CONSIDERAZIONI INIZIATICHE SUL TEMA DELLA MORTE
PREMESSA:
Come sempre avviene per chi si pone nell’ottica tradizionale, questa tavola non vuole essere il frutto di punti di vista individuali, ma la pura esposizione di dati e insegnamenti ricavati dalle tradizioni.
Ritengo la precisazione necessaria, data la particolare delicatezza dell’argomento trattato; per questo motivo mi sono premurato di riportare le fonti bibliografiche a cui ho attinto, onde consentire ai Fratelli che lo desiderassero, di andarle loro stessi a consultare per eventuali ulteriori approfondimenti.
SOMMARIO:
Introduzione
Differenza tra la visuale iniziatica e profana
Ripercussioni pratiche
La morte iniziatica
La discesa agli inferi
Sul pre morte
Sul dopo morte, effetti degli interventi sul corpo
Le condizioni postume a seconda del grado di conoscenza
Sui riti funebri
Bibliografia
INTRODUZIONE
Lavorare su questo argomento non mi è stato facile. Come tutti, anch’io ho difficoltà a soffermarmi sul pensiero della morte, che non mi rallegra, anzi mi incupisce. Non amo inoltre l’idea di costringere i Fratelli alla riflessione “ricordati che devi morire”, anche se tutti sappiamo che prima o poi … (speriamo naturalmente il più possibile “poi” che “prima”). Questa speranza accomuna tutti, iniziati e profani; con una differenza però. Per il profano la vita viene vissuta fine a se stessa; per l’iniziato invece essa ha soprattutto un significato “strumentale” in quanto più perdura, e con le migliori condizioni di salute, maggiori potranno essere le possibilità di realizzazione spirituale. (Questo concetto viene espresso in molte tradizioni, che considerano la buona salute e l’integrità fisica, giustamente, come un dono del cielo, secondo solo a quello della fede).
Affronterò quindi l’argomento, non come un panegirico sulla morte, ma al contrario come un inno alla vita, che non si svolgerà sotto il segno della signora con la falce, ma sotto quello del gallo, presente sulla cima dei campanili di molte Chiese, quale noto simbolo di risveglio e di resurrezione.
DIFFERENZA TRA LA VISUALE INIZIATICA E PROFANA
La visuale profana dell’esistenza attribuisce alla morte un carattere di definitività cosmica, di viaggio senza sbocco per i non credenti essa è sinonimo di distruzione e annientamento. Secondo il punto di vista iniziatico invece la morte ha un significato di transitorietà, essendo solo “una morte” di quelle possibili; rientra cioè in un ciclo di alternanze il cui punto d’arrivo finale è la vita (non quella corporea, ma dello spirito, nel senso quindi più pieno e incorruttibile del termine); in questo modo la conoscenza che scaturisce dalla dottrina tradizionale trionfa sulla morte, là dove essa sembrava prevalere, affermando nel contempo la superiorità e l’inattaccabilità del punto di vista intellettuale e spirituale.
Questa trasmutazione, che può essere considerata una vera operazione di alchimia rispetto alla visuale profana, è racchiusa in queste parole di René Guénon: ‘ Se si considera la nascita e la morte nel senso più generale, vale a dire come cambiamenti di stato . . ci accorgiamo che in realtà sono fenomeni rigorosamente equivalenti, la morte per uno stato essendo nello stesso tempo la nascita in un altro (da “L’uomo e il suo divenire secondo il Vedanta”, capitolo “L’evoluzione postuma dell’essere umano”).
Tutto ciò è comune a tutte le forme tradizionali, sia pure con modalità di esposizione diverse, a cominciare dal simbolismo del “Gabinetto delle riflessioni” che, attraverso la pluralità dei significati rappresenta la tomba del profano da cui dovrà risorgere l’iniziato. Per convincersene sarebbe sufficiente per chiunque consultare dei testi specifici: dalla dottrina degli stati molteplici dell’essere, dove vengono spiegati la continuità e il concatenamento tra i vari stati di manifestazione , al processo di morte, stato intermedio e rinascita alla Realizzazione suprema o Identificazione con il Principio, scopo e fine ultimo dell’iniziazione. Disgraziatamente la pigrizia umana e lo sforzo che questo lavoro comporterebbe tiene lontani i più, privandoli dei risultati conoscitivi che ne potrebbero ricavare; si può anche arrivare, per evitare questo sforzo, a considerare come un titolo di merito la rinuncia all ‘insegnamento tradizionale, (che come tale è di fonte sovrumana), per preferirvi la propria personale inventiva, ritenuta evidentemente più affidabile!
RIPERCUSSIONI PRATICHE
Ne consegue per l’iniziato che la morte ordinaria sarà sì un cambiamento di stato (per quanto grande possa essere), ma il viaggio, ed è ciò che conta, continua. Il mondo è una palma sotto cui sostare per ricevere un po’ di frescura, il corpo un abito
che si dovrà cambiare, (“Io sono un uccello: questo corpo era la mia gabbia, ma sono volato via, lasciandolo come segno …” ha scritto una poeta sufico).
È stato detto :”… gli esseri viventi non muoiono ma, essendo corpi composti si disgregano; questa disgregazione non è morte, ma separazione di cose che si sono combinate insieme. Tale disgregazione non ha come fine la morte, ma il rinnovamento …” (“Corpus Hermeticum”, Capitolo “Discorso di Ermete a Tat sul Nous Comune”). L’amore per la conoscenza (È noto che etimologicamente la parola “amore” significa “senza morte” e sottolinea nella fattispecie questa concezione imperitura della vita) è tale che l’iniziato “brucia” con il suo fuoco interiore gli ostacoli che incontra sulla via, che avrà termine solo quando si troverà al cospetto del “Volto di Dio”. In ogni istante il ricercatore di verità mette la sua anima nelle mani del Creatore ed è pronto ad affrontare la morte, ma dà contemporaneamente alla vita il massimo dei significati, poiché per lui la vita intera è rito.
Ritroviamo questo atteggiamento nuovamente nelle parole di Ermete Trismegisto: ‘ il peccato più grande è l’ignoranza del divino. Viceversa, l’essere capaci di conoscere il divino, averne avuto la volontà e la ferma speranza, questa è la retta via, ed è anche una via facile. Durante il cammino, infatti egli ti verrà incontro ovunque; dovunque si offrirà alla tua vista, anche dove e quando non te l’aspetti, mentre vegli o riposi, mentre navighi o cammini, di notte e di giorno, mentre parli o taci; poiché niente esiste che egli non sia”.
LA MORTE NIZLATICA
La modificazione che proviene dall’iniziazione ha un grado di realtà superiore alla morte stessa ed è tale che influenzerà le condizioni di rinascita nel momento della morte corporea. Questo concetto viene espresso da René Guénon con queste parole: “11 conferimento dell’iniziazione oltrepassa le contingenze inerenti agli stati particolari dell’essere e ha, di conseguenza, un valore profondo e permanente dal punto di vista universale”.
L’iniziazione non è però che l’inizio della via, e può rimanere virtuale per chi, fermandosi all’esteriorità delle cose, non procede operativamente nel senso della realizzazione. Diventa invece effettiva per colui che, essendo “realmente” ricettivo all’influenza Spirituale, vive il processo conoscitivo con tutto il suo essere, attraverso un costante lavoro di interiorizzazione e di trasmutazione dell’individualità, che lo dovrà condurre progressivamente fino alla cosiddetta “morte iniziatica”.
Morte iniziatica significa morte dell’individualità. Per l’iniziato ai Piccoli Misteri (come è il caso della via massonica) non è l’individualità totale che deve morire (come avviene invece nei Grandi Misteri in cui le realtà sono di ordine sopraindividuale), ma quella profana e disordinata, dalla cui trasmutazione dovrà
sorgere l’individualità nella sua perfezione (si ripresenta qui il simbolismo della morte, che corrisponde ad una nascita vista dall’altra “faccia” dell’avvenuto cambiamento. (N.B.: circa la differenza tra Piccoli Misteri e Grandi Misteri, si veda René Guénon
“Considerazioni circa la via iniziatica”, capitolo “Grandi Misteri e Piccoli Misteri”). Solo da quel momento e non prima si potrà parlare di rinuncia all’individualità, poiché non è possibile, evidentemente, rinunciare a qualcosa fintantoché non la si possiede
I moti oscuri e irrazionali dell’anima devono venire riconosciuti dall’iniziato nelle loro radici sotterranee, che una volta trovate saranno disciolte dall’occhio puro dell’intelletto, provocando delle piccole morti che dovranno condurre gradualmente a quella iniziatica finale; questo meccanismo che noi chiamiamo “la squadratura della pietra grezza”, è ciò che contraddistingue le fasi del processo iniziatico.
I Piccoli Misteri quindi, per chi giunge al termine di essi, preparano il passaggio ai Grandi Misteri. L’essere che percorre questi ultimi fino al loro estremo (ottenendo ciò che gli indù chiamano “Liberazione”) realizza la morte in vita. Non subirà quindi, con la morte fisica, alcuna modificazione, se non la dissoluzione del composto corporeo, essendosi egli stabilito definitivamente nella coscienza del Sé.
Come si vede siamo lontani anni luce rispetto a come viene comunemente concepita e “vissuta” la morte, nella fase del ciclo attuale. È il conto, un po’ salato in verità, che è stato presentato all’uomo (mi perdonerete Fratelli la battuta) dopo la sua caduta biblica, dal “progresso” e dai movimenti di “emancipazione” che hanno nel corso di millenni, e con maggiore intensità negli ultimi secoli, caratterizzato la storia dell’umanità …
LA DISCESA AGLI INFERI
Parlando della morte iniziatica, non si può non fare almeno un cenno sulla cosiddetta “discesa agli inferi”, una sorta di ricapitolazione degli stati precedenti allo stato umano che caratterizza le prime fasi del percorso iniziatico. Essa comporta la manifestazione delle possibilità inferiori che l’essere porta ancora in sé, che debbono essere esaurite perché gli sia possibile pervenire alla realizzazione dei suoi stati superiori. In altre parole si tratta di prendere coscienza delle tracce che gli stati precedenti hanno lasciato nelle regioni più oscure dell’anima. (cfr. René Guénon “L’esoterismo di Dante”, capitolo “I tre mondi”).
È esperienza di vita di ciascuno che per accedere ad un livello più elevato, in qualunque circostanza, si debbano superare dei limiti precedenti; così i desideri e le passioni sono di impedimento in una via spirituale, fino a che non vengono esauriti Chi non lo fa in questa vita dovrà farlo in quella successiva (tenendo conto naturalmente delle mutate condizioni di esistenza), giacché la morte non cambia il grado di conoscenza degli esseri.
SUL PRE MORTE
Per procedere nel suo viaggio, è necessario che I ‘iniziato sappia come vivere, ma soprattutto come morire, per non rischiare di peggiorare all’ultimo le sue condizioni di rinascita.
Nelle fasi che precedono la morte infatti l’essere rischia le peggiori “crisi” sul piano psichico, a causa della fragilità e della precarietà in cui si trova. Si pensi quale smarrimento, più spesso terrore, può provare colui che, nel momento del trapasso, è attaccato a ciò che sta definitivamente lasciando, e non ha alcuna cognizione né fiduciosa aspettativa di ciò che lo attende, che gli si presenta come il totale annientamento di se stesso.
Difficile immaginare una situazione più tenibile di questa! Analogamente ad un iniziato dell’antichità, si dovrebbe invece poter dire: “Io sono pronto. Ho reso il mio animo saldo contro le illusioni del mondo”.
Tratta l’argomento del pre morte un testo latino del 1470, “ARS MORIENDI’, che sintetizza gli scritti di alcuni Padri della Chiesa dei primi tempi, e di Profeti del Vecchio Testamento con il titolo: “Le cinque tentazioni del diavolo”. Contro queste, a protezione del morituro, porta ogni volta ispirazione un angelo. Le tentazioni provengono: dalla mancanza di Fede, dalla Disperazione, dall’Impazienza, dalla Vanagloria, dall’Avarizia. Quivi si afferma, con gli accenti caldi e vibranti tipici della tradizione cristiana, l’importanza degli ultimi pensieri nel momento fatidico: il diavolo assale l’uomo per condurlo alla morte eterna. Perciò è necessario assai che l’uomo provveda all’anima sua per non perderla in punto di morte”.
Ecco, secondo gli autori, con quali argomenti l’angelo viene in aiuto del morituro: “La fede è il fondamento della salvezza e senza di essa nessuno può salvarsi” (Agostino); “Chi non crede è già giudicato” (Giovanni); “Ogni peccatore se dispererà del perdono, perde ogni misericordia, perché con la disperazione offende Dio” (Agostino); “In qualunque ora il peccatore piangerà, in quella stessa ora sarà salvo” (Ezechiele); “E’ più valoroso l’uomo paziente nell’animo che l’espugnatore di città” (Salomone); “L’uomo che si giustifica da sé e si presume giusto cade nell’abisso” (Agostino)
SUL DOPO MORTE EFFETTI DEGLI INTERVENTI SUL CORPO.
“Non bisogna credere che lo stato sottile cessi all’istante stesso e soltanto per il fatto della morte corporea”. (René Guénon “L’uomo e il suo divenire secondo il Vedanta”, capitolo “L’evoluzione postuma dell’essere umano”). Avviene un assorbimento della coscienza nello stato sottile stesso per la durata di tre giorni e mezzo, durante i quali il defunto è presente in uno stato di lucida vacuità; vede, sente ciò che accade intorno a lui, vorrebbe comunicare con i presenti, ma non può, e questo è per lui motivo di disperazione. Perciò sono da evitarsi in sua vicinanza scoppi di dolore, d’ira o di contrarietà onde non provocargli uno stato di turbamento peggiore di quello che già ha. Poiché la sua coscienza è ancora presente in questo lasso di tempo (dopo di che si manifesteranno dei segni esteriori – fuoriuscita di sangue, ecc. – che ne indicheranno il completo ritirarsi), “solo dopo il suo trascorrere si potrà rimuovere il corpo per eliminarlo. Prima di allora, qualsiasi manipolazione violenta del medesimo, non potrà che disturbare i processi finali della morte, e ciò potrebbe dar luogo ad una rinascita inferiore …
Mi rendo conto che ciò può apparire stupefacente agli occhi della mentalità attuale. Disgraziatamente uno degli effetti del materialismo che caratterizza la nostra epoca è quello di credere solo a ciò che cade sotto i propri sensi, con la conclusione molto semplicistica che tutto quello che non rientra in questa condizione, non esiste.
L’ignorare questo processo graduale di abbandono dell’anima dal corpo, fa sì che si intervenga sul defunto in qualsivoglia maniera, senza aspettare la decorrenza dei termini necessari, (con autopsie, prelievi di organi ecc.) recando così grave pregiudizio al decorso postumo di quest’ultimo.
Come già detto, delle interferenze violente nel periodo in cui la coscienza è ancora presente, (sebbene diversa da quella in vita in quanto non più legata alla sensibilità del corpo) spaventano il defunto favorendo la possibilità di una rinascita inferiore, analoga a quella di un animale, di un vegetale, o di un minerale del nostro stato di esistenza. San Francesco d’Assisi scrive nel suo “Cantico delle creature” ‘ beati quelli che la morte troverà ne le Tue sanctissime voluntati Signore ca la morte seconda no li farà male …”. Nella tradizione islamica, il Profeta Maometto parla ai nemici uccisi dopo una famosa battaglia. Ai suoi compagni che gliene chiedono con stupore la ragione, egli risponde: “Voi non sentite meglio di loro ciò che dico; solo che essi non mi possono rispondere.
“La seconda morte”, scrive René Guénon “non è che la morte psichica; si può considerare questo fatto come suscettibile di prodursi a più o meno lunga scadenza dopo la morte corporea, per l’uomo ordinario, al di fuori di ogni processo iniziatico”.
Nel “Libro di Mirdad”24 , opera di non accertata collocazione tradizionale (probabilmente noachita) ma di sicura ispirazione esoterica, il Maestro, Mirdad, cosi si rivolge ad un suo discepolo, affranto per la scomparsa del padre appena avvenuta: “Tuo padre non è morto, Himbal. Né sono morte ancora la sua forma e la sua ombra. Veramente morti sono invece i tuoi sensi per quanto concerne l’alterata forma e l’ombra di tuo padre. Poiché ci sono forme tanto delicate, con ombre cosi attenuate che il grossolano occhio umano non può percepire. … Solo perché tuo padre è ora in una luce alla quale il tuo occhio non è abituato ed in una forma che non puoi scorgere, tu dici che egli non è più. Ma il sé materiale dell’Uomo, ovunque trasportato e comunque trasformato, non può fare a meno di proiettare ombra finché non venga dissolto completamente nella luce del Divino Sé dell’Uomo …” (per Sé materiale qui bisogna intendere l’io individuale, essendo il Sé al di sopra di qualsiasi modificazione).
La letteratura tradizionale sulle condizioni del post mortem va dal libro egizio dei morti, al rituale cinese del culto degli antenati, dal Vedanta indù, alla liturgia cristiana dei defunti. Il buddhismo tibetano fornisce delle indicazioni estremamente precise a riguardo. Il concetto su cui si basa è il “bàrdo” che significa “stato intermedio” e indica la condizione di passaggio tra due stati. Il testo che riporta questa descrizione è il Bar-do Tho-dol (libro tibetano dei morti), appartenente ad una serie composta da Pafdmasambhava nell’V1110 secolo d.c., che viene classificato come “gter-ma” che significa nella lingua tibetana “tesoro”, e sta a indicare quei testi e quegli oggetti sacri che venivano nascosti da alcuni maestri in previsione di periodi non propizi per l’insegnamento, in caso di razzie, distruzioni e così via.
Dal secondo al quarto bardo (il primo è l’arco della nostra vita terrena), sulla coscienza sottile del defunto opera il monaco recitante, o il maestro, o un fratello nella via tradizionale, guidandola nel difficile e decisivo percorso che dovrà affrontare. Frasi rituali tipo: “… O figlio di nobile famiglia … è venuto per te il momento di cercare una via …”, vengono ripetute molte volte in vicinanza del trapassato dal momento in cui il suo respiro si è interrotto, in modo che tutto resti fermamente impresso nella sua mente. Questa tecnica di recitazione rituale, è definita: “Liberazione nel Bardo attraverso l’udire” ed avrà un esito diverso a seconda del grado spirituale del defunto e quindi delle sue differenti reazioni
Nel Vedanta indù figura questa descrizione: ‘ Questa forma sottile (in cui dopo la morte risiede l’essere che resta così nello stato individuale umano) è (se paragonata con la forma corporea o grossolana) impercettibile ai sensi per le sue dimensioni (vale a dire perché essa è fuori della condizione spaziale) ed anche per la sua consistenza (o per la sua sostanza) che non è costituita da una combinazione degli elementi corporei; di conseguenza essa non colpisce la percezione (o le facoltà esterne) di coloro che sono presenti quando si separa dal corpo (dopo che ‘l’anima vivente’ vi si è ritirata)”.
“Questo ritrarsi o questo abbandono della forma corporea è comune al popolo ignorante (avidwan) ed al Saggio contemplativo (vidwan) fin dove cominciano per l’uno e per l’altro, le loro rispettive (e d’ora innanzi differenti) vie.” .
Queste vengono denominate “la via degli Avi” (pitry yana) e “la via degli Dei” (deva yana), che condurranno la prima ad un ritorno nella manifestazione in uno stato differente da quello umano (poiché l’essere non può ripassare due volte per un medesimo stato, contrariamente a quanto sostengono le teorie reincarnazionistiche); la seconda verso gli stati superiori dell’essere, nel dominio del non manifestato.
LE CONDIZIONI POSTUME A SECONDA DEL GRADO Dl CONOSCENZA
Le condizioni postume dell’essere variano a seconda che si tratti di un profano, di un exoterista che ha ottenuto la salvezza (profano per il punto di vista iniziatico) e di un iniziato, e sono in funzione del grado di conoscenza acquisito in vita (l’essere lascerà tutte le sue scienze eccetto la “Scienza dell’Unità” come insegnano le tradizioni orientali, che è la conoscenza del divino ottenuta attraverso il lavoro iniziatico). L’evento della morte “fissa” lo stato conoscitivo dell’essere con un grado paragonabile a quello del “rigor mortis” corporeo. ln quel momento non ci sarà più tempo per ricercare o dubitare, perché oramai, i giochi saranno fatti …
A chi non credesse nel giudizio finale dell’aldilà, dovrebbe essere sufficiente citare la parabola evangelica dei talenti, il cui significato non deve essere limitato alle
sole opere ma va esteso anche alle parole pronunciate.
Difatti è scritto: “Di ogni parola vana che avranno detto gli uomini daranno conto nel giorno del giudizio; poiché dalle loro parole saranno giustificati e dalle loro parole saranno condannati” (Matteo, 12-36).
Per il ricercatore della Verità, che è per definizione l’iniziato, quello del giudizio finale si presenta come un motivo in più, e certo non di poco conto, per intensificare il proprio lavoro operativo (credo che a nessuno sorrida l’idea di poter rinascere in una condizione analoga a quella di un ragno o di una formica del nostro stato di manifestazione …).
Nel viaggio che l’iniziato dovrà affrontare dopo la morte, la conoscenza sarà il suo scudo e la sua arma. Non avrà da essere un’arma di legno …
SUI RITI FUNEBRI
Vorrei in ultimo ricordare (anche se appare implicito da quanto finora esposto) il significato e l’importanza dei riti funebri che nelle società tradizionali hanno la funzione di guidare l’essere nel viaggio extra corporeo per il conseguimento delle condizioni postume più favorevoli. La perdita della tradizione ha fatto sì che nelle
società moderne i riti funebri siano stati aboliti, privando così il defunto dei benefici che ne avrebbe ricavato. Tutto ciò dà la misura di quali azioni si possano compiere, e con quali ripercussioni, per pura ignoranza nella maggior parte dei casi, ma con mirata volontà da parte di quelle forze dissolventi del mondo attuale che si potrebbero semplicemente definire “controiniziazione” senza che nessuno, o quasi nessuno, abbia a rendersene conto …
TAVOLA SCOLPITA DAL FR.’. E. My,
BIBLIOGRAFIA
- René Guénon, GLI STATI MOLTEPLICI DELL’ESSERE.
- Yang-Jen-ga-way-10-dro, MORTE, STATO NTERMEDIO E RINASCITA NEL BUDDHISMO TIBETANO, traduzione e commento Rinpoce e Hopkins, Editore Ubaldini Roma.
- René Guénon, NIZIAZIONE E REALIZZAZIONE SPIRITUALE, Capitolo “Salvezza e Liberazione”.
René Guénon, L’UOMO E IL SUO DIVENIRE SECONDO IL VEDANTA, Capitolo “La liberazione finale”.
- René Guénon, CONSIDERAZIONI CIRCA LA VIA INIZIATICA, Capitolo “La morte iniziatica”.
- LIBRO TIBETANO DEI MORTI, a cura di Namkai Norbu, Newton Compton Editori.
- Martin Lings, IL PROFETA MUHAMMAD, LA SUA VITA SECONDO LE FONTI PIÙ ANTICHE, Capitolo “La battaglia di Badr”, Edizioni SITI.
- Mikhail Naimy, IL LIBRO Dl MRDAD, Ediz. MEditerranee.
8)René Guénon, L’UOMO E IL SUO DIVENIRE SECONDO IL VEDANTA, Capitolo “L’evoluzione postuma dell’essere umano”.