste già realizzate con la liberazione del Mezzogiorno dal dominio borbonico. Certo poi, scomparso prematuramente Cavour, il contrasto dell’Eroe con la monarchia sabauda e con i suoi governi, accusati di non avere il coraggio di attuare il diritto della nazione alla liberazione di Roma dal dominio pontificio, si ripropose. Riemerse il Garibaldi simbolo degli ideali repubblicani pronto a battersi contro l’odiata Francia del secondo Impero. All’Aspromonte, nel 1862, fu fermato dall’esercito italiano sulla via di Roma su ordine di Napoleone III. E la ferita fisica, alla gamba, e morale alla nazione non si rimarginò più. Concorrendo a costruire il mito dell’eroe senza macchia, giunto fino a noi
DA “LA NAZIONE” DEL 15 GENNAIO 2023