In mezzo al guado
In mezzo non significa necessariamente ritenere di essere a metà del percorso incominciato a suo tempo. Più semplicemente vuol dire, per chi scrive, trovarsi in posizione scomoda con la volontà di non tornare all’inizio e la marcata percezione di non poter finire la traversata in modo accettabile.
Se noi consideriamo la nostra esistenza quotidiana così come ci appare caratterizzata da un complesso variamente ordinato (o disordinato?) di funzioni, pensieri e attività, e cerchiamo di trovare un senso, un significato a questo nostro vivere, non possiamo (credo) che derivarne una posizione scettica.
Possiamo considerare che mangiamo, dormiamo, esprimiamo dei sentimenti e dei pensieri, sentiamo delle sensazioni, ma senza un preciso significato di necessità e finalità. Per riempire questa nostra vita del meglio di noi stessi tendiamo a costruire un qualche cosa, cerchiamo di viverla nel miglior modo possibile e, chi ne ha le possibilità, per dare un aggancio alla propria azione, per poter agire per un qualche cosa che abbia un certo valore, cerca un ideale, il più elevato possibile, da raggiungere e da realizzare.
Se poi consideriamo più profondamente tale posizione, superando la nostra impostazione profana del vivere, per domandarci un perché della nostra vita, non rimangono (credo) che due possibilità: o rifugiarci in una posizione fideista di finalità trascendente, legata più o meno ad una ad una forma religiosa, oppure adattarci allo ‘ignoreremo sempre” dei più cercando di allontanare dalla nostra mente la domanda in questione (perché), e buttarci nella tensione di vivere il meglio possibile in una conquista di beni e soddisfazioni materiali: “che cos’è la vita non importa, cerco di viverla il meglio possibile”.
Ambedue queste conclusioni non possono soddisfare, in quanto lasciano un senso di vuoto e di inutilità. Noi che da tempo frequentiamo il Tempio (per alcuni da decenni) sentiamo che la nostra vita deve pur avere un qualche significato e che la nostra azione può e deve essere valida per realizzare la nostra esistenza.
E allora perché in mezzo al guado? Recentemente i Fratelli Gian Franco C. e Stefano C. hanno posto alla nostra attenzione le loro considerazioni su “iniziazione e ragione”, il primo, ‘razionale ed irrazionale”, il secondo. Si può pensare che anche loro, in qualche modo, si sentano “in mezzo”? Sentiremo. Personalmente penso sia molto improbabile poter modificare significativamente la situazione “ragionando”. Occorre aumentare la propria personale “cifra iniziatica”, cioè aumentare in saggezza (lo scrisse Armando Corona).
La Massoneria può formare i saggi, come nelle antiche Scuole Iniziatiche, ma non forma i Dotti. Saggi si diventa se si ha la natura appropriata; dotti si diventa purché ci si applichi nello studio. Sono due condizioni completamente diverse.
Ma come addivenire a tale realizzazione? Come e dove continuare a cercare per sperare di uscire dal “mezzo”? Non posso insegnare nulla a nessuno. Esprimo la mia convinzione e la speranza di essere sulla via più proficua.
Per seguire la via più proficua dobbiamo continuare ad affidarci a quel processo di scoperta e di continua realizzazione di noi stessi che possiamo ottenere solo attraverso la Ricerca Spirituale. Questa ricerca spirituale non può essere una scienza, ma un’arte, l’arte la più sublime; l’Arte Reale. L’Arte che mira a tramutare i metalli
vili in oro, attraverso processi di decantazione, purificazione, cioè attraverso la ricerca spirituale possiamo sperare di ritrovare la nostra essenza.
Ma ogni arte ha una tecnica ed ogni tecnica ha un carattere strettamente pratico. Infatti per mezzo di esso tendiamo a realizzare, con i mezzi più idonei, un determinato scopo. L’elaborazione della tecnica della ricerca spirituale è stata iniziata (si dice) dalla più remota antichità e perciò le sue fonti si confondono con il mito. Essa ha attraversato molte culture ed ognuna l’ha rivestita di simboli per adattarla a particolari esigenze. Però troviamo che si tratta dei simboli più antichi, che per il fatto di esserci tramandati sono ricchi di contenuto, i più idonei a raggiungere lo scopo.
Così nel simbolismo e nella ritualità dei lavori di Loggia noi troviamo e ritroviamo ad ogni tornata un insegnamento velato da parole che possono non significare “razionalmente” niente, ma che, oltre a darci un insegnamento simbolico, servono a frangere gli automatismi psicologici della vita usuale, a rompere il cerchio dell’egoismo personale per aprirci ad una nuova dimensione nella quale possiamo comprendere il più possibile della vita. E poiché è specialmente sul piano emozionale (irrazionale) dove si apre questo piano di comprensione, con la ritualità i concetti e le frasi già mentalmente comprese non destano più attenzione analitica, ma vengono seguite nel ritmo della cadenza e della voce del Fratello che le pronuncia. La mente, pur restando presente a se stessa, si disinteressa del significato logico, permettendo un’apertura a possibili intuizioni, non mediate dal pensiero (ragionamento) del significato vero del simbolo.
I gesti e gli atti sono sempre compiuti nello stesso modo, non essendo condizionati da una utilità materiale, aprono (o dovrebbero aprire) l’animo all’ascoltazione del significato trascendente aumentando le possibilità (speranze) di uscire dal “mezzo del guado”.
Si può sperare nell’intuizione improvvisa? L’intuizione che trascende il raziocinio? Credo sia lecito sperarlo a condizione (opinione personale) di lasciarsi “andare” fiduciosi alle influenze benefiche del rito ripetuto e vissuto senza voler “ragionevolmente razionalizzare” a tutti i costi
TAVOLA DEL FR.’. S. Pnt,
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