LA ROSA, SIMBOLO DI PSICOLOGIA SPIRITUALE?
Per decenni, in questo XX secolo, si può dire che, in generale, psicologia e spiritualità sono state considerate antinomiche. Jung, tuttavia, ha messo bene in evidenza l’importanza della dimensione spirituale come fattore di evoluzione dell’essere umano che è un essere in divenire con reali capacità di cambiamento. Ma riconosciamo che forse Jung è stato poco capito e che la maggior parte degli insegnamenti della psicologia nelle università resta perfettamente improntata al pensiero materialista, cosa che del resto va contro il fenomeno del recupero di interesse per la spiritualità, fenomeno che troviamo da venti o trent’anni e che dovrebbe portare il suo contributo di rimessa in causa in molti campi.
Parlare di psicologia spirituale è considerare nella sua totalità la dimensione spirituale dell’essere, nell’ambito stesso dell’approccio psicologico. Dunque non è soltanto interessarsi al bambino, all’infanzia, al vissuto psico-affettivo, al vissuto professionale di un individuo, ma anche considerare il vissuto spirituale o il risveglio spirituale con le qualità psichiche che vi si riferiscono come l’intuizione, per esempio, e con tutta la simbologia che può riferirvisi o derivarne, simbologia che si esprimerà nei sogni, attraverso il corpo fisico (simbologia corporea), il corpo psichico (psico-energetico), alcuni avvenimenti interiori e certe malattie significative. E’ anche analizzare gli elementi dell’ombra in noi, cioè gli elementi negativi del nostro Io, gli elementi che causano problemi e che devono essere riconosciuti come tali e canalizzati per essere poi trasmutati (come l’aggressività o la passività che sono riconosciuti tali consciamente e che possono poi essere trasmutate con gli anni in un’energia positiva disponibile per altre cose). Ed è anche integrare fenomeni che escono dall’ordinario e sono motivo di interrogativi come le esperienze NDE, alcune visioni mistiche, la sincronicità, il rapporto alle vite anteriori, ecc.: tutto ciò fa parte dell’alchimia interiore.
Come dice il Dottor Jacques Vigne: “Ciò che distingue la psicologia spirituale è la sperimentazione personale: le osservazioni vengono effettuate calandosi nella propria psiche, cosa che i saggi praticano da milioni di anni grazie alla meditazione e ad altre tecniche di espansione della coscienza. Per loro ogni essere umano è il laboratorio di se stesso per esplorare i propri stati interiori. Non si tratta di credenza o di fede, ma di esperienza…”.
Per noi Occidentali questo non vuol dire rifiutare la psicologia classica, convenzionale potremo dire, che ha sviluppato molto l’aspetto analitico, ma di inserirla in una prospettiva spirituale che sviluppa l’aspetto più intuitivo e metaforico. In altre parole, significa riconciliare in noi l’analitico e l’intuitivo.
Freud, nella sua opera, ha lavorato molto sulla strutturazione dell’Io, insistendo sul ruolo del neonato, del bambino, ecc. Jung, invece, ha approfondito le sue ricerche sull’evoluzione dell’Io verso il Sé. In alchimia mentale e in psicologia spirituale noi sappiamo che è essenziale avere un Io ben strutturato (da cui l’importanza dell’infanzia e dell’adolescenza) e sappiamo anche che, a partire da questo Io ben strutturato, può prodursi un’evoluzione verso il Sé di buona qualità.
I mistici aspirano alla realizzazione del Sé e la psicologia spirituale si interessa particolarmente a questo campo. Il Sé è quanto vi è di più elevato in noi e rappresenta in effetti 1′ “Imago Dèi” che ogni essere umano possiede in se stesso, il regno di Dio dentro di noi. Come constatò lo psichiatra Adler, dal punto di vista psicologico, il Sé può essere considerato come l’esperienza di Dio in noi, in un certo senso il Dio del nostro cuore. Costituisce ciò che si potrebbe chiamare la più alta intensità di vita.
Ed è in seguito all’espansione progressiva del campo di coscienza che il nostro Io può tendere verso il Sé cosmico, la cui esperienza ultima è la reintegrazione dell’anima nell’Uno. Ed è proprio questa espansione che i Rosacrociani affinano imparando a sviluppare in loro la coscienza cosmica.
Abbordiamo ora tre punti simbolici concernenti la rosa in un approccio psico-spirituale.
I – La rosa come simbolo del desiderio spirituale della Realizzazione del Sé
La via interiore può essere simbolizzata dallo schiudersi della rosa sulla croce. Ecco perché è considerata uno dei simboli di questo processo di cambiamento, di questa trasmutazione alchemica, ma anche altri simboli come il diamante, il fior di loto, il bambino interiore, la sfera dorata, la luce bianca, sono esempi di questi simboli del Sé. Noi possiamo ritrovarli nei sogni spirituali, nei grandi miti dell’umanità, in alcuni racconti tradizionali per bambini, ma anche nei manoscritti alchemici o nei centri del Tarocco iniziatico, per esempio.
Ricordiamo comunque che non basta sognare meravigliosi simboli per essere un Realizzato: questi simboli del Sé, queste situazioni archetipiche sono soprattutto da considerare come un incoraggiamento ed esprimono il desiderio di andare più lontano; non è la fine del processo, ma un nuovo inizio per un nuovo giro di spirale.
Allo stesso modo possiamo dire che un’esperienza di risveglio come una visione mistica, non è il Risveglio. E semplicemente un’esperienza di risveglio, un incoraggiamento sul cammino o una ripresa nell’evoluzione. Lo schiudersi della rosa con i suoi molteplici petali può tradurre questo desiderio, mostrando che nuove mete devono essere raggiunte.
Il – La rosa come simbolo del “saper dare” e del “saper ricevere”
La rosa può essere percepita come un meraviglioso simbolo dell’armonizzazione tra il “saper dare” e il “saper ricevere”. Molti autori hanno insistito su questa necessità di equilibrare in noi il saper dare e il saper ricevere: tra questi citiamo Jung, Maslow, Stanislas Grof, Annick de Souzenelle, ecc. Questo equilibrio risulta da un movimento armonioso, da un’alleanza tra queste due componenti, movimento che costituisce una dinamica tra l’esteriore e l’interiore di noi stessi. Nella nostra vita quotidiana, naturalmente, noi non selezioniamo il “saper dare” dal “saper ricevere” (esempio: non c’è un’ora di “saper dare” seguita da un’ora di “saper ricevere”).
La nostra psiche è costituita di energia maschile e di energia femminile. L’energia maschile rappresenta la nostra capacità di azione nel mondo fisico: pensare, parlare, muoversi, per esempio. Per l’uomo, come per la donna, è l’energia maschile che permette di agire: è l’emissività (la funzione emissiva) e il “saper donare” partecipa a questo processo di emissività.
L’energia femminile rappresenta la nostra parte più intuitiva, quella porta interiore che può aprirsi all’intelligenza suprema dell’universo. Per l’uomo, come per la donna, è la ricettività (la funzione ricettiva) e il “saper ricevere” partecipa a questo processo di ricettività.
Possiamo dire in modo schematico che il processo creativo si traduce così: l’aspetto femminile riceve l’energia creatrice universale e l’aspetto maschile la esprime nel mondo mediante l’azione; il tutto parte, ben inteso, della nostra alchimia mentale e spirituale.
Prendendo il simbolo della rosa ci rendiamo conto che ha un nucleo centrale da cui emanano i petali. La psicologa Ania Teillard fa notare che tutto si svolge come se nel simbolo della rosa ci fosse sia un assembramento intorno al punto centrale, sia un irraggiamento stellato emanante dal centro: da una parte le energie provenienti dall’esterno passando attraverso i differenti petali e riunendosi al centro della rosa, rappresentano in qualche modo il “saper ricevere” (dall’esterno verso l’interno, il fenomeno dell’interiorizzazione). Dall’altra, le energie che partono dall’interno, dal centro della rosa, diffondendosi attraverso i petali e aprendosi verso l’esterno, rappresentano in qualche modo il nostro “saper dare” (dall’interno verso l’esterno, il fenomeno dell’esteriorizzazione).
Tutto questo rappresenta simultaneamente la concentrazione interiore e l’unione col mondo esteriore. Questo partecipa anche al processo di evoluzione individuale e collettivo. Abbiamo bisogno dei due: del “saper ricevere” e del “saper dare”. Può essere utile ricordare in che cosa consistono questi due concetti:
1) Il “saper ricevere”
Non tutti sanno ricevere o essere nella ricettività. Sylvie Galland e Jacques Salomé, psicoterapeuti, dicono che “noi siamo degli infermi del ricevere e in una relazione di lunga o breve durata, numerosi sono i registri nei quali facciamo fatica a ricevere”.
Ricevere dei regali, delle riflessioni gradevoli, dei complimenti, delle considerazioni d’amore: anche se può sembrare sorprendente, molti non sopportano queste attenzioni. Gli autori si pongono questa domanda: il controllo che abbiamo su noi stessi è tanto severo, esigente, da non farci accettare la riconoscenza di ciò che è?
Ma ricevere è anche ricevere delle messe in discussione, delle opinioni differenti, delle idee nuove, talvolta scomode. La maggior parte degli esseri umani ha un atteggiamento difensivo; molti davanti a ciò che sembra loro sconosciuto dicono subito no; pochi sono realmente aperti alla differenza e ciò spiega molti dei problemi della società contemporanea caratterizzati a volte dall’istantaneità della loro intolleranza. La mancanza di tolleranza, è una paura ancestrale, una chiusura, un blocco nell’energia del ricevere.
2) Il “saper dare”
Come possiamo essere infermi nel “saper ricevere”, così possiamo esserlo nel “saper dare”. Come la rosa può ricevere la luce e il calore del sole senza riserve, cosi può dare il suo profumo, il suo splendore senza contare e senza privarsi di nulla.
Si prova del piacere nel saper dare, questo non è calcolo né scambio di buone maniere, ancora meno strategia. Il saper donare non dipende dalla sofferenza o dal sacrificio, ma una forma d’amore. Nella vita quotidiana è frequente sentire formulazioni come questa: “dire che ho sacrificato dieci anni della mia vita a quello scopo, a quell’ideale, a quella persona”… In questo caso non si tratta più di dono né di amore, ma di dovere e conosciamo benissimo, in psicologia moderna, i limiti del dovere. Il dovere non ha niente a che vedere con l’amore. È importante ricordare che nel “saper dare” come nel “saper ricevere” è in gioco il piacere. Piacere di dare come il piacere di ricevere, e viceversa.
E questo può essere fatto in modo naturale, come nell’esempio della rosa che riceve calore e luce e da profumo e splendore. L’equilibrio al quotidiano forse sta in questa giustizia, questo adattamento con flessibilità del “saper dare” e del “saper ricevere” simultaneamente.
Quanto abbiamo detto della rosa, possiamo applicarlo al simbolo della Rosa-Croce. La croce è, in qualche modo, la nostra vita quotidiana, cioè un insieme di esperienze da vivere, col suo braccio verticale simbolo della spiritualità, il braccio orizzontale simbolo della materialità e il loro punto d’incontro, dove fiorisce la rosa, apertura dell’essere. Possiamo riagganciarci ai concetti del “saper ricevere” e del “saper dare”, poiché materialmente e spiritualmente riceviamo dall’esterno elementi, informazioni, energie che dopo essere circolate i bracci della croce si incontrano nel nucleo essenziale, la rosa e, inversamente, dalla rosa emana ogni tipo di irraggiamento che si diffonde lungo i bracci della croce, ripercuotendosi sulla nostra vita spirituale e materiale.
Non dimentichiamo anche che quanto è valido per un individuo vale anche per un insieme di individui, insieme che può essere un gruppo, una nazione e, perché no, l’intero pianeta. Se il nostro pianeta attualmente non va bene, è forse perché ha perso il senso della misura.
III – La rosa come simbolo dell’apertura del cuore
Quanto tratteremo adesso è completamente collegato a quanto detto prima: si tratta di ciò che si chiama “l’apertura del cuore”, elemento essenziale nella via iniziatica.
Nella Rosa-Croce, la rosa è al centro della croce, cioè nella posizione del cuore del Cristo. Angelus Silesius, mistico del XVII secolo, autore di un’opera intitolata “Il Pellegrino cherubinico”, fa della rosa l’immagine dell’anima, nonché del Cristo.
Manteniamo dunque questa immagine della rosa, simbolo (tra l’altro) dell’apertura del cuore, e più particolarmente della spiegazione simbolica dell’immagine dell’iniziando con un bocciolo di rosa che non chiede altro se non di aprirsi, come se l’iniziando, nel suo viaggio interiore, farà sbocciare in lui l’essenziale.
Questo essenziale passa verosimilmente attraverso la via del cuore e della rigenerazione dell’Essere interiore. Il cuore può essere considerato come il simbolo centrale di questa via poiché indica quanto sia importante per l’uomo saper amare a tutti i livelli del suo essere, l’Amore cosmico quale livello massimo. Saper amare apre molte porte e in uno dei libri segreti di gnostica dell’Egitto si leggeva questa espressione significativa: “Voi, i Figli del Sapere del Cuore”.
Il centro cardiaco è uno dei 7 centri psichici maggiori. Ricordiamo che, come raccomandano gli insegnamenti rosacrociani, è preferibile non polarizzarsi eccessivamente su questo o quel centro psichico poiché è principalmente in modo naturale che il risveglio, o più esattamente il risveglio di questi centri, avviene in modo armonioso, a mano a mano che si produce l’evoluzione spirituale. Le qualità psichiche corrispondenti a ciascun centro si destano anch’esse progressivamente. Tutti e 7 i centri hanno la loro importanza e l’insieme deve essere armonizzato affinché la circolazione energetica possa verificarsi normalmente dall’alto al basso e dal basso all’alto.
Tra i 7 centri psichici, il centro cardiaco ha un posto interessante. Che si parta dall’alto o dal basso è sempre il quarto. Alcuni lo citano come il primo centro altruista. Il suo posto centrale a mezza distanza tra il basso e l’alto, gli conferisce un ruolo particolare poiché l’apertura del cuore, come si dice solitamente, favorirà l’espansione degli altri 3 centri superiori ed eserciterà un’azione pacificante e armonizzante sugli altri 3 centri inferiori (quest’ultimi sono spesso inaspriti nella nostra società iperconsumistica e ipermediativa tra emozionale e spettacolare).
Può darsi che questa apertura del cuore sviluppi il desiderio spirituale di avere una relazione più intima con la propria anima. Può darsi che consenta all’uomo di comprendere meglio la natura dell’amore.
Possiamo aggiungere che più saliremo nella luce cosmica o, in altri termini, più saremo illuminati all’interno del nostro essere, più saremo in grado di aiutare gli altri e dividere con loro quegli elementi di comprensione, conoscenza e rivelazione mistiche che avremo integrato. In effetti, più questa comunione cosmica si affina e più possiamo amare e aiutare naturalmente e senza sforzo di volontà personale, poiché aiutare con uno sforzo di volontà personale risente ancora qualcosa del concetto di potere.
L’aiutare gli altri è essere come un trasmettitore, un canale psichico e spirituale. L’apertura del cuore, ossia questa rosa che si apre a poco a poco in noi, ci istruisce sulla bellezza interiore. Questa via, essendo carica d’amore, va molto oltre il semplice cammino intellettuale. Tende verso un’evoluzione più profonda dell’essere al quale elargisce un espansione del campo di coscienza e talvolta una ipercoscienza (una ipercoscienza transitoria forse, ma comunque una ipercoscienza) come un desiderio spirituale di comunione interiore che induce a prendere coscienza della sensazione di universalità dell’unità.
Non dobbiamo perciò stupirci se malgrado tutte le loro conoscenze, certi uomini di scienza passano vicino alla loro verità: non lavorano altro che con la testa.
Ora, questa semplicità del cuore, questo calore interiore lo ritroviamo nella tradizione mistica occidentale. La rosa e la croce, attraverso i loro differenti sensi simbolici ci propongono di custodire il più possibile intatte queste qualità della via del cuore anche durante esperienze difficili (e forse maggiormente durante le esperienze difficili).
I Rosacrociani sanno che vivere questi fa parte del campo dell’iniziazione. Queste esperienze da vivere possono essere individuali o collettive, ma tutte devono essere considerate significanti, ossia cariche di senso.
E l’insieme delle esperienze, da una parte quotidiane con il loro contenuto di gioie e di sofferenze per ognuno, dall’altra mistiche e spirituali, può sfociare nell’esperienza fondamentale della luce interiore e questo nell’accettazione piena e completa del Piano divino.
Un adagio dice: “Al momento di impegnarti su una via, chiediti se quella via ha un cuore”. Non si tratta di cuore fisico, ma del cuore quale centro di integrazione di alcune facoltà spirituali, quel cuore centro dell’essere.
Alla soglia dell’Era dell’Acquario, in psicologia spirituale noi sentiamo che l’uomo deve riconciliarsi col proprio cuore. L’intelligenza senza cuore, la scienza senza coscienza ci hanno portato alla situazione planetaria attuale, con le nostre società insieme troppo analitiche e troppo emotive in apparenza, troppo fredde in profondità.
L’apertura del cuore può dare un senso e un altro punto di vista alle scoperte dell’intelligenza, alla vita quotidiana, e il cuore, purificato nel senso alchemico del termine, diviene capace di vedere “Colui che è” nella sua essenza.
Come dice il poeta, in una visione alquanto idealista: “Cos’è un cuore puro se non quell’occhio in grado di guardare tutte le cose, senza proiezione, senza transfert, con quella qualità di innocenza che fa sì che il mondo si rifletta in se stesso come in un’acqua limpida?…”.
Parallelamente a questa visione poetica, possiamo ricordare quella spiegazione di Mircea Eliade sul simbolismo che egli considera come un dato immediato della coscienza totale, cioè dell’uomo che si scopre tale, che prende coscienza della sua porzione nell’universo; queste scoperte primordiali sono tali che lo stesso simbolismo determina sia l’attività del subcosciente sia le più nobili espressioni della vita spirituale.