I SEGNI DEL CAMBIAMENTO

I SEGNI DEL CAMBIAMENTO

(Ovvero dalle parole ai fatti)

Il desiderio di scrivere questa tavola è nato da alcune contingenze della mia personale vita profana che hanno acuito sensibilmente la convinzione, mai sopita, che ad un certo momento della via e della vita all’iniziato si possa chiedere un modo “diverso” di vivere, a riprova del suo cambiamento effettivo oltre che teorico.

Quali potrebbero essere i segni di cambiamento effettivo realizzati dai Fratelli nell’Istituzione che, pur seguendo un fine spirituale, nella sua manifestazione quotidiana ha regole e storia umane e vita materiale?

Durante i nostri lavori rituali, ovvero scolpendo tavole scritte e parlate, pronunciamo tante parole il cui significato è pieno di verità; ma scendono veramente dentro di noi queste verità? Sono accettate con lo spirito che fa di esse la manifestazione di effettiva volontà di ricerca della Luce? Il loro indiscutibile significato non viene a volte umiliato di fronte al primo ostacolo di un personale tornaconto? La nostra libertà la usiamo sempre per esprimere la parte migliore di noi stessi, per quanto valga, o talvolta ce ne serviamo per limitare o togliere quelle altrui? Quante volte invochiamo la Fratellanza, non solo in Tempio, e quante volte è veramente scesa nei nostri cuori a testimoniare che il nostro è un mondo di Fratelli? E la Tolleranza? Quante volte negli atti e nelle scelte della nostra vita non siamo “conformi” nelle intenzioni e nei fatti a quanto appreso in Tempio e verbalmente dichiarato e ripetuto? Ma perché proprio la Tolleranza come segno del cambiamento? Una risposta si fa avanti semplicemente dalla considerazione di come, a volte, il significato di Tolleranza sia confuso ed alquanto contraddittorio.

Infatti le incomprensioni portano ad interpretare, e mi riferisco ovviamente alla pratica e non alla definizione etimologica, per difetto (o per comodità) la Tolleranza scadendo così in comportamenti più vicini all’intolleranza, oppure, per eccesso, arrivando a volte al lassismo, alla esagerata liberalità. (Vi è mai capitato di chiedervi quanto sia giusto in certe situazioni essere tolleranti o quando, spingendovi oltre, si possa arrivare a tollerare troppo, a concedere assai di più, con la fastidiosa intima sensazione di star commettendo un errore?).

Pensiamo quanto è difficile oggi, come sempre, imboccare la via della misura tra soluzioni estreme, cioè quanto sforzo di volontà ed intelligente desiderio di comprensione sia necessari per arrivare ad essere tolleranti, e spesso ancora non basta.

Infatti se la Tolleranza è già di per sé un esercizio molto complesso tra persone “moralmente” su uguale piano e culturalmente di simile livello, la situazione diventa critica quando si confrontano opinioni, atteggiamenti, azioni ed interessi tra individui profondamente diversi per i più svariati motivi. Eppure, per essere coerenti, è necessario superare tutte le barriere, tutti i pregiudizi, il proprio eccessivo orgoglio e l ‘intransigenza delle proprie radicate convinzioni.

L’aspirazione ad essere migliori, ad emergere, a contare nella vita è nella natura dell’uomo e quando si attua nel rispetto della deontologia, della correttezza e nell’osservanza dei “principi universali ed eterni” è addirittura lodevole. (Nelle nostre Logge si stimola l’iniziato a voler “scavare profonde prigioni al vizio ed elevare templi alla virtù” proprio per essere migliore nell’accezione più elevata del termine).

Dal rituale di primo grado: “Se ammesso nella nostra Istituzione vi trovaste qualcuno . considerato un nemico, siete pronto ad abbracciarlo e consideralo un Fratello?” Vale a dire la richiesta a priori di esercizio della Tolleranza con promessa esplicita dell’iniziando.

Mi potrete far osservare che, salvo casi rarissimi, chiunque di noi è stato invitato a far parte della nostra Istituzione è entrato, usando il nostro linguaggio suggerito, al buio senza la coscienza precisa dell’impegno che stava assumendo nei confronti soprattutto di sé stesso. Tutto ciò non è più vero dopo anni, tanto che, a mio parere, dovrebbero conseguirne comportamenti conformi. Allora massone uguale a Buon Samaritano a tutti i costi? Per quanto mi riguarda no! Si tratta di vivere in “altro modo”.

Un esempio di “altro modo”. Da molti anni frequento il Fratello Sergio R., già Maestro Venerabile di una Loggia ora diroccata ed attualmente in sonno, figlio di Massone pure in sonno. Attualmente il Fratello è membro attivissimo di un gruppo privo di “storia tradizionale” di uomini e donne che si dedicano a studi e, soprattutto, a pratiche esoteriche non propriamente di origine libero muratorie. Ho sempre apprezzato il suo dire ed il suo fare, nonostante la riserva mai espressa di verifica in momenti comunemente considerati importanti, a torto o ragione, della vita. Recentemente è passato all’Oriente Eterno il padre (e Fratello) al quale Sergio era legato da grandissimo affetto. Ecco l’occasione di verifica. Trascrivo parte di una lettera scritta ad un Fratello: “È difficile per me, tenuto conto del contesto culturale in cui siamo immersi, trasmettere quel senso di serena fiducia nella continuazione della vita che ho condiviso con mio padre in tutti questi anni. Il rammarico, umanissimo, per il distacco è compensato dalla consapevolezza che nell ‘ultimo periodo la sua situazione psichica era andata deteriorandosi di pari passo con le sue condizioni fisiche e quindi lo strettissimo rapporto che tu sai essere intercorso fra di noi si era, in certa misura, forzatamente attenuato. Ora che la forma esteriore è svanita, quel rapporto interiore è totalmente ripristinato ed il dolore da parte mia, nell’assistere alla sua sofferenza, è scomparso …..”. A mio parere, Sergio ha confermato serenamente quanto aveva sempre proclamato, dando segni di cambiamento coerente.

Dal rituale di apertura dei lavori in primo grado: dai segni che danno riconosco tutti i presenti come Liberi Muratori.” E noi sappiamo che in tale grado, o meglio all’inizio della via iniziatica, i segni che si danno sono posture propedeutiche ad un maggior ordine interiore e, quasi certamente, dei modi rituali convenzionali di riconoscimento.

In altro rituale si recita: ‘ dai segni che danno, ma più ancora dalla nuova disposizione interiore …”. Se si considera che, a volte, tra di noi vi sono Fratelli con decenni di scuola e vita da iniziato si può sperare che i “segni” non siano posture o modi di riconoscimento, bensì testimoni della nuova e duratura disposizione interiore derivante da “effettivo progresso” in Massoneria.

Quindi disposizione interiore appropriata, confortata da segni esteriori visibili. Segni che non devono esaurirsi con la fine dei lavori rituali.

Mi sovviene il detto popolare “al cuor non si comanda”. Apparentemente una banalità. Molti anni fa il Fratello Mario B. Disse “ricordati che quasi sempre, se non sempre, gli affetti naturali che viviamo normalmente (moglie, compagna. Amici, Fratelli, ecc.) costituiscono un grosso ostacolo sulla via iniziatica, anche nel più convinto degli adepti”. Rimasi, a dir poco, sconcertato. Oggi affermo che Mari aveva ragione, ma contemporaneamente sono certo di non avere né forza né, soprattutto, voglia di rimuovere volontariamente quegli affetti dalla mia vita.

In conclusione (si fa per dire), mi pare dia segni di cambiamento, di qualche rapidissimo bagliore di Luce chi tra noi, in virtù della interiorizzazione di riti, tavole, esempi di altri Fratelli, riesce, pur adempiendo ai doveri del proprio stato, di cui sono fautore convinto, a vivere più “leggermente”, lasciando sempre più in disparte banalità profane.

TAVOLA SCOLPITA DAL FR:?: S. Pnt,

TROVATI PER CASO

E un nuovo esordio.

Gli studi, le ricerche, le esperienze, i tentativi un tempo solitari ora divengono elemento di confronto.

L ‘esperienza personale si misura ed arricchisce.

La mescolanza di pensieri, simili per aspirazione, dischiude nuovi orizzonti.

I dubbi si attenuano; le certezze, supportate da differenti pareri, si rafforzano.

L ‘espressione di uno trascina a cascata miriadi di idee di altri, che vorticosamente convergono fino a lasciare un sedime comune in cui sarebbe difficile riconoscere i singoli apporti.

Pian piano emerge un ordine nello spazio e nel tempo.

Si riconosce il valore del silenzio e del suono.

Si abbandonano le parole vane e le contrapposizioni per dare rilievo agli interventi accrescitivi e benevoli.

Si accolgono insegnamenti, non per il prestigio di chi li ha prodotti, ma per il ritorno, positivo ed immediato, che se ne ricava mettendoli in pratica.

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