SESTO GIORNO
Il giorno dopo, il primo a svegliarsi chiamò anche gli altri e ci sedemmo un momento insieme e discutemmo quale sarebbe stato il risultato di tutto questo. Gli uni sostenevano che i decapitati sarebbero rivissuti tutti insieme; altri lo negavano perché la sparizione dei vecchi doveva dare ai giovani non soltanto la vita, ma anche la facoltà di riprodursi. Alcuni pensavano che non loro erano stati uccisi, ma altri al loro posto.
Quando avemmo parlato per un po’ di tempo fra noi arrivò il vecchio, ci salutò, guardò se tutto era pronto ed i processi erano stati compiuti adeguatamente, ma siccome noi avevamo lavorato in modo tale che doveva approvare la nostra diligenza, raccolse tutte le fiale e le mise in una cassettina. Subito dopo arrivarono alcuni paggi, portando delle scale, delle corde e delle grandi ali, che misero davanti a noi e poi uscirono. Allora il vegliardo cominciò a dire: “Cari figli, oggi ognuno deve portare costantemente con se una di queste tre cose. Dipende da voi se volete scegliere o tirare a sorte”. Noi rispondemmo che volevamo scegliere. “No”, rispose il vecchio “si tirerà a sorte”. Poi fece tre bigliettini e sul primo scrisse: “scala”, sul secondo “corda” e sul terzo “ali”. Li mise in un cappello e ognuno ne tirò uno e dovette prendere l’oggetto designato. Quelli che ebbero le corde si credettero favoriti; a me capitò una scala, che mi dava molto fastidio, perché era lunga dodici piedi e abbastanza pesante. La dovevo portare sulle spalle, mentre i secondi potevano facilmente arrotolare le corde attorno di loro; poi il vecchio attaccò le ali agli altri con tanta abilità che sembrava che fossero loro cresciute naturalmente. Infine, girò un rubinetto e la fontana cessò di scorrere e dovemmo ritirarla dal centro della sala.
Quando questo fu fatto, egli prese la cassettina con le fiale, si congedò e chiuse per bene la porta dietro di sé, in modo che noi non potevamo credere altro che di essere prigionieri in questa Torre. Ma non trascorse che un quarto d’ora e nella volta si fece un’apertura; attraverso di essa vedemmo la nostra Vergine che ci chiamò, ci salutò e ci augurò una buona giornata e ci pregò di salire. Quelli con le ali fecero presto salire per l’apertura e noi vedevamo quanto bene ci servivano le nostre scale. Ma quelli che possedevano le corde si trovavano male; perché appena uno di noi era salito, gli si ordinava di ritirare la scala. Infine, ciascuna delle corde fu attaccata ad un uncino di ferro e ognuno doveva arrampicarsi come poteva, cosa che non avvenne senza grandi sforzi. Quando fummo tutti sopra, il foro venne ricoperto e noi fummo ricevuti amichevolmente dalla Vergine.
Un’unica sala occupava tutto questo piano della Torre e conteneva sei belle celle, un po’ più alte che la sala, a cui si accedeva per tre gradini. Ci si distribuì nelle celle, per pregare per la vita dei Re e della Regina. Nel frattempo la Vergine continuava ad entrare ed uscire dalla piccola torre finché noi terminammo. Conclusa la nostra preghiera, dodici persone (che prima erano stati i nostri musicisti) fecero passare attraverso la piccola porta e deposero al centro della sala un oggetto singolare molto lungo, che ai miei compagni non sembrava che essere una fontana. Ma io compresi immediatamente che vi erano rinchiusi i corpi, perché la cassa sotto era quadrata e di dimensioni sufficienti per contenere sei persone. Poi i portatori uscirono e andarono a cercare i loro strumenti e accompagnarono l’entrata della Vergine e delle sue servitrici con una musica deliziosa. La Vergine portava un piccolo scrigno, gli altri recavano soltanto rami e piccole lampade e delle torce accese. Ci furono date subito in mano le torce e dovemmo disporci intorno alla fontana nell’ordine seguente: la Vergine stava in a; le ancelle erano messe in cerchio con le loro lampade e i loro rami in c; noi eravamo con le torce in b, e poi i musicisti in fila in a; infine, le altre vergini, anche loro in linea retta in d.
Io ignoro da dove venivano queste vergini; se abitavano nella Torre o se vi erano state condotte durante la notte, perché i loro visi erano coperti tutti con veli fini e bianchi, in modo che non ne riconobbi alcuna. La Vergine aprì lo scrigno, che conteneva una cosa rotonda in un doppio involto di taffetà verde. Pose questo nella prima vaschetta della fontana e lo ricoprì con un coperchio forato munito di un bordo. Ci versò un po’ dell’acqua che avevamo preparato ieri e, la fontana cominciò subito a scorrere. Quest’acqua era rimessa senza sosta nella vaschetta per mezzo di quattro piccoli tubi. Sotto la vasca inferiore c’erano un gran numero di punte, cui le vergini appesero le loro lampade, il cui calore saliva alla vasca e fece bollire l’acqua. Bollendo l’acqua cadeva sui cadaveri attraverso una quantità di piccoli fori praticati in a e c’era tanto calore che dissolveva i cadaveri e ne faceva un liquore.
I miei compagni non sapevano ancora che cosa era l’involto sferico, ma io compresi che era la testa del negro e che era essa che comunicava alle acque questo calore intenso.
In b, attorno alla grande vasca, c’erano parecchi fori, dove le vergini piantarono i loro rami. Io non so se fosse per necessità o per cerimonia; comunque questi rami venivano costantemente spruzzati e l’acqua che ne scorreva per tornare nella vasca era un po’ più gialla.
Questa operazione durò circa due ore; la fontana scorreva costantemente da se stessa, ma poco a poco il getto diminuiva.
Durante questo tempo, i musicisti uscirono e noi camminammo qua e là nella sala. Questa sala era fatta in modo tale che avevamo abbastanza occasioni di passare il nostro tempo. C’erano immagini, dipinti, orologi, organi, fontane che scorrevano e cose simili; niente mancava. Infine, arrivò il momento in cui la fontana cessò di scorrere. A questo punto la Vergine fece portare una sfera d’oro. Alla base della fontana c’era un rubinetto; essa lo aprì e fece colare nella sfera le materie che erano state dissolte dal calore delle gocce; essa raccolse diverse misure di questa materia molto rossa. L’acqua che restava nella vasca superiore fu gettata via e questa fontana – che adesso era diventata molto più leggera – fu portata fuori. Io non posso dire se essa fu aperta fuori o se conteneva ancora un residuo utile dei cadaveri; ma so che l’acqua raccolta nella sfera era troppo pesante perché noi sette e più potessimo portarla, benché, a giudicarne dal volume, non avrebbe dovuto essere troppo pesante per un uomo solo. Si trasportò questa sfera al di fuori con molti sforzi e noi rimanemmo ancora una volta soli. Siccome io mi accorsi che si camminava sopra di noi, cercai la mia scala con gli occhi. In questo momento si sarebbero potute sentir esprimere delle opinioni singolari riguardo alla fontana, da parte dei miei compagni; perché, persuasi che i corpi riposassero nel giardino del castello, non sapevano orientarsi in simili lavori. Io però ringraziai Dio per essermi svegliato al momento opportuno ed aver visto cose che mi aiutavano a comprendere meglio tutte le azioni della Vergine. Dopo un quarto d’ora, la botola in alto venne rimossa e ci fu ordinato di salire. Questo avvenne come prima con l’aiuto delle ali, delle scale e delle corde: fui un po’ risentito nel vedere che le vergini potevano salire per un’altra via, mentre noi dovevamo fare tanti sforzi, però mi resi conto che ciò avveniva per una ragione particolare e che dovevamo lasciare al vecchio qualcosa da fare, perché anche alle vergini non servivano le ali quando dovevano salire attraverso l’apertura.
Quando riuscimmo a salire al piano superiore e l’apertura fu chiusa, vidi in mezzo alla sala la sfera sospesa ad una robusta catena. Tutto intorno a questa sala c’erano finestre e, alternate, delle porte. Ciascuna delle porte mascherava un grande specchio lucido. La disposizione ottica delle porte e degli specchi era tale che si vedevano brillare dei soli su tutta la circonferenza della sala, una volta che si erano aperte le finestre dal lato del Sole e tirate le porte per scoprire gli specchi; e ciò malgrado che, questo astro, che irraggiava in quel momento al di là di ogni misura, non colpisse che una sola porta. Tutti questi soli risplendenti colpivano con i riflessi artificiali dei loro raggi la sfera sospesa al centro; e poiché questa era lucidissima, emetteva un tale splendore che nessuno di noi poteva aprire gli occhi. Perciò dovevamo guardare fuori delle finestre finché la sfera si scaldò al punto che l’effetto desiderato fu ottenuto. Posso dire che in tale riflettersi ho visto la cosa più straordinaria che la natura abbia mai prodotta: c’erano soli dappertutto, ma la sfera al centro era ancora più splendente in modo che il nostro sguardo non poteva sostenerne la vista, uguale a quella del Sole, neppure per un istante. Finalmente, la Vergine fece ricoprire gli specchi e chiudere le finestre in modo da lasciar raffreddare un po’ la sfera; e questo avvenne alle sette.
Noi eravamo contenti, perché potevamo fare una pausa e ristorarci con una colazione. Ma anche questa volta il pasto era ben filosofico e non avevamo ragione per temere gli eccessi, neanche però ci mancava il necessario. La speranza di gioia nel futuro con la quale la Vergine ci consolava costantemente, ci rendeva tanto allegri che non prendevamo male alcun lavoro e scomodità. Posso anche dire con verità dei miei compagni di alto rango, che essi non pensarono in alcun momento alla loro cucina o tavola, ma trovavano il loro piacere nel poter assistere a questa fisica così straordinaria e meditare così sulla saggezza e l’onnipotenza del Creatore.
Dopo tale spuntino ci preparammo di nuovo al lavoro, perché la sfera si era raffreddata abbastanza. Dovemmo distaccarla dalla sua catena e metterla sul pavimento con molto sforzo e fatica.
Segui una discussione sul modo di dividerla, perché ci era stato ordinato di dividerla in due lungo la linea mediana: finalmente un diamante appuntito servì per questo lavoro.
Quando la sfera fu così aperta, vedemmo che essa non conteneva più del rosso, ma soltanto un grande e bell’uovo, bianco come la neve. Eravamo al colmo della gioia constatando che esso era riuscito così bene; perché la Vergine si era preoccupata che il guscio non fosse troppo molle. Ci mettemmo intorno all’uovo, gioiosi come se l’avessimo fatto noi stessi. Ma la Vergine lo fece ben presto portar via e sparì chiudendo la porta come al solito. Io non so cosa abbia fatto fuori con l’uovo o se qualcosa di segreto fu fatto ad esso, ma credo di no.
Dovemmo dunque riposarci di nuovo per un quarto d’ora, finché una terza apertura fu scoperta e arrivammo così al quarto piano, con l’aiuto della nostra attrezzatura.
In questa sala vedemmo una grande vasca di rame piena di sabbia gialla, la quale veniva scaldata da un piccolo fuoco: l’uovo vi fu messo dentro per terminare di maturare. Questa vasca era quadrata; su uno dei lati erano incisi a grandi lettere i versi seguenti:
O. BLI. TO. BIT. MI. LI.
KANT. I. VOLT. BIT. TO. GOLT.
Sul secondo lato c’erano queste tre parole:
SANITAS. NIX. HASTA.
Il terzo non aveva che questa unica parola:
F.I.A.T.
Ma sulla faccia posteriore c’era tutta l’iscrizione seguente:
QUELLO CHE E’
Il Fuoco, l’Aria, l’Acqua e la Terra
ALLE SANTE CENERI
DEI NOSTRI RE E DELLE NOSTRE REGINE
Non potranno strapparlo.
La fedele schiera degli alchimisti
IN QUESTA URNA
raccolse
Aò.
Io lascio ai dotti di discutere se queste iscrizioni si riferivano alla sabbia o all’uovo; io mi accontento di compiere il mio dovere senza omettere nulla.
Adesso il nostro uovo era pronto e fu tolto dalla sabbia. Non fu necessario rompere il guscio, perché l’uccello se ne liberò da solo e si dimostrò tutto vivace, ma era difforme d’aspetto e tutto sanguinante. Noi lo posammo dapprima sulla sabbia calda, poi la Vergine diede ordine di legarlo prima di dargli da mangiare; altrimenti ci avrebbe dato abbastanza da fare. Questo infatti successe. Gli si portò subito il nutrimento, che non era altro che il sangue dei decapitati diluito ancora una volta con l’acqua preparata. L’uccello crebbe allora così rapidamente sotto i nostri occhi, che potevamo ben vedere perché la Vergine ci aveva messi in guardia contro di lui. Mordeva e graffiava aggressivamente attorno a sé, e se avesse potuto impadronirsi di uno di noi, l’avrebbe finito ben presto. Adesso era tutto nero e selvaggio e perciò gli fu portato altro cibo, forse il sangue di un’altra persona reale. Con questo tutte le sue penne nere caddero e delle penne bianche come la neve crebbero al loro posto; e diventò meno selvaggio e si lasciava avvicinare più facilmente; tuttavia noi lo guardavamo ancora con diffidenza. Col terzo pasto, le sue penne cominciarono a diventare colorate e così belle che non ne avevo viste di uguali in tutta la mia vita, e si familiarizzò talmente con noi che lo liberammo dai suoi lacci, con l’assenso della Vergine. “Ora”, disse la Vergine, “siccome la vita e la più grande perfezione sono state date all’uccello, grazie alla vostra applicazione, è giusto che, con il consenso del nostro vegliardo, noi festeggiamo gioiosamente questo avvenimento”.
Poi diede l’ordine di servire il pasto e ci invitò a ristorarci perché ormai la parte più difficile dell’opera era terminata e potevamo cominciare, a buon diritto, a gustare la gioia del lavoro compiuto.
Cominciammo a scherzare fra di noi, ma portavamo ancora i nostri vestiti di lutto, cosa che, nella nostra gioia, ci sembrava abbastanza ridicola. Tuttavia, la Vergine continuava a fare delle domande, forse per sapere quelli che avrebbero potuto essere utili per il compimento dei suoi progetti.
Sembrava più preoccupata per la fusione; e fu ben sollevata quando seppe che uno di noi conosceva i segreti del mestiere, cosa che conviene ad un artista. Il pasto non durò più di tre quarti d’ora, e lo passammo per la maggior parte con il nostro uccello, che bisognava alimentare continuamente del suo cibo. Questa volta, però, non cambiava di dimensioni. Non ci fu permesso di fare una lunga pausa dopo il nostro pasto, ma dopo che la Vergine e l’uccello ci avevano lasciati, ci fu aperta la quinta sala. Vi salimmo nel modo già descritto più volte, e ci apprestammo al lavoro. In questa sala era stato preparato un bagno per il nostro uccello; questo bagno fu colorato con una polvere bianca, in modo che prese l’aspetto di latte. Dapprima, quando ci si immerse l’uccello, era freddo e lui ne prese gusto e giocava. Ma quando il calore delle lampade, che erano state messe sotto, cominciò a scaldare il bagno, avemmo molta difficoltà a tenervelo dentro. Mettemmo perciò un coperchio sulla vasca e lasciammo passare la sua testa attraverso il buco, finché perse tutte le sue penne in questo bagno e diventò glabro come un uomo. Il calore non gli recava più danno, cosa che mi meravigliò molto, anche perché tutte le piume furono distrutte in questo bagno, che prendeva da esse un colore blu. Finalmente, lasciammo uscire l’uccello dal bagno; era così liscio e lucido che faceva piacere guardarlo. Poiché era un po’ selvaggio, dovemmo mettergli una collana con una catena attorno al collo e portarlo in giro per la stanza. Nel frattempo, si accese un grande fuoco sotto la caldaia, e il bagno evaporò finché divenne secco, in modo che ne restò una pietra blu che dovemmo togliere della caldaia e pestare; infine, dipingemmo la pelle dell’uccello con questo colore. Esso divenne meraviglioso a vedersi, perché era tutto blu fino alla testa, che rimaneva bianca.
Con ciò avevamo compiuto il lavoro su questo piano, e dopo che la Vergine, con il suo uccello blu, ci lasciò, fummo chiamati attraverso un’apertura, al sesto piano. Lì assistemmo ad uno spettacolo rattristante. Fu messo al centro della sala un piccolo altare perfettamente simile a quello che avevamo visto nella sala del Re; sopra c’erano i sei oggetti descritti e l’uccello stesso era il settimo. Prima gli fu offerta la piccola fontana a cui l’uccello si dissetò; poi morse il serpente in modo da farlo sanguinare. Noi dovemmo raccogliere questo sangue in una coppa d’oro e versarlo nella bocca dell’uccello che vi si opponeva violentemente; poi introducemmo la testa del serpente nella fontana, il che gli ridonò la vita; si arrampicò subito nel teschio e non lo vidi per molto tempo. Nel frattempo, la sfera continuava a girare, finché la congiunzione desiderata ebbe luogo; subito il piccolo orologio suonò un colpo. Dopo avvenne la seconda congiunzione e l’orologio suonò due colpi. Infine, quando la terza congiunzione fu osservata, e annunciata dall’orologio, il povero uccello si lasciò decapitare umilmente, senza resistenza, da quello di noi che era stato designato dalla sorte. Tuttavia non ne uscì una sola goccia di sangue, finché non gli si aprì il petto. Allora il sangue sprizzò fuori così fresco e chiaro che assomigliava ad una fontana di rubino.
La sua morte ci penetrò fino al cuore, tuttavia siccome pensavamo che l’uccello stesso non ci servisse a gran che, avevamo accettato di fare così.
Sparecchiammo subito dopo il piccolo altare e aiutammo la Vergine ad incenerire il corpo sull’altare, insieme con la tavoletta che vi era sospesa, per mezzo del fuoco attinto dalla piccola luce. Questa cenere fu purificata a più riprese e conservata con cura in una cassettina di legno di cipresso.
Ma ora, devo raccontare l’incidente che successe a me e a tre dei miei compagni. Quando avemmo raccolto con cura la cenere, la Vergine cominciò a parlare come segue:
“Cari signori, siamo qui nella sesta sala e non ne abbiamo che una ancora davanti a noi per porre termine ai nostri sforzi, poi faremo il viaggio di ritorno al castello per svegliare i nostri graziosi Signori e Signore. Io avrei desiderato che tutti coloro che sono qui presenti si fossero comportati in modo che io potessi proclamare i loro meriti e ottenere per essi una degna ricompensa presso i nostri Altissimi Re e Regina. Purtroppo, ho dovuto riconoscere che tra di voi questi quattro – e mi indicò insieme con altri tre – sono degli operatori pigri e lenti, ma, nel mio amore per tutti, non voglio designarli per la punizione ben meritata, ma vorrei tuttavia, affinché una tale pigrizia non rimanga impunita, ordinare questo, che loro soli restino esclusi della settima operazione, la più ammirevole di tutte: invece non li si esporrerà ad alcuna punizione più tardi, quando saremo davanti a S.M.R.”.
Lascio immaginare come mi sentivo durante questo discorso! La Vergine parlava con tanta gravità che le lacrime inondavano i nostri visi e ci consideravamo i più sfortunati degli uomini. Poi la Vergine fece chiamare i musicisti da una delle ancelle (che l’accompagnavano sempre in un certo numero) e ci si mise alla porta a suon di cornette che i musicisti facevano fatica a suonare tanto erano scossi dalle risa.
Noi eravamo particolarmente risentiti, perché la Vergine si prendeva gioco delle nostre lacrime, della nostra collera e della nostra indignazione; inoltre, alcuni dei nostri compagni si rallegravano certamente della nostra disgrazia.
Ma il seguito fu ben inatteso; perché appena oltrepassammo la porta, i musicisti ci invitarono a cessare i nostri pianti ed a seguirli gioiosamente sulla scala e ci condussero nella soffitta, sopra il settimo piano. Lì ritrovammo il vecchio, che non avevamo visto dal mattino, in piedi davanti ad un piccolo abbaino rotondo. Ci accolse amichevolmente e si congratulò con noi di tutto cuore perché eravamo stati scelti dalla Vergine: scoppiò quasi dal ridere quando però seppe quale era stato il nostro spavento al momento di raggiungere una tale fortuna. “Imparate da ciò”, disse, “che l’uomo non sa mai quanto Dio gli vuol bene”. Durante questa conversazione, la Vergine arrivò correndo con il suo scrigno, e dopo aver riso di noi, vuotò le ceneri in un recipiente e lo riempì con un’altra materia, dicendo che era obbligata ora ad ingannare i nostri compagni. Nel frattempo, noi dovevamo eseguire gli ordini del vecchio e non diminuire i nostri sforzi. Con questo ci lasciò e ritornò nella settima sala dove aveva radunati i nostri compagni. Io ignoro l’inizio dell’operazione che essa fece insieme a loro, perché non solo era stato vietato loro assolutamente di parlarne, ma anche noi non potevamo vederli attraverso il pavimento a causa delle nostre occupazioni.
Ecco quale fu il nostro lavoro. Dovemmo inumidire le ceneri con l’acqua da noi preparata in precedenza in modo da farne una pasta fine. Dopo mettemmo la materia sul fuoco sinché si fu riscaldata. Allora la versammo tutta calda in due stampi e la lasciammo raffreddare un po’. (A questo punto avemmo il tempo di guardare un po’ i nostri compagni attraverso le fessure del pavimento: essi erano indaffarati intorno ad un fornello e ognuno doveva soffiare sul fuoco con un tubo. Stavano lì intorno soffiando, sino a perdere il fiato, ma ben convinti che avevano una sorte migliore della nostra. Questo soffiare durava ancora quando il vecchio ci richiamò al lavoro, sicché non posso dire quello che avvenne dopo.)
Aprimmo i piccoli stampi e vi vedemmo due belle figure chiare e quasi trasparenti come occhi umani non ne hanno mai viste.
Erano un giovane e una giovane. Ognuno non era che di quattro pollici di lunghezza e il fatto che mi meravigliò di più era che non erano duri ma di una carne molle come quella degli altri uomini. Tuttavia mancava loro la vita, ma ero convinto che anche Venere era fatta così. Posammo questi due adorabili giovanetti su due piccoli cuscini di raso e non cessavamo di guardarli, senza poterci staccare da questo spettacolo grazioso, fin quasi a istupidirci. Ma il vecchio ci fece smettere e diede l’ordine di lasciar cadere a goccia a goccia il sangue dell’uccello raccolto in una piccola coppa, nella bocca delle figurine. Queste ingrandirono allora a vista d’occhio, e abbellirono in proporzione alla loro crescita. Bisognava che tutti i pittori fossero stati lì per arrossire delle loro opere dinanzi a questa creazione della Natura.
Ma ora esse ingrandirono talmente che dovemmo toglierle dai cuscini e stenderle su di una lunga tavola ricoperta di velluto bianco; poi il vecchio ci ordinò di coprirle fino al petto con taffetà doppio, bianco e soffice; cosa che facemmo con dispiacere a causa della loro indicibile bellezza. Infine, per dirla in breve, prima che avessimo finito il sangue, essi avevano raggiunto la loro grandezza da adulti, avevano i capelli con riccioli biondi e l’immagine di Venere che avevo visto prima non era niente in confronto a loro. Tuttavia, non c’era ancora calore naturale né sensibilità: erano come delle immagini morte, che avevano però un colore vivo e naturale. Allora il vecchio fece cessare l’alimentazione per evitare che divenissero troppo grandi; poi coprì loro il viso con un drappo e fece piantare delle torce intorno alla tavola. (Qui devo avvisare il lettore perché non consideri queste luci come indispensabili, essendo stata unica intenzione del vecchio quella di non farci accorgere del momento in cui l’anima entrava in loro; e in effetti non ce ne saremmo accorti, se io non avessi visto già due volte le fiamme; tuttavia non avvisai dell’inganno gli altri e così lasciai ignorare al vecchio che ne sapevo di più.) Allora il vecchio ci fece prendere posto su di un banco davanti alla tavola e subito la Vergine arrivò con la musica e tutta la sua compagnia.
Essa portava due bei vestiti bianchi come non ne avevo mai visti nel castello e che sfidano ogni descrizione, perché non posso credere altro che fossero di puro cristallo, e tuttavia erano soffici e non trasparenti; è dunque impossibile parlarne. Essa li pose su una tavola e, dopo aver disposto le sue vergini attorno al banco, lei e il vecchio cominciarono intorno al tavolo le loro cerimonie, ma questo avveniva solo per ingannarci.
Tutto questo succedeva, come già detto, sotto il tetto, che aveva una forma veramente singolare; all’interno era formato da sette grandi semisfere cave, di cui quella in mezzo, la più alta, aveva una piccola apertura rotonda in cima, che in quel momento era chiusa, e di cui gli altri non si erano accorti. Dopo lunghe cerimonie, entrarono sei vergini, ognuna delle quali portava una grande tromba avvolta con una sostanza fosforescente come da una corona. Il vecchio ne prese una e, dopo aver spento qualche luce in alto, scoprì i visi e mise una delle trombe sulla bocca di uno dei corpi, in modo che la parte svasata arrivava direttamente di fronte all’apertura di cui ho detto prima.
In questo momento, i miei compagni guardavano le due figure, ma io avevo altre preoccupazioni, perché dal momento che vennero accese le foglie, o le corone che circondavano la tromba, vidi il foro in alto aprirsi, e un raggio di fuoco precipitarsi nel tubo e entrare nei corpi; l’apertura si chiuse subito e la tromba fu levata.
I miei compagni furono ingannati con questo trucco perché immaginavano che la vita fosse entrata nel corpo attraverso il fuoco delle foglie.
Appena il corpo ricevette l’anima, aprì e chiuse gli occhi, ma non faceva quasi altri movimenti.
In seguito una seconda tromba fu applicata sulla bocca; si accese la corona e così si permise all’anima di scendere attraverso il tubo; ciò avvenne tre volte per ogni figura.
Tutte le luci furono spente e portate via; la coperta di velluto della tavola fu ripiegata sui corpi e fu aperto e preparato un letto da viaggio, nel quale furono portati i corpi tutti avvolti; poi li si fece uscire dalla coperta e li si distese uno a lato dell’altro. Allora, con le tende chiuse, dormirono per molto tempo.
Era veramente tempo che la Vergine si occupasse degli altri artisti; perché, come mi disse più tardi, avevano dovuto lavorare l’oro. Certo, è anch’essa una parte dell’arte, ma non la più nobile, la più necessaria e la migliore. In effetti, pure gli altri possedevano una parte di questa cenere, sicché essi credettero che l’uccello non fosse destinato altro che a produrre dell’oro e che, attraverso questo, la vita doveva essere resa ai decapitati.
Quanto a noi, restavamo là in silenzio, attendendo il momento in cui gli sposi si sarebbero svegliati; trascorse in questa attesa circa una mezz’ora. Allora il malizioso Cupido fece la sua entrata e dopo averci salutato, volò presso di loro, sotto la tenda e li disturbò affinché si svegliassero. Il loro stupore fu grande al risveglio, perché non pensavano altro che di aver dormito dall’ora in cui erano stati decapitati. Cupido li fece riconoscere l’uno all’altro, poi si ritirò un istante perché potessero rimettersi. Nell’attesa, venne a giocare con noi e infine si portò della musica e si fece un po’ di allegria.
Ben presto la Vergine pure ritornò; essa salutò rispettosamente il giovane Re e la Regina – che trovò un po’ deboli – baciò loro la mano e diede loro i due bei vestiti, che indossarono, e così abbigliati uscirono. Due bei troni erano già stati preparati e loro si sedettero e furono salutati da noi con grande reverenza. Il Re ci ringraziò graziosamente di persona e ci dimostrò ancora una volta il suo grande favore. Adesso erano già le cinque e loro non potevano tardare più, e dunque appena le cose più importanti erano state imbarcate, dovevamo condurre le giovani persone reali giù per la scala a chiocciola per tutti i passaggi ed i corpi di guardia, fuori sino alla nave. Loro si sedettero dentro con alcune vergini e Cupido, e partirono così in fretta che ben presto li perdemmo di vista; secondo quello che mi dissero dopo, si era venuto loro incontro con alcune navi splendide, in modo che traversassero una grande distanza sul mare in quattro ore.
Dopo le cinque, si ordinò ai musicisti di fare il carico delle navi e di prepararsi per la partenza. Ma poiché questo avveniva lentamente, il vecchio fece uscire una parte dei suoi soldati che noi non avevamo visto finora, perché erano stati nascosti nella mura. In tal modo, mi accorsi che la Torre era ben equipaggiata per difendersi. Questi soldati finirono presto di caricare i nostri bagagli e così non ci restava che cenare.
Quando le tavole furono preparate, la Vergine ci ricondusse dai nostri compagni e veramente dovevamo prendere un’aria afflitta e soffocare le risa. Essi mormorarono tutto il tempo fra di loro; alcuni però ci commiseravano. Durante questa cena, anche il vecchio restò con noi. Egli era un sorvegliante severo; non c’era argomento, per quanto difficile, che non sapesse trattare, o anche criticare e completare, dandoci così un buon insegnamento. E’ da questo signore che io appresi di più, e sarebbe bene che tutti si recassero da lui per imparare; così le cose non andrebbero tanto male.
Dopo questa cena, il vegliardo ci condusse nei suoi musei edificati lungo la circonferenza dei bastioni, dove vedemmo delle meravigliose creazioni della Natura e anche delle immagini della Natura prodotte dall’intelligenza umana; ci sarebbe voluto ancora un anno per osservare tutto. Prolungammo questa visita alla luce di fiaccole fino a tarda notte. Infine, poiché tendevamo a voler dormire più che a continuare a guardare delle cose nuove, fummo condotti nelle nostre camere e restammo meravigliati di trovare nelle mura non soltanto dei buoni letti, ma anche degli appartamenti straordinariamente eleganti, mentre il giorno prima avevamo dovuto accontentarci di così poco. Poiché ero ormai quasi senza preoccupazioni, ed ero stanco per il lavoro, il suono tranquillo del mare mi procurò un sopore così profondo e dolce che caddi in un sonno continuo dalle undici alle otto della mattina dopo.