Esperienza in Loggia Sul tema della epistemologia massonica trattata secondo l’antico costume muratorio del catechi
Sul timpano del tempio di Apollo a Delfo , da tempo immemorabile, il “CONOSCI TE STESSO” ammonisce l’umanità all’autocoscienza.
Per migliorare l’equilibrio interiore è necessario conoscere se stessi.
La coscienza però non elimina l’errore, non possiede la verità ma pone il modulo della verità ad un livello molto più complesso e cruciale ed apre l’uomo all’Arte Reale.
Tale processo deve trovare stimolo nel lavoro di Loggia.
In ognuno di noi il concetto di SE’ si sviluppa anche attraverso la necessità di “vedersi” nella relazione dinamica con l’altro “attraverso” gli altri: la Loggia, in tal senso, è luogo fisico e psichico privilegiato.
Ognuno per conoscersi, deve tradurre la propria condotta cosciente nei sottostanti motivi inconsci: per veramente conoscersi, bisogna dunque, poter giungere a quei taciti impulsi subconsci che agiscono nascostamente sulla nostra condotta cosciente.
Ogni personalità, come ogni civiltà e cultura, si esprime secondo stili particolari: noi occidentali tendiamo a realizzarci attraverso forme di pensiero di tipo analitico.
Comunemente si afferma che non vi sono azioni che non siano EGOISTE”. In realtà, nessuna idea viene a caso, ogni idea è stata sospinta da influssi sottostanti, oppure attratta da ragioni esterne.
Solo una filosofia dell’uomo ci consente di incontrarlo nella sua complessità: proprio la polifonia delle voci evocate da questo incontro è testimonianza del fatto che la verità umana è viva solo nelle scelte e nelle contraddizioni.
Allora, se la nostra attività mentale cosciente si limita allo scegliere e al respingere ciò che filtra dall’inconscio (e ciò avviene comunemente), non riporteremo mai alla luce le motivazioni inconsce e così, non riusciremo mai a estinguere ciò che, di solito, si respinge soltanto, nelle radici dell’inconscio sommerso.
Nel permanente gioco combinatorio tra l’operazione logica, la pulsione affettiva e gli istinti vitali elementari, la coscienza di sé si identifica nell’aspetto morale della maturazione che, dall’anomia iniziale (egoismo ingenuo), all’eteronomia (obbedienza per realismo morale), porta all’autonomia intesa come interiorizzazione della legge, per partecipazione consapevole, che quindi non implica coercizione esterna al SE’.
La coscienza si riduce, senza l’analisi delle radici, a una superficie mentale insignificante, in confronto alle vaste distese dell’inconscio.
Dall‘”Elogio della follia” di Erasmo:… “guardate qui dunque cosa ha fatto Giove; egli ha dotato l’uomo di ragione in proporzione singolarmente piccola rispetto alle sue passioni, laddove ha disperso queste in ogni parte del corpo, ha limitato la ragione ad un piccola porzione del cranio
Se riusciamo a liberamente snodare la corrente associativa delle idee, la nostra coscienza finirà, a un certo stadio, per scoprire il ricordo che sta alla radice.
Ricordo simbolizzato d’insopprimibili esigenze vitali! Ma non è solo disseppellendo il passato, bensì nel ritrovare da soli la propria congruenza, che si realizza e si compie la coscienza di sé.
Solo attraverso l’analisi dell’inconscio si può ricostruire la personalità cosciente.
Le forme di cultura sono l’equivalente esteriorizzato dell’inconscio umano.
Se noi riusciremo a seguire fino in fondo le radici dei nostri pensieri, potremo alla fine trovarci in presenza di ciò che costituisce il fondo più intimo della nostra personalità.
Sensazioni ed emozioni sono l’essenza della vita: quando l’uomo aspira alla pura ragione, le sue emozioni represse prorompono in sintomi nevrotici che lo allontanano dall’armonia del sé cosciente.
Trascineremo allora davanti alla nostra personalità cosciente, in modo da contemplarle faccia a faccia, le idee che sono responsabili delle caratteristiche del nostro temperamento.
Non è facile il processo di trasformazione del temperamento in carattere e quindi in personalità: il dubbio costituisce uno dei momenti fondamentali della coscienza, intesa come responsabile controllo interiore dell’individuo sul proprio comportamento.
Dice Freud: “il sogno decifrato spesso ci si rivelerà inconfessabile”. Ma nell’inconscio non vi è solo l’infimo ma anche il sublime.
“Il dinamismo delle tendenze psichiche inconsce si esprime, oltre che nel sintomo e nel comportamento, anche nel sogno, che rappresenta la via regia per conoscere l’inconscio” (Freud).
Secondo l’analisi della psiche, con il mettersi arditamente di fronte alle proprie radici, si compie quel trattamento purificativo su se stessi, che il Ralph definisce “igiene della luce”.
La vera salute e la vera pace dell’uomo staranno nella maggior unione possibile tra l’IO, principio di realtà e il SE, principio di godimento. Solo così si avrà il godimento della realtà, il godimento della conoscenza.
Potremmmo finalmente accorgerci se, nei nostri comuni comportamenti, abbiamo rincorso e rincorriamo solo fantasmi di godimento.
Ognuno cerchi fondamentalmente in sé; e poi intorno a sé. Le nostre intime debolezze somigliano a ombre, più le fuggiamo, più esse ci inseguono; e così mai si riesce ad aumentare la distanza che ce ne separa, perché è impossibile fuggire la nostra ombra.
E’ necessaria la presenza di una luce per veder proiettarsi un’ombra.
Invece di fuggirla dobbiamo fare il contrario: voltarci e guardarla in faccia, senza mai gemiti né pianti. L’analisi della psiche è l’igiene della luce, la luce della coscienza può disperdere i fantasmi. La luce della coscienza trasforma il buio in colori.
Pensiamo al monito Vedico: essere-coscienza-beatitudine. Inattuabile con il solo sforzo razionale, ma realizzabile con la completa autocoscienza e padronanza di sé, al fine di superare i desideri limitati e tendere all’assoluto di cui l’uomo diviene partecipe attraverso i valori spirituali della bellezza, dell’amore, della comprensione.
Nel caso dell’inconscio freudiano, le leggi servono a poco, perché possono solo reprimere, quindi rimandare, dilazionare la risoluzione dei nostri conflitti.
La coscienza cioè l’Io, rappresenta la ragione, l’inconscio il Sé, l’istinto, l’impulso vitale.
Il fine dell’uomo starà nella maggior unione possibile tra Io e Sé.
Felicità è libertà, è autocreazione.
In altri termini, il fine dell’uomo starà nella sublimazione degli istinti.
Apportiamo la luce dentro di noi, perché tutto l’essere è sacro: la realtà, di per se brutta, diventa bella se tradotta in idea.
Ma il purificare è niente se con il purificare si impoverisce la vita.
Se la tenebra viene illuminata diventa colore.
La semplicissima realtà, se approfondita e non “sostituita”, è bellezza.
Il fine sacro della conoscenza oggettiva è la soggettività; con ciò non si vuol dire che sia sacra tutta la vita, ma che il sacro permea il profano.
La religiosità comune inclina a separare il profano dal sacro, per custodire questo nella trascendente purezza; ma così lo si apparta dal rimanente della vita.
Nella religiosità comune gli atti religiosi sono atti distinti, ben circoscritti; mentre in realtà, ogni atto sta con la religiosità in un rapporto costante.
Il sacro esiste nella materia.
Il sacro esiste nella carne travagliata dallo spirito.
Quale è l’arte di essere se stessi?
È l’arte di trovare la propria originalità.
Questo è il fine della vita dell’uomo.
L’arte di essere se stessi consiste nel sapersi recisamente staccare da tutto ciò che noi stessi non siamo, da tutto ciò che in noi stessi c e di altri, da tutto ciò che in noi stessi c e d’altro.
Liberarci da tutto ciò che in noi ci trae fuori di noi, da ciò in cui il nostro Io vero si impiglia e quindi, si seppellisce.
Tutto il valore religioso dell’uomo è nell’essere Sé.
Nell’essere Sé l’uomo obbedisce a Dio.
La rosa loda Dio col fiorire.
Lo spino col pungere;
tutti con il loro semplice essere Sé.
ANCHE TU FRATELLO SII TU
(Hiram 1987 n°3)