IL MAESTRO MASSONE

Il  Maestro  Massone

M.B.: Sigla massonica tuttora riportata sui grembiuli da Maestro di fattura anteriore al 1970, in quanto parte dell’abbigliamento rituale del terzo Grado del Rito Scozzese Antico ed Accettato. È andato in disuso dopo la netta separazione delle competenze tra Riti ed Ordine. Rappresenta la parola segreta del Maestro Massone che, secondo la tradizione, ricorda l’espressione pronunciata dai primi Maestri che toccarono i resti di Hiram, il sovrintendente ai lavori per la costruzione del Tempio di Salomone di Gerusalemme. Secondo alcuni studiosi, l’espressione deriverebbe dall’ebraico, ed avrebbe il significato di “Figlio di Moab“, oppure di “Egli vive nel figlio“, ricordando che come i Moabiti si difesero dall’oppressione giudaica, così il Maestro Massone deve difendersi dall’assalto della profanità.

Maat, la Regola: Nell’antico Egitto Maat era la regola, e la regola era Maat. Nessun concetto poteva significarne tanti alla pari di Maat. Essa era l’ordine, la saggezza, la ritualità, la rettitudine, la giustizia, la morale, l’armonia universale. Era il cubito dell’artigiano, secondo il quale ogni cosa veniva misurata esattamente. Era la custode della legge divina, verità perfetta e sapienza assoluta. Simbolo di Maat, nel linguaggio dei geroglifici, era lo zoccolo del trono, rettitudine per eccellenza. Dire e fare Maat, porre la regola nel suo cuore per governare con armonia: questo e solo questo era il compito principale del Sovrano, espressione terrena della divinità. Ispirandosi alla regola di Maat, il Re interveniva negli affari giuridici, proteggeva il debole dal più forte. E’ in virtù del suo legame con Maat che l’istituzione faraonica fu il più durevole dei regimi politici e attraversò i secoli. É per questo che il faraone (da per aa, grande casa) non poteva essere un tiranno: la sua volontà doveva essere solo Maat, al di fuori di essa c’era il caos. Maat era figlia del dio solare Ra e sorella di Thot, dio della sapienza. Con lui sedeva sulla prua della nave di Ra, impugnando lo scettro e l’ankh e portando la piuma bianca della verità. A Maat prestava giuramento il faraone, al momento dell’investitura, e nella sala di Maat (la Sala della Giustizia), al termine della vita terrena, avveniva la pesatura del cuore (v. Psicostasia) con la piuma della giustizia. Questa era la tradizionale dichiarazione di innocenza (dal Papiro di Ani) di fronte a Osiride: “Non ho detto il falso: Non ho commesso razzie; Non ho rubato; Non ho ucciso uomini; Non ho commesso slealtà; Non ho sottratto le offerte al dio; Non ho detto bugie; Non ho sottratto cibo; Non ho disonorato la mia reputazione; Non ho commesso trasgressioni; Non ho ucciso tori sacri; Non ho commesso spergiuro; Non ho rubato il pane; Non ho origliato; Non ho parlato male di altri; Non ho litigato se non per cose giuste; Non ho commesso atti omosessuali; Non ho avuto comportamenti riprovevoli; Non ho spaventato nessuno; Non ho ceduto all’ira; Non sono stato sordo alle parole di verità; Non ho arrecato disturbo; Non ho compiuto inganni; Non ho avuto una condotta cattiva; Non mi sono accoppiato (con un ragazzo); Non sono stato negligente; Non sono stato litigioso; Non sono stato esageratamente attivo; Non sono stato impaziente; Non ho commesso affronti contro l’immagine di alcun dio; Non ho mancato alla mia parola; Non ho commesso azioni malvagie; Non ho avuto visioni di demoni; Non ho congiurato contro il re; Non ho proceduto a stento nell’acqua; Non ho alzato la voce; Non ho ingiuriato alcun dio; Non ho avuto dei privilegi a mio vantaggio; Non sono ricco se non grazie a ciò che mi appartiene; Non ho bestemmiato il nome del dio della città” (di Stefano Rex, Internet).

Maat: Divinità dell’antico Egitto, dea della verità, della giustizia e dell’ordine cosmico, perno del pensiero faraonico e vera anima dell’Egitto. La mitologia egizia la vuole figlia di Ra (il Sole) e sposa di Thoth, o Hermes (v.), con il quale partecipava alla cerimonia della psicostasia (v.), il giudizio che tutti i defunti dovevano sostenere per essere “giustificati”. Essa è l’ordine opposto al disordine (Isfet), l’altruismo contro l’egoismo, la verità contro la menzogna, l’equilibrio contro il caos, la giustizia contro l’iniquità. Simbolo dell’ordine universale, M. rappresenta anche l’etica che spinge l’essere umano ad agire in accordo con la coscienza che si ha in tale ordine, in ogni circostanza della vita. Tolomeo II Filadelfo consacrò a M. la necropoli di Deyr el-Medina, in Tebe. La dea M. viene sempre raffigurata come una donna con una piuma bianca di struzzo posta verticalmente sul capo, come nel rilievo nella tomba di Sethi I, padre di Ramesse II il Grande, nella valle dei Re. Tale piuma evoca i raggi del sole, la vita spirituale, lo stato di perfezione verso il quale ogni essere umano deve tendere. Tutto è M.: il Faraone e la sua funzione, il rito ed il sacerdote, il cibo e le offerte, il lavoro dell’orafo e quello del contadino, il soldato che fa grazia della vita al nemico vinto e l’uomo innamorato. Praticare la M. significa vivere da persone oneste, civili, responsabili, sensibili, pienamente consapevoli. A cominciare dal Nuovo Regno la dea M. è stata rappresentata accovacciata, come nelle statuette che giudici e sacerdoti usavano portare appese al collo.

Macchine anatomiche: Denominazione data dal Canonico Celano (Notizie del bello, dell’antico e del curioso della città di Napoli, 1792) dei due scheletri maschile e femminile, nei quali si osservano tutte le vene e tutte le arterie, comparsi solo vent’anni dopo il decesso del principe Raimondo di Sangro (1771). Pare siano stati ottenuti per iniezione diretta nel sistema sanguigno di una sostanza imbalsamante a base di mercurio. Oltre a tutti i visceri ed agli organi del torace e dell’addome umano, si osservano i vasi sanguigni del cranio, della bocca, della lingua. Nel torace della femmina è evidente l’esofago (mancante nell’esemplare maschio). Nel suo addome è visibile anche un feto, accanto alla placenta aperta, da cui fuoriesce il cordone ombelicale collegato all’utero. Fin dal 1792 se ne attribuì la paternità ad un medico anatomico palermitano, Giuseppe Salerno, che aveva notoriamente ottenuto risultati simili nella sua famosa scuola di imbalsamazione.

Macedonio: Patriarca di Costantinopoli (m. 370 ca.), semiariano (omolusiano). Contribuì per due volte alla deposizione del suo vescovo, l’ortodosso Paolo. Vescovo di Costantinopoli nel 342, divenne capo del partito omolusiano. Fu deposto nel 360, allorché presso l’imperatore Costanzo prevalse l’altro partito ariano, quello degli omei.

Macedonismo: Dottrina di ispirazione ariana designante l’eresia degli Pneumatomachi (v.). Il nome deriva non dalla posizione di eresiarca di Macedonio (v.), ma dal fatto che i suoi primi seguaci di Costantinopoli e dell’Asia Minore (il più importante fu Eustazio di Sebaste) appartenevano al partito omolusiano facente capo a Macedonio, con il quale non risulta alcuna valida testimonianza di relazione diretta. Tale dottrina negava la divinità dello Spirito Santo, che riteneva creatura del Verbo in base ad un’interpretazione rigidamente letterale delle Sacre Scritture. L’eresia fu condannata dai Concili di Costantinopoli (381), di Efeso (391), di Calcedonia (451) e Lateranense (1139). Gli adepti del M. furono anche denominati Maratoniani, dal nome di Maratonio, vescovo di Nicomedia, uno dei più importanti esponenti della setta.

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Machu Picchu: Antica città del Perù precolombiano, ubicata sull’altopiano del Cuzco. Era accessibile soltanto attraverso una strada stretta, molto erta, che giungeva dalla valle del fiume Urubamba fino allo sperone roccioso sospeso sull’abisso dove sorgeva la città. La sua posizione la fece sfuggire all’occupazione spagnola. M. fu scoperta solo nel 1911 dall’archeologo americano Hiram Bigham. A 700 metri di altezza sul fondo valle un grande portale rastremato, con duplici ante di grosse pietre squadrate, segna l’ingresso di M.; dal portale parte una lunga rampa di 99 gradini, che conduce verso la sommità della rupe su cui sorge la città. Architettonicamente si nota la netta predominanza dello stile rettangolare, con l’uso di massi di granito bianco ben tagliati. Numerosi gli edifici pubblici e le poderose opere difensive. La città è percorsa da scalinate che collegano i vari quartieri; le case sono ancora in ottimo stato di conservazione, malgrado non se ne siano trovate con il tetto superstite, dato l’uso di coprire gli edifici con materiali molto deperibili, come giunchi, canne ed elementi vegetali in genere. Mescolati alle case ed agli edifici pubblici, si trovano gli spazi ricavati per le coltivazioni a gradoni.

Macrocosmo: Nel linguaggio filosofico viene usato per indicare l’universo inteso in contrapposizione all’essere umano (microcosmo). Gli antichi filosofi prima ed i naturalisti e panteisti (XVI Secolo) consideravano il M. come un essere animato analogo all’uomo, asserendo che amodificazioni dell’uno corrispondessero analoghi mutamenti nell’altro. (G.O.I.) Ad un certo punto del suo faticoso cammino evolutivo verso una coscienza superiore, l’essere umano è riuscito ad intuire la presenza di un mondo al di fuori del proprio Microcosmo individuale. Un fatto di coscienza di sé stesso e del mondo fisico che lo circonda. Tradizionalmente a tale presenza è stato imposto il nome di M., che rappresenta una realtà percepibile, anche se in varia misura e chiarezza. Tradizionalmente costituisce una realtà oggettiva nel campo dell’esistenza, anche se l’esperienza della sua percezione rimane soggettiva, entro i confini della coscienza di ciascuno. L’Ermetismo definisce il M. come ciò che staal di sopra, in alto, un mondo ed un essere assolutamente indefinibile. Esso si rivela talvolta come Immanenza, e talaltra come trascendenza. La sua presenza si manifesta nel Divenire, tramite i quattro Elementi (v.). Occorre notare che le leggi che governano il M. sono le stesse applicabili al Microcosmo (v.).

Macumba: Termine di lontane origini, ma si ritiene che questa parola fosse in uso in Brasile già nel XVII secolo. Probabilmente derivato da Jongo, una specie di danza semireligiosa importata dagli schiavi africani i quali, prima di iniziarla, chiedevano la benedizione degli anziani chiamati “cumbas”, che avevano a che fare con la stregoneria. In quel periodo il loro vocabolario era di chiara origine angolana. Poiché in questo idioma per formare il plurale si antepone la particella “ba” o “ma” al sostantivo, si può pensare ad una naturale fusione dei due termini in M. Con il passare del tempo e con il continuo contatto con il cattolicesimo professato dai proprietari terrieri, queste danze si legarono ai movimenti mistico-spirituali. Si costruirono così le basi di un movimento religioso, la cui filosofia ha resistito al trascorrere del tempo, evolvendosi al punto da assumere le caratteristiche di una vera dottrina realmente animistica che ha come concetto fondamentale l’armonia tra gli uomini e le forze divine della natura. Erroneamente la M. viene associata esclusivamente a riti di magia nera, per cui essa incute terrore al solo pensiero del male che potrebbe provocare alle persone che ne subiscono gli influssi. Questo perché gli argomenti di cui non si riescono a cogliere i meccanismi incutono timore e sono considerati pericolosi, quindi da evitare. Oggi in Brasile il termine M. sta ad indicare un qualsiasi rito magico con cui si opera su problematiche quotidiane, agendo in un ambito religioso, nel rispetto di regole prescritte dai movimenti spirituali diffusi e conosciuti in tutto il Brasile. Detti movimenti si basano sul colloquio diretto che ogni praticante ha con la propria divinità protettrice Orixà, la quale si manifesta generalmente attraverso la trance, nel corso di sedute spiritiche. In Brasile è diffusa la credenza secondo la quale ogni essere umano è protetto da una o più divinità, ma soltanto pochi eletti scelti dall’Orixà possono servire questa divinità come mezzo di comunicazione tra la parte spirituale e quella umana. Per potersi mettere in contatto con l’Assoluto si può ricorrere sia alla trance che al Jogo de buzios. Quest’ultima è una forma di divinazione di derivazione africana, che si avvale dell’uso di conchiglie; queste vengono tagliate nella parte superiore per consentire l’innesto dell’energia maschile in questo elemento legato alla componente femminile, ed avere in tal modo il giusto equilibrio, inteso come dualismo maschio-femmina, positivo-negativo, astrale-umano. Le conchiglie vengono fatte cadere in un cestino contenente monete, pietre e collane colorate. Esse rappresentano i simboli ed i colori degli Orixà. Questi riti vengono compiuti davanti ad un bicchiere d’acqua, che costituisce fonte di vita e catalizzatore delle energie negative che il consultante reca con sé, ed una candela accesa che consente al Santone di avere la giusta concentrazione e la luce necessaria per accedere ad uno stato superiore di coscienza. I responsi delle divinità dipendono dalla posizione assunta dalle conchiglie nel cestino, essi forniscono anche le indicazioni che consentiranno al consultante di raggiungere l’obiettivo sperato.

Madianiti: Nome di un gruppo di nomadi arabi abitanti nella regione di Madyan, a sud della Palestina, sul lato orientale del golfo di Aqaba. Essi sono anche denominati Ismaeliti (Giudici 6, 24). Secondo la Bibbia (Esodo 2, 15-21) Mosé si rifugiò tra i M., e sposò la figlia di Jetro, loro sacerdote. Nel corso dei conflitti per la conquista di Canaan, gli Israeliti ebbero vari scontri con i M. (Numeri 22, 7; 25, 17-18, 31) (Giudici 6-8), pur rimanendo in buoni rapporti con una parte di essi, i Qeniti. Secondo la tradizione, Gedeone riportò una grande vittoria sui M. nel “giorno di Madian” (Isaia 9, 3). Il nome di M. scomparve da allora, forse perché assorbiti da altre tribù. Dalle relazioni di Mosé con Jetro, e più in generale dai successivi contatti con i Qeniti, deriva l’ipotesi di una influenza della religione madianito-qenita sull’origine della religione di Yahweh (v.).

Maestri Comacini: v. Comacini.

Maestro delle Cerimonie: Ufficiale di Loggia, preposto ad espletare le tipiche funzioni del Cerimoniere e del Maestro di Casa; deve quindi fare accomodare i Fratelli, ricevere i Fratelli visitatori, sistemare i candelabri e, più in generale, gli arredi del Tempio, prima dell’apertura dei Lavori. Il M.C. è l’operatore qualificato ed autorizzato a: · entrare per primo nel Tempio per sistemare il Testimone ed accenderlo; al termine dei Lavori e dopo l’uscita di tutti i Fratelli, rientra nel Tempio da solo per spegnerlo; · preparare ed accendere le resine rituali, quando richieste dal Maestro Venerabile; · accendere il candelabro Testimone. Il M.C. è colui che guida la Marcia d’ingresso dei Fratelli nel Tempio, essendo in grado di penetrare il campo energetico del luogo fisico in cui si svolgono i Lavori, preparandolo alla sua qualificazione, cioè alla sua consacrazione, erigendo, grazie alle energie fornite dalla volontà dei Fratelli, una barriera magica protettiva attraverso la Squadratura. Egli è responsabile di questo campo energetico e, collocandosi interiormente nell’Acqua prima di Cancro (alla colonna di Settentrione), sorveglia l’eventuale passaggio dei Fratelli dall’una all’altra Colonna. Il M.C., mediante la sua capacità di percepire lo stato interiore di ogni Fratello e della Catena, può raccomandare al Maestro Venerabile di non avviare i Lavori Rituali. Può quindi anche interrompere la Squadratura del Tempio. Nel rituale Simbolico, dopo la lettura della Tavola tracciata nella Tornata precedente, egli traccia la Tavola di Loggia, dando così inizio ai Lavori rituali. Nei passaggi di Grado, il M.C. consiglia il Maestro Venerabile sull’opportunità di accedere o meno allo stato di coscienza energetico dei Lavori in Camera di Compagno o di Maestro, e provvede a modificare la composizione delle resine e la Tavola (o Quadro) di Loggia. Y (G.O.I.) Ufficiale di Loggia, il cui compito consiste nel procedere agli appelli nominali; aver cura che in ogni circostanza sia osservato il cerimoniale prescritto dai Rituali (Art. 40 del Regolamento dell’Ordine). Egli si assicura che il Tempio sia pronto in ogni dettaglio per l’apertura dei Lavori, e coadiuva il Fratello Esperto nell’assistere tutti i Fratelli sono usciti, si accerta che nel Tempio tutto sia giusto e perfetto. Nell’esercizio della sua funzione rituale il M.d.C. si avvale di un lungo Bastone o Mazza Cerimoniale (v.) che non abbandona mai, nell’intero corso di ogni Tornata.

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Maestro Massone: Designazione del terzo Grado della Massoneria, attributo dell’Iniziato che è potenzialmente riuscito ad assimilare tutti i segreti dell’Arte Reale (v.). Fu introdotto nella Massoneria inglese solo a partire dal 1733. Fino ad allora esistevano infatti due soli gradi, ovvero quello d’Apprendista (v.) e quello di Compagno d’Arte (v.). La Maestria rappresenta ritualmente e simbolicamente l’iniziazione massonica definitiva. Il titolo di M. era prima di allora riservato unicamente al Compagno eletto alla conduzione della Loggia, l’attuale M. Venerabile (v.). Fu a quel tempo che entrò nella ritualità la leggenda di Hiram (v.), di origini mai completamente chiarite. Tale adozione scandalizzò i cultori della Bibbia, che protestarono contro quella che giudicarono un’assurda ed inutile invenzione, negata dal testo del 1° Libro dei Re, versetto 13, dove si dice: “Ora il Re Salomone mandò a prendere Hiram di Tiro, figliolo d’una donna vedova della tribù di Neftali; ma suo padre era un tirio, fabbro di rame, e compiuto in industria, e intendimento, e scienze, da far qualunque lavoro di rame. Ed egli venne al re Salomone, e fece tutto il suo lavoro”. Nel 2° libro delle Cronache, cap. II, 13-14, il re Hiram di Tiro, scrivendo a Salomone, si esprime a sua volta in questi termini: “e ora in effetti ti mando un uomo abile, esperto in intendimento, che appartiene a Hiram-Abif (v.). figlio di una donna dei figli di Dan ma il cui padre fu un uomo di Tiro, esperto nel lavorare oro ed argento, rame e ferro, pietra e legno, in lana tinta di porpora rossiccia, il filo turchino e in tessuto fine e in cremisi e nel fare ogni sorta di incisioni, e nell’ideare ogni sorta di progetto che gli si dia insieme ai tuoi propri uomini abili ed agli uomini abili del mio signore Davide tuo padre”. Quindi, secondo i testi della Bibbia, nulla giustifica la leggenda del nostro terzo Grado, Hiram non essendo mai stato chiamato a dirigere la costruzione del Tempio di Gerusalemme, ed a comandare l’immenso esercito di operai (almeno 70.000 uomini), suddivisi in apprendisti, compagni e maestri. Perciò fu solo nel XVIII secolo, per le necessità di un simbolismo iniziatico d’altissimo valore, che il personaggio biblico venne promosso architetto e rivale in saggezza dello stesso re Salomone. Nonostante l’opinione espressa dai suoi denigratori, dal punto di vista della scienza dei miti e dei simboli, questo dramma resta comunque un puro capolavoro, indubbiamente senza uguali nel suo genere. Il Rituale del Grado viene attribuito dagli studiosi ad Elias Ashmole, una figura eccelsa dell’Obbedienza inglese, che l’avrebbe redatto alla fine del 1648. (Da La Massoneria, Il Maestro, Libro III, Ediz. Atanor, 1992). Il M. Massone riceve il salario nella Camera di Mezzo, la sua età simbolica è di sette anni, e la batteria comprende nove colpi, in tre gruppi di tre colpi ciascuna. La sua parola di passo è Tubalcain. Tra i Doveri attribuiti dalla Tradizione al Maestro, egli deve: completare la sottomissione di quanto deve obbedire, soprattutto degli istinti che guidano la bestia umana, senza sopprimerli, poiché sono necessari, un dovere evidenziato dal segno dell’ordine, posto sul ventre, sede degli appetiti che il M. riduce al silenzio; collaborare al rinnovo delle tradizioni affrancandole dalla consuetudine, non temendo di migliorare quanto coagula in uno stile decaduto o che tende a pietrificarsi nel cieco culto del passato; sapersi completare passando dalla meditazione silenziosa al confronto della libera discussione, tanto più feconda quanto più sono divergenti le idee scambiate, senza temere di istruirsi con avversari ritenuti in buona fede; astrarsi dallo scenario sensibile che maschera una verità interiore deprimente, illudendosi di nulla e giudicando inesorabilmente anche quanto ama maggiormente, soprattutto sé stesso, poiché la penetrante visione del Saggio percepisce lo scheletro, ovvero la realtà delle cose; mai dimenticare che non può ritenersi libero solo perché i suoi antenati sono morti per la libertà, poiché l’indipendenza non è ereditaria, per cui ogni giorno occorre affrancarsi per diventare e restare liberi; essere sempre d’esempio al prossimo, sia all’interno che all’esterno della L.M., nella piena coerenza comportamentale ed ideologica con tutte le regole ed principi istituzionali. Secondo il Wirth, “ben difficilmente un iniziato M. può veramente considerarsi tale. Non basta rispondere che si conosce un certo ramoscello se non si è compreso il significato e la portata di quel simbolo. Egli stesso, dopo quasi mezzo secolo di Maestria, confessa di sentirsi non più che Compagno. Sapendo comunque molto bene, dopo anni di studi e ricerche, quel che si dev’essere per potersi dire M., egli si sentiva inferiore a tale Grado. Era cosciente di quanto lo separasse dall’ideale, ma poteva misurare la distanza da percorrere per conseguirlo. Ispirandosi a Ragon, ad Eliphas Levi, ad Albert Pike ed a Goethe, era convinto che non fosse sufficiente assimilare il pensiero altrui. Per riallacciare le tradizioni occorre rivivificare il passato con uno sforzo personale intenso, rivivendo i tempi antichi, immergendosi nello studio dei monumenti significativi che ci hanno lasciato. Rovine, superstizioni, filosofie e religioni vanno esplorate con cura. Ma nulla è più rivelatore dei poemi e dei miti. L’epopea caldea dell’eroe Gilgamesh e la leggenda di Ishtar discesa negli inferi, sono composizioni di immenso valore iniziatico che risalgono ad oltre cinquemila anni fa. Il racconto della morte di Osiride come molte altre favole, svolgono in immagini insegnamenti d’una profonda saggezza. La stessa Bibbia è preziosa per quanti sanno capirla. La seduzione di Eva da parte del serpente allude ai principi fondamentali di ogni iniziazione. Le generazioni si trasmettono fantasmagorie apparentemente frivole, che il pensatore non deve disdegnare. Esse animano la vetrata della finestra d’Occidente, alla quale l’Iniziato, partito la mattina dall’Oriente, si avvicina la sera, dopo aver esaminato a Mezzogiorno ogni cosa allo splendore della luce del sole. Sin dall’alba la sua ragione vigile aveva spiato presso la finestra d’Oriente i primi raggi chiamati a penetrare nel suo spirito. Quest’illuminazione improvvisa doveva abbagliarlo e renderlo presuntuoso. Piena d’ardore, l’intelligenza così sorpresa, si sente forte contro l’errore. Vede ovunque pregiudizi da combattere e fantasmi da fugare. É l’età dei giudizi affrettati che ignorano ogni autorità e che condannano quanto non quadra con l’opinione intransigente acquisita affrettatamente. Un’esuberanza giovanile destinata a calmarsi verso la metà della vita. É allora che una luce implacabile cade quasi verticalmente dalla finestra di Mezzogiorno. Gli oggetti non hanno più ombra e si rivelano nella loro realtà. É il momento di esaminarli con attenzione, ed allora il giudizio si fa prudente, rimanendo spesso in sospeso. Una scrupolosa comprensione rifiuta di condannare, poiché essa analizza con indulgenza considerando ogni fattore in causa. La piena luce conduce alla Tolleranza, che caratterizza la Saggezza dei veri Iniziati. Occorre aver giudicato ogni cosa serenamente prima d’avere il diritto d’aprire la finestra occidentale del Santuario del Pensiero. Il sole è tramontato, l’agitazione del giorno si calma, la pace della sera si estende lentamente sulla pianura. I particolari si attenuano nell’ombra crescente, che da risalto allo splendore della stella vespertina alla cui presenza impallidiscono tutte le altre. Questo astro non è più l’arrogante Lucifero, ispiratore d’orgoglio e di rivolta; è un focolare di dolce luce che induce al sogno evocatore dell’idealità. Ormai la notte può rendere più fitti i suoi veli, le tenebre esteriori non prevalgono più sulla luce interiore. Poi, quando i vivi tacciono, i morti si apprestano a parlare. É giunta l’ora di evocare i detentori dei segreti che hanno portato con sé nella tomba. Sono essi i veri e soli Maestri, di cui possiamo far rivivere il pensiero conformandoci ai riti prescritti. Ma non attribuiamo alle cerimonie valori sacramentali. Hiram non risuscita in noi solo perché abbiamo esteriormente recitato la sua parte. In Iniziazione nulla conta, eccetto quanto si è compiuto interiormente. Ogni M. simbolico deve dunque sforzarsi di trasformare i simboli in realtà. Solo attraverso il successo in quest’impresa egli può sperare d’aver acquisito l’effettiva Maestrìa nell’Arte Reale” (v. anche Lavoro).

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