L’esempio di un Uomo che ha navigato controvento
Le Logge Garibaldi sono una grande catena di libertà ai quattro angoli del mondo. Il
Generale conosceva il segreto del mare, sapeva che occorre viverlo con ogni vento,
senza paura. In questo tempo di crisi morale prima ancora che economica, c’è
bisogno di tornare alle radici della libertà, intesa come possibilità di realizzare il
nostro progetto di vita senza scontrarsi con il pensiero altrui.
Il senso del cammino è l’accesso alla conoscenza del nostro tempo. Fanno
paura le parole pronunciate per mettersi la coscienza a posto, ripetizioni di belanti
umanisti dell’ultima ora, appollaiati sul trespolo della mancanza di certezze. Noi non
siamo figli di nessuno: abbiamo una storia, radici profonde, veniamo da lontano.
L’esempio di Garibaldi e dei suoli ragazzi che controvento cercavano un’Italia
diversa e migliore, non è un gioco letterario né una pagina chiusa di storia. Quel
racconto di libertà lo portiamo nel cuore ma non è nostalgia: è insegnamento per
l’oggi. E’ rottura con i compromessi, con un presente fatto di conformismo e pensiero
unico. E’ coraggio per un viaggio mai concluso dentro noi stessi e quello che
vogliamo essere in questo tempo.
L’interesse di Garibaldi era rivolto ai grandi progetti di riforma, tra i quali
l’allargamento del suffragio, l’istruzione obbligatoria, il riconoscimento dei diritti
delle donne, senza dimenticare la lotta per il riscatto del Sud. Parole e azioni che
hanno cementato il sentimento nazionale, gettando le basi dell’Italia moderna.
Ci fa ancora strada quell’uomo che, di fronte a ciò che era giusto fare, non
badava al rischio, il condottiero più vicino alle masse contadine che alla borghesia, il
pensatore che non si arrese alle sirene della politica pur essendo stato membro del
Parlamento per otto legislature.
Oggi, nell’era biomediatica, servono maestri e testimoni. Un percorso
necessario per sperare in una rinascita civile dell’Italia. La rinascita nel nostro Paese
è sempre avvenuta grazie all’educazione che fa scoprire la bellezza e la dignità della
vita vissuta secondo un alto senso dei doveri civili. La scuola come palestra di
confronto, l’amore per la Costituzione, la libertà sono i sentieri del nostro impegno,
allargando lo spazio per i cittadini, perché senza partecipazione ogni processo è
calato dall’alto, e non ci sono rivoluzioni di coscienza. Non siamo liberi nonostante i
doveri, ma grazie ad essi. Perché la coscienza civile è sempre una forma di lealtà
verso le istituzioni e la storia, le memorie e i linguaggi.
Il nostro compito è contribuire ad educare alla cittadinanza responsabile. Ecco
perché il Generale che fu Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia, non può restare
un’immagine fissata sulla lastra di bromuro né un ‘santino’ laico su piazze e strade.
Dobbiamo andare alle radici di un messaggio morale, e impegnarci a costruire il
futuro. Occorre promuovere, nel segno della lezione dell’Eroe dei Due mondi, una
nuova visione dell’Italia e dell’Europa. Un nuovo viaggio nell’incompiuto del
Risorgimento, per cogliere il segno che resta.
Le celebrazioni per i 150 anni dell’Unità d’Italia – che l’anno scorso abbiamo
promosso da Nord a Sud del paese – hanno fatto molto, ma c’è bisogno di un nuovo
impegno civile per una memoria che sappia farsi progetto e declinare futuro. Il testo
programmatico della spedizione in Sicilia, ordine del giorno del 7 maggio 1860, è un
documento da quale ripartire per trovare nuove ragioni dell’essere italiani: abita in
quelle pagine la teorizzazione del rifiuto di una ”ricompensa” per il servizio alla
Nazione. Si lotta e si costruisce per un fine, non per i metalli. Un altro testo, che
conclude idealmente la spedizione dei Mille, venti giorni dopo la battaglia del
Volturno e quattro giorni prima dello storico incontro di Teano, è documento di
grande valore, spesso dimenticato nelle cronache, Alle potenze d’Europa:
memorandum. Il Generale propone ai governi francese e britannico di dar vita a una
confederazione europea che punti a costituire uno Stato unico europeo: “Supponiamo
che l’Europa formasse un solo Stato […] e in tale supposizione, non più eserciti, non
più flotte, e gli immensi capitali strappati quasi sempre ai bisogni e alla miseria dei
popoli per esser prodigati in servizio di sterminio, sarebbero convertiti invece a
vantaggio del popolo in uno sviluppo colossale dell’industria, nel miglioramento
delle strade, nella costruzione dei ponti, nello scavamento dei canali, nella fondazione
di stabilimenti pubblici e nell’erezione delle scuole che torrebbero alla miseria e alla
ignoranza tante povere creature che in tutti i paesi del mondo, qualunque sia il loro
grado di civiltà, sono condannate dall’egoismo del calcolo e dalla cattiva
amministrazione delle classi privilegiate e potenti all’abbrutimento, alla prostituzione
dell’anima e della materia”. Questo testo vagheggia gli Stati Uniti d’Europa, ma è un
monito anche per l’oggi.
Non basta dire ciò che Garibaldi è stato: occorre dire cosa vogliono oggi gli
eredi del suo pensiero, e come pensano il futuro. C’è bisogno di risposte serie. Di
riprendere il filo di un cammino, pur tra le necessarie transizioni, lavorando per
superare lo smarrimento morale in un tempo in cui il blocco declinista si ingrossa. I
‘garibaldini’ non sono tra quelli che parlano di Finis Italiae. Non lo saranno mai. La
storia ci insegna altro. Le nostre battaglie per la laicità, ci indicano alla storia come
costruttori, soldati della libertà. Non serve agitare un contro-passato rispetto alla
storia risorgimentale che ha cucito l’Italia Unita. Né dividersi sulle memorie di parte,
vedendo passare carri armati che difendono trincee già perse. Va invece riscoperto ciò
che legò per sempre più generazioni di italiani in un destino comune. La storia è
punteggiata da esempi positivi che possono fare ancora strada. Trovare una nuova
alchimia che serva all’Italia vuole dire puntare sui giovani e sulla cultura. Come ai
tempi del Generale, occorre rimettere in piedi l’Italia.
Nel 1861 l’Unità d’Italia nasce con uno scopo preciso: diventare moderni. Non
è un caso che La storia della letteratura italiana di Francesco De Sanctis, uscita nel
1870 e da molti ritenuta la massima espressione ideologica del Risorgimento, si
chiuda con l’esortazione a “fare il mondo moderno il mondo nostro”. Non servono
zone riparate, ma saper leggere ciò che porta il vento. E impegnarsi per una nuova
giustizia sociale, riconquistando la modernità non con le baionette ma con le idee di
lungo respiro. Una ‘nuova spedizione’ culurale e sociale, che potremo fare solo
insieme.