RITUALITÀ E COMPORTAMENTO IN LOGGIA

 RITUALITÀ E COMPORTAMENTO IN LOGGIA PREMESSA   La Massoneria è una Istituzione iniziatica che: – ignora la guida spirituale di chiunque; – non si fonda su alcuna dottrina in quanto le abbraccia e supera tutte; – si propone come “famiglia esoterica” che intende insegnare le metodologie di ricerca di una via “illuminata” ma non la via stessa. Nella sua aspirazione di “operare per il bene dell’umanità” è immersa nella vita quotidiana e quindi nel suo divenire. Non pone paradigmi, assiomi, dogmi ma esige che l’iniziato sacrifichi se stesso (la morte iniziatica) e rinasca per una ricerca interiore come presupposto della costruzione del Tempio insieme agli altri iniziati. Gli strumenti a disposizione degli iniziati per svolgere il “Lavoro Muratorio” sono esclusivamente: – Utensili; – Emblemi; – Allegorie; – Simboli; – Riti; che sono a disposizione dei fratelli come supporti alla interpretazione, alla meditazione e alla speculazione individuale per ottenere quella espansione della coscienza finalizzata al perfezionamento dei vari gradi dell’iniziazione. In questo lavoro di assimilazione e affinamento l’istituzione mette a disposizione dell’iniziato tutti i fratelli che sono in grado di dare indicazioni sull’attuazione delle specifiche tecniche in quanto già da loro sperimentate. Il luogo dedicato a tale scambio di informazioni è il “Tempio” dove si sviluppa l’operatività della massoneria quale fenomenologia di gruppo. Abbandonato l’individualismo, l’energia del gruppo viene stimolata e sviluppata mediante i rituali e manifestata nella Catena d’Unione. Dal “punto noto solo ai figli della vedova” viene proiettata in un contesto cosmico a beneficio dell’umanità. Affinché ciò si attui in modo compiuto i singoli fratelli non dovranno limitarsi a dare una adesione intellettuale e formale ma devono vivere l’istituzione interiorizzandola ciascuno nel proprio tempio penetrandone i simboli e la ritualità e assumendone il significato come modalità esistenziale. Da quanto detto appare evidente come la costruzione del tempio interiore del massone non può prescindere da una adeguata e partecipata frequenza del tempio materiale e senza una giusta interpretazione e interiorizzazione dei simboli presenti e dei riti che vi si svolgono.   RITO E RITUALITÀ   Focalizzandoci sul tema specifico della tavola è bene ricordare che la parola “rito” deriva dalla radice sanscrita “RT” (ordine) e designa il complesso di circostanze fisiche (scelta del luogo, suo orientamento, disposizione degli arredi, ora e giorno di inizio, abbigliamenti, …) e di azioni (posizioni, movimenti, parole, suoni, …) che si reputano necessari e vincolanti per il raggiungimento delle finalità sacre che ci si prefigge. Ma, al di là di questi aspetti realistici e pratici utili per rendere ordinato lo svolgimento dei lavori, il rito che si svolge all’interno del tempio ha un notevole potere di suggestione e offre insegnamenti subliminali che, a prescindere dal coinvolgimento personale, con il tempo e l’assiduità di partecipazione coinvolge direttamente la psiche e l’intelletto determinando la liberazione delle energie sottili e magnetiche. Purtroppo una concezione corrente nella società contemporanea, diffusa non solo nel mondo profano ma anche nel nostro perché non priva di influenze, tende a considerare tutto ciò che appaia come “rito” o “rituale” alla stregua di un armamentario ideale superato, una ferraglia da rottamarsi il più velocemente possibile. Il ragionamento sotteso a tale cultura ha una visione del rito esclusivamente “esteriore”, ne enfatizza la ripetitività, l’immobilismo, l’arcaicità, tutte categorie intese come contrapposte alla ragione, al dinamismo, alla modernità. Si nota peraltro che una sorta di svalutazione dell’apparato rituale è presente anche in alcune manifestazioni dominanti del Cristianesimo, ove la dimensione simbolica della sacramentalità dell’officio liturgico è stata fortemente ridimensionata, non sempre con piena coscienza o altrimenti suscitando estremizzazioni tanto eclatanti quanto circoscritte. Possiamo dire che nella nostra società ogni seria manifestazione rituale appare sempre più di difficile comprensione, soprattutto se non inquadrata in un ambito espressamente confessionale e pertanto ben circoscritto, e anche in questo caso con qualche problema. Questi condizionamenti non possono e non devono essere presi alla leggera all’interno di una comunione come quella massonica, ove la ritualità costituisce un momento senza dubbio centrale, sia sul piano esoterico e formativo, sia su quello istituzionale. E ciò non solo perché alcune “sbavature” si palesano talora anche tra le colonne, là dove per esempio alcuni Fratelli si infastidiscono di fronte alle richieste di applicazione rigorosa dei rituali, ma soprattutto al cospetto del mondo profano, che, impregnato da una visione distorta del rito in sé e per sé, per lo più ignora o tende a fraintendere, se non a dileggiare, un aspetto oltremodo significativo del percorso massonico. Una società iniziatica non può prescindere dal rito in quanto strumento di ordinamento e di armonizzazione dell’intera officina e dei singoli Muratori. Il rituale è quindi, come già sottolineato, un atto comune e individuale ad un tempo; mette in gioco il singolo Fratello e la comunità massonica a cui appartiene, la quale, a sua volta, è chiamata nella sua totalità, attraverso l’applicazione di una tradizione simbolica, a stimolare in ciascun iniziato un percorso interiore. “Lavorare” male sul piano rituale, offrire un esempio debole sul piano dell’ortoprassi e della sua conoscenza significa, quindi, danneggiare sia il percorso individuale sia quello comune dell’officina, giacché la Massoneria non offre al recipiendario e poi all’iniziato un “credo”, ma un’occasione profonda per misurarsi con se stesso, mediante il confronto con altri uomini che accettano una comunanza di regole e landmarks fondamentali; tale comunione, per quanto si esprima con l’ausilio di un linguaggio simbolico senza dubbio antidogmatico, non è però certamente improvvisata e casuale. Aprire le porte ad una sorta di riduzionismo formalistico del rito e della ritualità, come se si trattasse di strumenti sorpassati e obsoleti, secondo una certa tendenza profana, significherebbe devastare alla radice l’esperienza massonica e la sua centralità iniziatica per farne invece un club più o meno ristretto, ma senza un centro, un ordine profondo. Ulteriore considerazione è che il rituale, con le regole, i limiti e i tempi che esso impone, è strumento di eguaglianza ferrea; esso infatti impedisce che i ruoli sociali profani si affermino all’interno del tempio, giacché l’apprendista – qualsiasi sia la sua cultura e importanza – tace e ascolta (senza che però gli sia vietato arrovellarsi nel suo scranno a settentrione), così come ai compagni e maestri è comunque vietato intrattenersi in questioni di politica e religione, che porterebbero “fuori squadra” i lavori massonici, né è loro concesso scadere in dibattiti o ancora assumere atteggiamenti scomposti e intolleranti. Non si può quindi ignorare che questo aspetto dell’esperienza massonica costituisce per molti versi un unicum nella vita attuale e come tale esso deve, nelle forme concesse, essere fatto conoscere al di fuori della comunione massonica. Di questa ricchezza enorme, peraltro, i Fratelli devono essere consci, in quanto si tratta di una forza eccezionale, protesa sia verso l’interno sia verso l’esterno. Tra l’apertura e la chiusura dei lavori, tra mezzogiorno e mezzanotte, un tempo “altro” scandisce il lavoro massonico, un tempo che è circoscritto e separato da quello dell’esperienza profana. Tale “esperienza” – giacché di esperienza si tratta, in quanto il rituale non è semplicemente spiegabile, ma deve essere attualizzato e vissuto direttamente (di qui almeno una parte del segreto massonico) – si articola e sviluppa in un “metatempo”, in una sorta di dimensione “diversa”, alla quale si accede per gradi sotto la volta stellata del tempio, in un luogo che simbolicamente trascende la sua apparente e contingente esteriorità, ma si pone come centro o asse del mondo. Interpretare ed interiorizzare il rituale massonico non sempre è facile ma, al termine della tornata rituale, quando tutto è stato veramente “giusto e perfetto” la autocoscienza di aver partecipato ad un’esperienza, ove il rito non è stata vacua ripetizione di gesti e formule prescritti, ma armonizzazione di una molteplicità di coscienze, segna fortemente l’iniziato e gli elargisce una nuova profondità capace di aprire, anche in chi pensava di aver già scoperto tutto, nuove possibilità di ricerca interiore. In una società dell’immagine, capace di soppesare con interesse solo ciò che “rende”, il rito, inteso come strumento vitale di un percorso umano, etico  e intellettuale, è indubbiamente una sfida e una provocazione. Per tutti coloro che a priori hanno in odio la Massoneria ciò appare come una sorta di mostruosità difficile da deglutire, giacché una tale dimensione spirituale non è neanche lontanamente supposta presso una setta di adoratori di “Bafometto” o una consorteria di “intriganti affaristi”. D’altro canto, proprio perché non siamo né una cosa né l’altra, non possiamo che lavorare ritualmente la pietra grezza e ricordare, dentro e fuori l’istituzione, che questo è il cammino proposto dall’iniziazione massonica.   IL COMPORTAMENTO IN LOGGIA   Da quanto sin qui detto si deduce che partecipare ad una istituzione come la Massoneria è principalmente un fatto interiore che si evidenzia all’esterno mediante atteggiamenti e comportamenti consequenziali, tanto nel mondo profano che nel corso della frequentazione dei luoghi deputati allo svolgimento dei riti massonici. Tale esternazione del nostro essere massone e interiorizzazione dei riti deve avvenire continuamente e a maggior ragione durante le tornate rituali. Davanti all’ingresso di molti dei nostri templi si leggono detti significativi che richiamano la nostra attenzione sulla sacralità del luogo. Tale attenzione deve iniziare dalla “Sala dei passi perduti” che è il luogo dove il massone si predispone spiritualmente e intellettualmente all’ingresso nel Tempio. Tenere un comportamento adeguato facilita anche gli altri fratelli e avvia quella unione spirituale che è la forza intrinseca della Loggia. A tale unione contribuisce anche l’abbigliamento. A prescindere dalle prescrizioni regolamentari, che pure lo prevedono, le modalità di abbigliarsi sono dettate dall’esigenza di raggiungere, all’interno del tempio, uno stato interiore di equilibrio e armonia tra tutti i fratelli. Nella nostra comunione, come in quelle di altre comunioni estere, è prescritto l’uso dell’abito scuro nelle tornate rituali. La finalità è quella di evitare tra i fratelli una difformità di abbigliamento che all’interno del tempio costituiscono dei supporti cromatici impropri che distolgono l’attenzione e ostacolano la concentrazione. Il colore scuro, un tempo rigidamente nero, tende a favorire il “silenzio” oltre che il distacco dal mondo profano. La ricerca dell’armonia nell’ambito dei lavori di Loggia deve essere tenuta presente anche da ciascun fratello che prende la parola su richiesta e ordine del Maestro venerabile. Quando un fratello parla si mette “all’ordine” e si rivolge al Maestro Venerabile che guarda durante il discorso. Tale atteggiamento testimonia la spersonalizzazione di chi parla e degli argomenti che tratta che devono essere proposti “per il bene dell’ordine” e alla “gloria del Grande Architetto dell’Universo” di cui il Venerabile è la rappresentazione in Loggia. Da parte di ciascun fratello massone, cosciente della propria imperfezione, la trattazione degli argomenti, che sarà sempre inadeguata rispetto ad una tavola tracciata dal Supremo Architetto, non può essere improvvisata, né priva di equilibrio e ponderazione, proprio perché, nell’inevitabile necessità di dover affrontare temi sui quali le opinioni sono e devono restare libere, non è possibile sprofondare nelle sabbie dell’argomentazione settaria, faziosa e provocatoria, anche senza deliberato intento. Il lavoro massonico deve preparare ad una sorta di yoga del discorso, ad un aggiogamento dell’argomentazione (il sanscrito yoga è imparentato col latino iugum, “giogo”), di modo che essa resti sorvegliata, nel senso di auto-dominata da parte del parlante. È questo il senso formativo-educativo che viene proposto all’apprendista, il quale, nel silenzio impostogli, impara (o cerca di imparare) a dominare i suoi impulsi. È questo l’impegno che assumono tutti coloro che in loggia prendono, nelle dovute maniere, la parola. Parlare in loggia non è chiacchierare come in un rispettabilissimo dopolavoro, ma un esercizio dello spirito, e tale deve essere e rimanere. Non a caso, la metafora massonica che invita a lasciare fuori dal tempio i “metalli”, ossia tutti i limiti ed i preconcetti del mondo esterno, serve a ricordare che il piano della serenità e del confronto è quello su cui si costruisce un cammino che mira ad alzare verso la volta di stelle, insieme al singolo fratello, la catena umana che si stringe nel tempio. Il lavoro in Officina serve per comprendere e per entrare nella propria coscienza, dove ognuno, incontrando il Grande Architetto dell’Universo, incontra se stesso e i suoi Fratelli, e contestualmente attiva le proprie energie interne migliori, procedendo dal “grosso” al “sottile”. Si è come in un laboratorio sacro, una officina appunto, dove si sperimenta un’arte demiurgica. Se tutto si compie correttamente, avviene una trasformazione sostanziale di dette energie, una loro sublimazione (il processo che porta allo sviluppo e consolidamento del secreto), evolvendo verso una sempre più pura spiritualizzazione. È un’operazione di trasformazione alchemica delle forze in atto. L’improvvisazione, i dibattiti e il parlare tra fratelli, l’essere distratto e scomposto, atteggiamenti che sono infatti vietati dal regolamento, risultano essere solo gravi elementi di profanità che danneggiano fortemente l’armonia anche visiva della  Loggia e il lavoro massonico che vi si svolge. Anche l’uso del “Voi” e della terza persona quando ci si rivolge al Maestro Venerabile, che ripeto è e deve essere l’unico interlocutore per il fratello che prende la parola dopo esserne da lui stato autorizzato, non è un vezzo di una massoneria arcaica e fuori dalle logiche moderne ma è uno strumento di lavoro e ricerca iniziatica che concorre, insieme agli altri strumenti che la massoneria mette a disposizione del fratello, a indicargli la via per una completa spersonalizzazione del proprio Io e rendere i valori virtuali dell’iniziazione massonica sempre più reali sia all’interno del tempio interiore che nel nostro vissuto profano.
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