QUARTO GIORNO
Io riposavo ancora nel mio letto, guardando tranquillamente i quadri e le statue mirabili che si trovavano nella camera, quando sentii improvvisamente gli accordi di una musica di cornette e il suono del triangolo; mi resi conto che la processione era già in marcia. Allora il mio paggio balzò dal letto come un folle, somigliando molto più ad un morto che ad un vivo. S’immagini il mio smarrimento quando mi disse che in quel momento stesso i miei compagni venivano presentati al Re. Io non potei che piangere a calde lacrime e maledire la mia pigrizia, mentre mi vestivo in fretta. Il paggio era pronto molto prima di me e uscí dall’appartamento correndo per vedere come stavano le cose. Ritornò ben presto con la gioiosa notizia che niente era perduto, che avevo perso soltanto la colazione, perché non mi si era voluto svegliare a causa della mia età avanzata, ma che era tempo di seguirlo alla fontana dove i miei compagni erano già per la maggior parte riuniti. A questa notizia, ritrovai la calma; terminai in fretta la toilette e seguii il paggio alla fontana.
Dopo esserci salutati, la Vergine scherzò sulla mia pigrizia e mi condusse per mano alla fontana. Allora constatai che invece della spada, il leone teneva una grande lastra incisa. Io la esaminai con cura e scoprii che era stata presa tra i monumenti antichi e posta qui per questa circostanza. L’incisione era un po’ cancellata a causa della sua antichità.
La riproduco ora esattamente perché ciascuno possa riflettervi:
PRINCIPE ERMETE
DOPO TUTTO IL DANNO
FATTO AL GENERE UMANO
PER ORDINE DI DIO
CON IL SOCCORSO DELL’ARTE
I0 SONO DIVENUTO RIMEDIO SALUTARE
I0 SCORRO QUI.
Beva chi può le mie acque: vi si lavi chi vuole:
le turbi chi osa:
BEVETE FRATELLI, E VIVETE.
Questa iscrizione era dunque facile da leggere e da comprendere; così la si era posta qui, perchè fra tutte era la più semplice da decifrare.
Dopo esserci lavati a questa fontana, bevemmo in una coppa tutta d’oro. Poi ritornammo con la Vergine nella sala per rivestirci di abiti nuovi. Questi abiti erano fatti interamente in oro, e ricamati di fiori; inoltre ciascuno ricevette un secondo Toson d’Oro guarnito di gioielli, e ognuno di questi aveva una sua virtù operativa particolare. Una pesante medaglia d’oro vi era fissata; su di una faccia si vedevano il Sole e la Luna, l’uno di fronte all’altra. Sul rovescio si leggevano queste parole: “L’irraggiamento della Luna uguaglierà quello del Sole; e l’irraggiare del Sole diventerà sette volte piú splendente”. I nostri vecchi ornamenti furono deposti in alcune cassette e consegnati ad uno dei servitori. Poi la Vergine ci fece uscire in ordine.
Davanti alla porta i musicisti vestiti di velluto rosso con i bordi bianchi ci aspettavano già. Si aprì allora una porta che prima avevo sempre vista chiusa – che dava sulla scala del Re.
La Vergine ci fece entrare con i musicisti e salire trecentosessantacinque gradini. Lungo questa scala vedemmo preziose opere d’arte; più salivamo e più gli ornamenti diventavano ammirevoli; raggiungemmo infine una sala dipinta. Le sessanta vergini, tutte vestite riccamente, ci attendevano; si inchinarono a noi e ci diedero il loro saluto e noi pure rendemmo il saluto meglio che potemmo; poi si congedarono ì musicanti che dovettero ridiscendere la scala. Allora, al suono di un campanello, una vergine apparve e diede ad ognuno una corona di alloro; ma alla nostra Vergine ne diede un ramo. Poi una tenda si sollevò, e io vidi il Re e la Regina. Quale era lo splendore della Loro Maestà! Se la regina d’ieri non mi avesse gentilmente avvertito, non avrei potuto fare a meno, pieno di entusiasmo, di paragonare al cielo questa gloria indicibile, perché non solo la sala risplendeva d’oro e di pietre preziose, ma il Re e la Regina erano tali che i miei occhi non potevano sostenere il loro splendore. Fino a quel giorno avevo ammirato molte cose, ma qui le meraviglie si superavano l’un l’altra come le stelle del cielo.
Ora, la Vergine essendosi avvicinata, ciascuna delle sue compagne prese uno di noi per la mano e ci presentò al Re con una profonda riverenza; poi la Vergine parlò come segue:
“In onore delle vostre Maestà Reali, graziosi Re e Regina, i Signori qui presenti hanno affrontato la morte per venire qui. Le Vostre Maestà saranno a buon diritto contente, perchè, per la maggior parte, essi sono qualificati per ingrandire il regno e il dominio delle Vostre Maestà, come Loro potranno assicurarsene se vogliono, mettendo ciascuno alla prova. Io ho voluto dunque presentarli molto rispettosamente alle Vostre Maestà, con l’umile preghiera di essere liberata del mio incarico e di voler bene prendere in considerazione il modo in cui l’ho eseguito, interrogando ciascuno”. Poi ella depose il suo ramo d’alloro.
Ora sarebbe stato conveniente che qualcuno di noi avesse detto qualcosa. Ma poiché eravamo tutti troppo emozionati per prendere la parola, il vecchio Atlante finì per farsi avanti a dire a nome del Re: “La Sua Maestà Reale gioisce per il vostro arrivo e vi accorda la sua grazia reale, a tutti come a ciascuno in particolare. Essa è ugualmente molto soddisfatta per il compimento della tua missione, cara Vergine, e come ricompensa ti sarà riservata una onoreficienza reale. Sua Maestà pensa tuttavia che tu dovresti guidarli ancora per oggi, perché non possono che avere grande fiducia in te”.
La Vergine riprese dunque umilmente il ramo di lauro, e noi ci ritirammo per la prima volta, accompagnati dalle nostre vergini.
La sala all’inizio era rettangolare, cinque volte più larga che lunga, ma alla fine essa prendeva la forma di un grande semicerchio come un portico, con tre superbi troni reali messi ad arco, salvo che quello in mezzo era un po’ sopraelevato. In ogni trono erano sedute due persone.
Il primo trono era occupato da un vecchio re con la barba grigia, la cui sposa era invece molto giovane e ammirevolmente bella. Un re nero di mezza età era seduto sul terzo trono; al suo lato si vedeva la madre, vecchia e minuta, non coronata, ma velata. Il trono di mezzo era occupato da due adolescenti; essi erano coronati di alloro e al di sopra era sospeso un grande e prezioso diadema. Essi non erano così belli in questo momento come io avevo immaginato, ma così doveva essere.
Molti uomini, dei vegliardi per la maggior parte, avevano preso Posto dietro di loro su di un banco circolare. Ora, cosa sorprendente, nessuno di essi portava la spada né altre armi; inoltre non vidi guardia del corpo. C’erano poi alcune vergini che erano state fra noi il giorno precedente e che si erano poste su un lato del semicerchio. Non posso omettere inoltre che anche il piccolo Cupido vi svolazzava. Volteggiava e girava di preferenza intorno alla grande corona. Talvolta si metteva tra i due amanti, col suo arco, sorridente; talvolta faceva anche il gesto di mirarvi con l’arco; infine questo piccolo dio così malizioso non risparmiava neppure gli uccellini che volavano numerosi nella sala, ma li tormentava tutte le volte che poteva. Divertiva anche le vergini; quando esse potevano prenderlo, egli non se ne liberava che a fatica. Così tutta l’allegria e tutto il piacere venivano da questo bambino.
Davanti alla Regina si trovava un altare di piccole dimensioni, ma di una bellezza incomparabile; su questo altare un libro coperto di velluto nero ornato con solo pochi rilievi in oro; a lato una piccola luce in un portalampada di avorio. Questa luce, sebbene piccola, bruciava senza spegnersi mai con una fiamma talmente immobile che non l’avremmo riconosciuta come un fuoco se Cupido di tempo in tempo non vi avesse soffiato sopra. Presso la fiaccola si trovava una sfera celeste che girava intorno al suo asse; poi un piccolo orologio a suoneria vicino ad una minuscola fontana di cristallo, da cui sgorgava senza interrompersi mai un’acqua limpida color del sangue e, infine, un teschio, rifugio di un serpente bianco talmente lungo che, malgrado facesse il giro degli altri oggetti, la sua coda era ancora impigliata in uno degli occhi, mentre la testa rientrava nell’altro. Non usciva dunque mai completamente dal teschio, ma quando Cupido si provava a colpirlo, rientrava con una velocità sorprendente.
Oltre a questo piccolo altare, si notavano qua e là nella sala alcune immagini meravigliose, che si muovevano come se fossero vive, con una fantasia talmente stupefacente che mi è impossibile descriverla. Così, al momento in cui uscivamo, si levò nella sala un canto tanto soave che non saprei dire se si elevava dal coro delle vergini che erano rimaste o dalle immagini stesse. Per questa volta eravamo contenti e ce ne andammo con le nostre vergini. I nostri musicisti erano lì e ci condussero giù per la scala a chiocciola e la porta fu chiusa a catenaccio con cura.
Dopo essere tornati nella nostra sala, una delle vergini incominciò a dire: “Sorella, sono meravigliata che tu abbia osato stare in compagnia con tante persone”. “Sorella mia”, rispose la nostra Presidentessa, “quello lì mi ha preoccupato più di tutti”, e indicò me. Queste parole mi causarono pena, perché capivo bene che mi prendeva in giro a cagione della mia età. In effetti ero il più vecchio. Però la vergine mi consolò con la promessa che mi avrebbe aiutato a sbarazzarmi di quest’afflizione se mi fossi comportato bene verso di lei. Nel frattempo fu servito il pasto e ognuno era posto al lato di una delle vergini, che sapevano intrattenerci con la loro conversazione leggiadra. Non devo, però, tradire gli argomenti delle loro conversazioni e divertimenti. La maggior parte degli argomenti avevano a che fare con le arti, e da questo mi accorsi che tutti si occupavano d’arte. Io ero preoccupato dal pensiero di diventare giovane e perciò ero un po’ più triste. La Vergine se ne accorse ed esclamò: “Vedo bene che cosa manca a questo giovanotto. Scommetto che sarà più allegro domani se dormo con lui stanotte”. A queste parole tutti incominciarono a ridere, e pur essendo rosso di vergogna, dovetti ridere anch’io della mia sfortuna. Ci fu però uno che volle vendicarmi nei confronti della Vergine, e disse: “Spero che non solo noi, ma tutte le vergini qui riunite, testimonieranno per il nostro fratello che la nostra Presidentessa ha promesso di dormire con lui stanotte”. “Ne sarei contenta”, disse la Vergine, “se non dovessi temere le mie sorelle. Non sarebbe conveniente per me di scegliere, senza la loro approvazione, il migliore e il Più bello”. “Sorella mia”, incominciò subito un’altra, “questo ci fa accorgere che la tua alta funzione non ti ha resa orgogliosa. Perciò, col tuo permesso, noi vorremmo tirare a sorte questi signori, per dividerli fra di noi come compagni di letto, e tu puoi volentieri conservare la tua prerogativa”. Tutti noi considerammo la frase come uno scherzo, e riprendemmo la nostra conversazione. Ma la nostra Vergine non poteva lasciarci tranquilli e ricominciò: “Signori, sarà bene lasciare decidere alla fortuna quali persone dovranno dormire insieme questa notte”. “D’accordo”, dissi; “se dev’essere così, non possiamo respingere una tale offerta”. Siccome si stabilì di decidere la cosa dopo il pasto, non volevamo tardare più a tavola e ci alzammo; ognuno camminava su e giù con la sua vergine. “Ma no”, disse la Vergine. “Non è ancora tempo. Vediamo come ci accoppia la fortuna”. Di conseguenza, lasciammo le nostre compagne. Seguì una discussione sul come affrontare questo problema, ma era tutt’un gioco inventato, falso, perché la Vergine ci propose di porci in cerchio in un ordine qualsiasi; poi lei ci avrebbe contati, e il settimo avrebbe dovuto unirsi al settimo seguente, che fosse vergine o uomo. Noi non ci accorgemmo di nessun’astuzia e la lasciammo fare. Ma benché facessimo attenzione ad essere ben mischiati, le vergini erano così scaltre che ognuna sapeva già la sua posizione. La Vergine incominciò a contare e toccò ad una vergine; dopo di lei la settima persona era ancora una volta una vergine. La terza volta era ancora una volta una vergine e continuò così finché, con nostra grande meraviglia, tutte le vergini erano uscite e non erano toccate ad alcuno di noi, così che noi poveretti rimanemmo lì soli. Dovemmo confessare che eravamo stati giocati molto abilmente. Perché è certo che chiunque ci avesse visto nel nostro ordine avrebbe pensato piuttosto di veder crollare il cielo che non che nessuno di noi venisse scelto. Così il nostro gioco finì, e dovemmo lasciar ridere le vergini a nostre spese.
Tuttavia il piccolo Cupido audace arrivò da parte di Sua Maestà Reale e ci offrì da bere a Suo nome in una coppa d’oro; pregò la Vergine di presentarsi al Re e spiegò inoltre che non poteva star oltre da noi, così noi non potevamo divertirci con lui. Lo lasciammo andare via con i nostri ringraziamenti più umili e rispettosi. Siccome nel frattempo la gioia fece venire ai miei compagni la voglia di danzare, e poiché l’idea non dispiaceva neppure alle vergini, in breve avevamo organizzato una piccola danza. Io preferii stare a guardare piuttosto che partecipare, perché vidi i nostri mercurialisti muoversi con tanta abilità, come fossero esperti nell’arte.
Dopo molte danze, la nostra Presidentessa tornò e ci annunciò che gli artisti e gli studiosi avevano chiesto a S.M.R. di presentare una commedia allegra in Suo onore prima della Sua partenza. Sarebbe piaciuto a S.M.R. e ci sarebbe stato graziosamente riconoscente, se avessimo voluto assistere anche noi, accompagnando S.M. alla Casa del Sole. Ringraziando rispettosamente per l’onore che ci faceva, offrimmo umilmente i nostri deboli servigi, non soltanto nel caso presente ma in tutte le circostanze. La Vergine portò questa risposta e ritornò ben presto con l’ordine di schierarci nel corridoio per aspettare la S.M.R.. Non avemmo molto da aspettare per la processione reale; mancavano però i musicisti.
In testa al corteo si avanzava la regina sconosciuta che era stata fra noi il giorno precedente, con una piccola corona preziosa in testa e rivestita di raso bianco; essa non aveva che un minuscolo crocifisso fatto di una piccola perla, ed era posta quel giorno tra il giovane Re e la sposa. Questa regina era seguita dalle sei vergini nominate prima, che camminavano in due file portando i preziosi del Re, che erano prima sul piccolo altare. Poi venivano i tre re, con lo sposo nel mezzo. Era mal vestito, di raso nero alla moda italiana; sulla testa aveva un piccolo cappello nero rotondo, guarnito di una piccola piuma nera a punta. Si scoprì amichevolmente davanti a noi, mostrandoci così il suo favore; noi ci inchinammo a lui, come ci avevano detto di fare. Dopo i re venivano le tre regine delle quali due erano vestite riccamente; invece, quella in mezzo era vestita tutta in nero e Cupido le portava il velo. Poi ci si fece segno di seguire, e dopo di noi si posero le vergini, poi finalmente il vecchio Atlante che chiudeva la processione.
Così schierati arrivammo finalmente attraverso molti corridoi ammirevoli alla Casa del Sole; e lì prendemmo posto su di un palco meraviglioso non lontano dal Re e dalla Regina, per assistere alla commedia. Noi eravamo alla destra dei re, ma separati da loro; le vergini alla sinistra, eccetto quelle cui erano affidate le insegne reali. A queste ultime era riservato un posto a parte. Gli altri servitori, però, dovevano accontentarsi di stare in basso tra le colonne. Siccome questa commedia suggerisce molte cose particolari su cui riflettere, non vorrei tralasciare di ricordarne brevemente il soggetto.
Primo atto.
Per primo uscì un vecchio re con parecchi servitori. Venne portato davanti al suo trono un cofano che si diceva essere stato trovato in mare. Quando venne aperto vi si trovò una bella bambina, e inoltre dei gioielli e una piccola lettera sigillata in pergamena, indirizzata al re. Il re spezzò i sigilli e subito, avendo letto la lettera, si mise a piangere. Poi raccontò ai suoi cortigiani che il re dei Mori aveva invaso e devastato il regno di sua cugina e sterminata tutta la discendenza reale eccetto questa bambina.
Egli aveva fatto il progetto di sposare suo figlio alla figlia della cugina; giurò dunque inimicizia mortale al Moro e ai suoi complici e di fare vendetta. Si diede l’ordine di educare con cura la bambina e di prepararsi per andare contro il Moro.
Questi preparativi, così come l’educazione della bambina – essa fu affidata ad un vecchio precettore appena fu un po’ cresciuta – riempirono tutto il primo atto con il loro interessante e divertente sviluppo.
Intervallo.
Tra i due atti si fecero lottare insieme un leone e un grifone e il leone vinse, e fu un piacere vederlo.
Secondo atto.
Entrò in scena il re nero; un uomo perfido. Egli viene a sapere che il suo assassinio non era rimasto segreto e che una bambina gli era sfuggita. Perciò si fece consigliare come poteva agire astutamente contro il suo potente nemico. Questo consiglio gli fu dato da parecchi che si erano rifugiati da lui a causa della fame. Contro ogni aspettativa, la bambina cade ancora nelle sue mani ed egli l’avrebbe fatta mettere a morte se non fosse stato ingannato in modo molto singolare dai suoi cortigiani.
Così quest’atto si chiude con il trionfo del Moro.
Terzo atto.
Nel terzo atto, una grande armata venne raccolta dal re contro il Moro e affidata al comando di un vecchio cavaliere coraggioso che attaccò la terra del Moro finché liberò la vergine dalla sua prigione e la rivestì con ricchi abiti. Si erige dopo rapidamente un palco ammirevole e vi si fa salire la vergine. Ben presto arrivano dodici inviati del re. Allora il vecchio cavaliere prende la parola e fa conoscere alla vergine come il suo grazioso signore, il re, non solo l’aveva liberata una seconda volta dalla morte, dopo averle dato un’educazione reale, e questo sebbene non si fosse sempre comportata come doveva, ma anche che S.M.R. l’aveva scelta come sposa per il suo giovane signore, suo figlio, dando l’ordine di fare i preparativi per le nozze; queste dovevano avvenire secondo condizioni precise. Poi lesse in un documento molte condizioni nobili che sarebbero ben degne di essere qui raccontate se non fosse troppo lungo. Insomma, la vergine giurò di attenersi costantemente ad esse, ringraziando per un tale alto onore. Poi incominciarono a cantare lodi di Dio, del re e della vergine e uscirono dalla scena.
Intervallo.
Nel frattempo ci furono mostrati per nostro divertimento i quattro animali di Daniele, come li aveva visti nella sua visione e come li aveva descritti minuziosamente. Tutto questo aveva un significato ben determinato.
Quarto atto.
La vergine riprende possesso del suo regno perduto; viene coronata e condotta sulla piazza per qualche tempo con questo ornamento fra la gioia di tutti. Poi arrivarono un gran numero di ambasciatori non solo per farle voti di felicità, ma anche per ammirare la sua magnificenza. Ma ella non perseverò a lungo nella sua pietà, e incominciò a gettare sguardi sfrontati all’intorno, e a far segni agli ambasciatori e ai signori, e in questo ruolo era veramente brava e non mostrava nessun ritegno.
Il Moro venne presto a conoscenza dei suoi costumi e non volle perdere questa occasione. Così, mentre il suo precettore non vegliava su di lei attentamente, riuscì facilmente ad ingannarla con grandi promesse, sì che, piena di sfiducia nel suo re, poco a poco e in segreto, si affidò al Moro. Allora costui accorse, e quando essa consentì al suo dominio, egli la lusingò finchè sottomise tutto il suo regno a lui. Nella terza scena di questo atto, egli la fece condurre via, spogliare completamente, attaccare ad una colonna su un rozzo palco di legno e frustare; e infine la fece condannare a morte.
Tutto questo era così pietoso da vedere che molti non potevano trattenere le lacrime. Di conseguenza fu anche buttata completamente nuda in un carcere in attesa della morte per veleno. Questo veleno però non la uccise ma la rese lebbrosa.
Così anche in questo atto si svolsero degli avvenimenti piuttosto penosi.
Intervallo.
Viene sospesa un’immagine di Nabucodonosor, che era ornato con tutti i tipi di armi sulla testa, il petto, lo stomaco, le caviglie e i piedi … Ne riparleremo in seguito.
Quinto atto.
Nel quinto atto fu mostrato al giovane re quello che era successo tra il Moro e la sua futura sposa. Egli interviene subito presso suo padre con la preghiera di non lasciarla in questa situazione. Siccome il padre era d’accordo, furono mandati degli ambasciatori per consolarla nella sua malattia e nella sua reclusione e anche per riprenderla per la sua irresponsabilità. Lei non volle però riceverli e consentì a divenire la concubina del Moro. Tutto questo fu riportato al giovane re.
Intervallo.
Arrivò un coro di buffoni, ognuno dei quali portava un bastone e con questi bastoni costruirono in poco tempo una grande sfera terrestre e la demolirono subito. E questa fu una bella fantasia divertente.
Settimo atto.
Nell’ultimo atto, apparve lo sposo con magnificenza inimmaginabile in modo che mi meravigliai come avessero potuto realizzare ciò. La sposa gli venne incontro con la stessa solennità.
Il popolo grida: “Viva lo sposo! Viva la sposa!”
Con questa commedia tutti festeggiarono il Re e la Regina nel modo più splendido e questo – come mi accorsi – piacque loro moltissimo.
Infine fecero un giro in processione e cominciarono a cantare ancora una volta, nel modo seguente:
I
Questo giorno ci porta una grande gioia con le nozze del Re; perciò cantate tutti in modo che risuoni fortemente: “Felicità a colui che la dona”.
II
La bella sposa, che aspettiamo da tanto tempo, ormai gli è unita; noi abbiamo raggiunto quello per il quale lottavamo. Felicità a colui che guarda in avanti.
III
Salutiamo ora i bravi genitori. Lei è stata abbastanza a lungo in tutela. Moltiplicatevi in questa unione onorevole in modo che nascano mille rampolli dal vostro sangue.
La commedia finì con acclamazioni e nella gaiezza generale e con la soddisfazione particolare delle persone reali. La sera era già arrivata e perciò partimmo nello stesso ordine di prima, ma dovemmo accompagnare le Loro Maestà su per la scala a chiocciola fino alla sala già descritta. Le tavole erano già preparate magnificamente e questa fu la prima volta che fummo invitati alla tavola reale. In mezzo alla sala si mise il piccolo altare e le sei insegne reali furono poste al di sopra. Questa volta il giovane Re si mostrò molto grazioso nei nostri confronti, ma non poté essere veramente allegro, perché, sebbene parlasse con noi a più riprese, faceva molti sospiri, cosa per la quale il piccolo Cupido lo prendeva in giro audacemente. I vecchi re e le vecchie regine erano molto gravi e soltanto la sposa di uno di essi era piuttosto vivace, non so per quale ragione.
Le persone reali presero posto alla prima tavola e noi ci sedemmo all’altra; alla terza si sedettero alcune dame nobili. Gli altri uomini e vergini dovevano servire. Tutto questo si svolse con una tale correttezza e con tale calma che esito a parlarne troppo. Non posso tralasciar di dire come tutte le persone reali si vestirono prima del pranzo di abiti di un bianco splendente come la neve e che avevano preso posto a tavola così vestiti. Sopra la tavola pendeva la grande corona d’oro già descritta e lo splendore delle pietre preziose, di cui era adornata, avrebbe potuto bastare ad illuminare la sala senza nessun’altra luce.
Tutte le altre luci furono accese dalla piccola luce sull’altare e non so esattamente perché. Ho notato però, che il giovane Re dava spesso da mangiare al serpente bianco sull’altare, cosa che mi fece riflettere. Il piccolo Cupido faceva quasi tutte le spese della conversazione del banchetto; non lasciava in pace nessuno e me in particolare. Ad ogni istante ci meravigliò con qualche nuova trovata.
Ma non c’era molta gioia e tutto si svolgeva con calma. Io presentii un grande pericolo perché mancava la musica e quando si faceva una domanda, dovevamo contentarci di dare una risposta breve e succinta. Insomma, tutto aveva un aspetto così strano che il sudore cominciò a correre su tutto il mio corpo e credo bene che anche all’uomo più audace sarebbe mancato il coraggio. Quando la cena era quasi finita, il giovane Re si fece portare il libro dall’altare e l’aprì. Poi ci fece domandare ancora una volta da un vecchio se noi eravamo determinati a restare con lui nella buona e nella cattiva fortuna. Quando noi, tutti tremanti, rispondemmo affermativamente, egli ci fece domandare ancora una volta con tristezza se volevamo legarci a lui con la nostra firma. Non potevamo far altro; doveva succedere così. Dopo di che si portò la piccola fonte di cristallo insieme con un bicchiere di cristallo. Tutte le persone reali bevvero una dopo l’altra e dopo ne fu offerto anche a noi e poi a tutti. E questo fu chiamato lo Haustus Silentii (La Prova del Silenzio). Dopo, tutte le persone reali ci diedero la mano dicendo che, se non ci fossimo tenuti fedeli a loro, d’ora in poi non le avremmo mai più viste, e questo ci fece venire veramente le lacrime agli occhi. La nostra Presidentessa giurò fedeltà a nostro nome, e le persone reali ne furono soddisfatte.
Nel frattempo, suonò un campanello e tutte le persone reali diventarono così pallide che noi eravamo disperati. Si cambiarono i loro vestiti bianchi e ne indossarono altri, completamente neri e anche tutta la sala fu ricoperta di velluto nero e così pure il pavimento e il soffitto. Tutto questo era stato preparato in precedenza. Dopo aver portato via le tavole, tutti si sedettero sui banchi. Anche noi avevamo indossato dei vestiti neri. La nostra Presidentessa uscì e poi rientrò portando sei bende di taffetá nero con cui bendò gli occhi alle sei persone reali.
Quando esse non videro più, i servitori portarono sei bare ricoperte e le deposero nella sala. In mezzo posero anche una sedia nera e bassa.
Infine un gigante, nero come il carbone, entrò nella sala, portando nella mano un’ascia affilata. Per primo il vecchio re fu portato alla sedia e gli fu tagliata subito la testa e avvolta in un drappo nero. Il sangue fu raccolto in un grande boccale d’oro e messo con lui nella cassa, che fu coperta e messa da parte; e così avvenne anche per gli altri, di modo che io pensai che sarebbe toccato anche a me. Questo non successe, ma dopo che le sei persone reali furono decapitate, il gigante negro uscì, seguito da un altro che decapitò anche lui prima della porta e portò la sua testa insieme con l’ascia, e ambedue furono messe in una piccola scatola.
A me sembravano davvero delle nozze sanguinose, ma siccome non potevo sapere quello che doveva ancora succedere, dovetti fare appello alla mia ragione, in attesa di altre notizie, perché anche la nostra Vergine ci disse di restare calmi, vedendo che alcuni di noi perdevano la fede e piangevano, e aggiunse: “D’ora in poi, la vita di costoro sta nelle vostre mani e se mi seguite, questa morte darà la vita a molti”.
Poi ci pregò di andare a dormire e di non preoccuparci più, perché tutto questo sarebbe avvenuto per il loro bene. Ci augurò la buona notte, e ci disse che avrebbe vegliato i cadaveri.
Facemmo così e ognuno fu accompagnato al proprio alloggio da suo paggio. Il mio paggio mi parlò molto e di tutto, cosa che mi ricordo bene anche adesso, e la sua intelligenza mi fece meravigliare. Finii col notare che egli cercava di farmi dormire e perciò feci finta di dormire profondamente, ma i miei occhi erano liberi dal sonno e non potevo dimenticare i decapitati. Il mio alloggio era di fronte al grande lago, di modo che lo potevo vedere benissimo e la finestra era vicino al letto. A mezzanotte, nel momento in cui suonavano i dodici colpi, osservai sul lago un grande fuoco e, colto da paura, aprii subito la finestra per vedere cosa stava accadendo. Vidi da lontano sette barche illuminate che si avvicinavano. Sopra ognuna, in alto, brillava una fiamma che svolazzava qua e là e ogni tanto si abbassava quasi interamente, in modo che potevo facilmente capire che dovevano essere gli spiriti dei decapitati. Queste barche si avvicinarono dolcemente alla riva e ognuna aveva un unico pilota. Appena arrivate alla riva, vidi la nostra Vergine andare incontro ad esse con una torcia; dietro di lei erano recate le sei casse chiuse e la piccola scatola e ognuna fu deposta nelle sette barche. Io svegliai anche il mio paggio che mi ringraziò molto, perché, avendo corso durante tutto il giorno, si era addormentato e avrebbe perduto l’avvenimento, pur sapendo in anticipo che si sarebbe verificato. Quando tutte le bare furono poste nelle imbarcazioni, e tutte le luci furono spente, le sei fiamme viaggiarono insieme sul lago e in ogni barca non vegliava che una piccola luce. Allora qualche centinaio di guardie si raccolsero sulla riva e la Vergine fu rimandata nel castello. Essa chiuse tutti i catenacci con cura, e io conclusi facilmente che non ci sarebbero stati altri avvenimenti prima di giorno. Così cercammo di riposare. Ero l’unico fra tutti i miei compagni ad avere la stanza davanti al lago; ed io solo avevo visto quegli avvenimenti. Tuttavia adesso ero stanco e mi addormentai insieme alle mie speculazioni.