FOTOGRAFI D’ITALIA:
ALDO FABRIZI E PAOLO STOPPA
Ido Fabrizi (Roma 1905 – Roma 1990) e Paolo Stoppa (Roma 1906 – Roma 1988) nascono a Roma e pur nella diversità dei ruoli interpretati, sono entrambi espressione di quella romanità sagace e capace di cogliere dettagli rivelatori. Dettagli che una volta colti e isolati diventano l’elemento sul quale costruire personaggi che compongono una galleria fotografica di vezzi, vizi e virtù di una società, quella italiana, fascista e contadina e poi repubblicana e industrializzata. Si tratta del dettaglio che tradisce le origini sociali tenacemente nascoste o le vere intenzioni al di là dei sorrisi e delle disponibilità dichiarate o, al contrario, che racconta di buoni sentimenti celati per pudore. Sono i caratteri autentici dell’umanità che affolla le strade della capitale e oltre, sino a ricomprendere caratteri generali che appartengono agli uomini di ogni epoca e di ogni latitudine. Più che una lunga ed esaustiva elencazione di titoli e di collaborazioni, è questo l’aspetto al centro della mia breve riflessione.
Entrambi appartengono a quella ristretta élite di attori che possiedono ben altri stru-
menti oltre la capacità di recitazione e trasformazione. Gli occhi sono macchine fotografiche pronte a cogliere quel particolare che una volta elaborato, seguendo lo stesso procedimento della fotografia nella camera oscura, rende nitida l’immagine che diventa un nuovo personaggio dallo spessore unico.
Entrambi hanno in comune, ancora, lo stesso tipo di allenamento, frequentano infatti la stessa palestra: la loggia massonica. Aderiscono alla Gran Loggia degli Antichi Liberi Accettati Muratori e sono legati alla Loggia Gustavo Modena come molto altri colleghi, altrettanto noti, del mondo dello spettacolo di quegli anni. Nonostante Stoppa abbia sempre negato la sua affiliazione, durante il fascismo il suo nome compariva negli elenchi dei potenziali sovversivi controllati dal regime in quanto iscritto alla massoneria.
Sebbene storicamente la massoneria abbia sempre accolto in loggia artisti di ogni tipo, in Italia la persecuzione fascista prima e l’influenza della gerarchia vaticana sul regime democristiano in seguito, hanno rappresentato un forte disincentivo a dichiarare la propria affiliazione. Nell’Italia cattolica e bacchettona del secondo dopoguerra, il veto di un potente dell’establishment poteva rappresentare un ostacolo insormontabile. Per non parlare della reazione che avrebbe potuto determinare nella società e quindi tra il pubblico. Eppure, questa identità apparentemente celata si disvela nella capacità di cogliere e rivelare l’umanità al pubblico che è fonte d’ispirazione suo malgrado e che suo malgrado è messo di fronte a una visione (teatrale e cinematografica) rivelatrice: la connessione tra comportamenti e caratteri. Il pubblico ride e si commuove di sé stesso, prova turbamento perché ognuno nel proprio intimo – nel buio della sala cinematografica, del teatro o del proprio salotto – è per un attimo costretto a fare i conti con il vero sé stesso gelosamente nascosto nelle pieghe del proprio animo e ad ammettere se c’è più dell’eroico don Pietro interpretato da Fabrizi nel film capolavoro di Rossellini, Roma città aperta (1945) o dell’ex fascista pusillamine a cui presta il volto Paolo Stoppa in un celebre episodio della serie Peppone e don Camillo.
Aldo Fabrizi nasce in un quartiere popolare e debutta in periferia]. A teatro. Stoppa appartiene a una Roma più agiata, quella della borghesia. Dopo avere abbandonato gli studi giuridici entra nella scuola di recitazione Eleonora Duse. Non deve preoccuparsi del suo mantenimento né di quello della famiglia e le condizioni economiche di cui gode, gli consentono di seguire la sua vocazione cimentandosi in ruoli brillanti e poi via via in personaggi più duri, ambigui, malinconici. Tanto grande nel ruolo di uomini tanto piccoli che riescono, nonostante tutto, a strappare un sorriso non disgiunto da pena e fors’anche da fastidio. Fabrizi è il primogenito di sei figli e deve, ancora bambino, abbandonare gli studi per lavorare e aiutare la famiglia svolgendo i lavori più disparati. La sua scuola di recitazione è la vita.
Per entrambi il debutto avviene a teatro nel corso degli anni Venti. Fabrizi esordisce in quelli di periferia, dove i sogni sono più grandi e il pubblico nazional-popolare. Un pubblico che Fabrizi conosce bene perché anche lui è uno di loro. E’ un pubblico più difficile, che interrompe e rumoreggia e che sai tenere a bada o finisce per prendere il tuo posto.
Esordio da macchiettista, seguendo una passione che è vocazione, anche se a teatro
ha già prestato le sue parole come canzoniere. A portare in scena le sue canzoni è Beatrice Rocchi in arte Reginella, con la quale gira tutti i teatri d’Italia, diventa sua moglie e lascia poi il palcoscenico per occuparsi dei due figli.
Seguono radio, cinema – come attore e regista -, ancora teatro e televisione. La consacrazione c’è con il ruolo drammatico di don Pietro a fianco di Anna Magnani nel 1945 in Roma città aperta. La stagione neorealista vede Fabrizi tra i suoi protagonisti (diretto nel 1948 da De Sica in Ladri di biciclette). Una carriera lunga e ricca di collaborazioni, a teatro, nel cinema, in televisione, con Steno, Monicelli, Scola, Garinei e Giovannini, Fellini.
La sua passione per la cucina è più di un hobby, è un’altra espressione della sua arte, è un omaggio alle sue origini popolari, di (ex) giovane affamato di cibo e di vita che celebra in versi la pastasciutta. Buongustaio, palato allenato e lingua al vetriolo stando al racconto del Fabrizi privato tracciato da uno dei figli .
Anche per Stoppa l’esordio avviene sul palcoscenico del teatro e prosegue con il cinema e la televisione. Dalla fine degli anni Venti interpreta via via ruoli sempre più significativi. Negli anni Trenta entra a fare parte della compagnia stabile del Teatro Eliseo e stabilmente fa coppia artistica e di vita con l’attrice Rina Morelli e con lei forma la compagnia Stoppa-Morelli che sotto la direzione di Luchino Visconti diviene una delle compagnie teatrali più importanti. L’esordio al cinema vede protagonista la sua voce, un po’ come per il Fabrizi cantante degli inizi con la sua Reginella, è infatti doppiatore di molti attori famosi (Fred Astaire e Kirk Douglas ad esempio) e tra i fondatori della Cooperativa Doppiatori Cinematografici. Una carriera che lo porta a lavorare con i più grandi maestri del cinema: Monicelli, De Sica, Visconti, Rossellini, Risi, Luigi Comencini, Dino Risi, Leone.
Le interpretazioni di Fabrizi e Stoppa sembrano un trattato sociologico più che una galleria di personaggi. L’italiano che si arrangia confonde e sovrappone la grande risorsa della creatività italica con l’imbroglio. Il tranviere, il pescivendolo, il bigliettaio e i tanti personaggi interpretati da Fabrizi sono uomini ingenui, impiccioni, rompiscatole, di buon cuore, egoisti, furbi. Sono uomini che appartengono a tutte le epoche. La guardia che rimbrotta severamente il ladruncolo Totò in Guardie e ladri (1951), non viene meno al proprio dovere di tutore della legge se in fondo prova comprensione per la povertà e le difficoltà quotidiane del ladro.
Lo straordinario PaoloStoppa/Calogero Sedara ne [l Gattopardo (1963) è un parvenu senza tempo. I caporali che Stoppa interpreta in Siamo uomini o caporali (1955) sono opportunisti e trasformisti come tanti troppo uomini di potere di ogni stagione politica; sono forti con i deboli e viceversa come tanti troppi uomini tout court. Eppure strappano un sorriso anche i personaggi più sgradevoli, come l’ex fascista al quale è ancora Stoppa a prestare il volto in uno dei film della serie Peppone e don Camillo (interpretati rispettivamente da Fernandel e Cervi). Un vile che non ha semplicemente seguito il corso degli eventi. Il suo essere fascista è una sorta di travestimento perfetto per celare e al tempo stesso manifestare la sua natura di prevaricatore, si, ma solo se spalleggiato dal gruppo degli squadristi. A guerra finita, per tornare nel suo paese deve aspettare l’occasione fornita dal Carnevale, ricorrendo ancora a un travestimento. Il costume da indiano che dovrebbe proteggerne l’identità, svela la sua natura di uomo vile e pieno di paura nel momento in cui resta solo ad affrontare le conseguenze delle sue azioni.
Stoppa e Fabrizi portano in scena l’uomo in tutte le sue sfaccettature, con una incredibile capacità di cogliere la verità nel dettaglio e di rivelarla spietatamente, senza giustificare, senza condannare. Il giudizio è lasciato al pubblico, e al singolo la possibilità di identificarsi e riflettere.