DALLA PERPENDICOLARE ALLA LIVELLA
Maestro Venerabile, Fratelli carissimi,
questa sera lavoriamo “sotto il simbolo della livella”. Con questa espressione il Rituale ci insegna che, nel nostro cammino iniziatico verso la Verità, dobbiamo ‘aggiungere alla Forza dell’Intelletto la Bellezza dell’Immaginazione, perché possa suscitarsi in voi I’Intuizione che trascende il Raziocinio”
I lavori in questo Grado hanno infatti lo scopo di abituarci ad usare l’immaginazione e l’intuizione (cioè la Passività, simboleggiata dalla livella) e a non limitarci al raziocinio (cioè l’Attività, simboleggiata dalla Perpendicolare o Filo a Piombo), “per integrare fra loro queste due forze che determinano ogni manifestazione, trascenderle e raggiungere, attraverso la loro confluenza, un perfetto equilibrio”.
La ricerca della verità essenziale, la ricerca dell’ordine che c’è dietro la nostra esistenza, ha da sempre impegnato la mente dell’uomo, forse fin da quando si aggirava sperduto nelle savane, ed oggi non meno di allora. La nuova fisica si chiede: Da dove viene l’Universo? Che cosa è la realtà? Perché c’è qualcosa anziché niente? Perché l’Universo si dà la pena di esistere? (Stephen Hawking).
Nell’Universo c’è una verità che sfugge alla razionalità e solo con l’intuizione possiamo pensare di ricercarla, mediante il perfezionamento delle capacità che sono potenziali in ogni uomo.
Lo scopo delle millenarie scuole iniziatiche è appunto quello di insegnare all ‘uomo che, attraverso successivi stati di coscienza e di conoscenza, egli può avviarsi verso l’intuizione della verità, al di là della razionalità.
La Massoneria, l’unica scuola iniziatica occidentale modema, afferma, nel Rituale di iniziazione al Grado di Compagno, la “convinzione nella possibilità di avvicinarsi alla Verità, di percorrere la strada che ci avvicina al U mediante l’intuizione, al di fuori della ragione e dei sensi”.
Essa fornisce una metodologia operativa per raggiungere questo obiettivo: quella del simbolismo, inteso come mezzo evocativo e di stimolo e come strumento per il perfezionamento di idee e concetti posti a livello di pura intuizione e non esprimibili in altro modo. È infatti il simbolo a risvegliare l’intuizione attraverso cui l’esoterismo attinge l’essenza delle cose c dei fenomeni. Il simbolismo è perciò un mezzo di insegnamento e di addestramento all’introspezione e un supporto per l’intuizione della verità.
Il Rituale ci dice inoltre che “la mente deve indagare liberamente in ogni campo della conoscenza, evitando ogni dogmatismo limitatore”.
L’iniziato, in definitiva, deve essere un ricercatore di verità e l’esoterismo è la scienza per scoprire ciò che è nascosto dalla nostra soggettività. Questa scienza, come tutte le scienze, impone un grosso sforzo ma prima di tutto esige il rigore scientifico, una specie di annullamento del proprio sapere per non causare intralci al pensiero. Un ricercatore della verità deve essere un uomo veramente libero e non è certo facile diventarlo completamente!
Passare dalla perpendicolare alla livella significa appunto acquisire la libertà di pensiero.
Libertà di pensiero vuol dire non essere condizionati dalla nostra cultura, dal nostro temperamento, dal conformismo e dai luoghi comuni. Essere liberi dalle illusioni, dai preconcetti, dalla superstizione, dalle soggezioni e dalle suggestioni. Essere affrancati da ogni paradigma culturale, religioso, filosofico o morale, e dai dogmatismi di ogni genere e anche da quello più diffuso: il dogma della ragione. Su questo dogma dobbiamo soffermarci.
Cominciamo con il rilevare che la ragione può essere deformata dalla nostra soggettività, in quanto ciò che oggi ci appare non razionale ci potrà sembrare razionale domani e viceversa.
Noi occidentali siamo abituati ad una visione compatta del reale, senza smagliature e rigorosamente razionale. Questo modo di vedere le cose, a ben riflettere, non è sempre rigorosamente razionale.
Un fenomeno non necessariamente è non razionale solo perché non si lascia dimostrare dalle nostre regole precedentemente stabilite, quando cioè questo fenomeno non era ancora stato immaginato. Esiste una realtà al di fuori della contingente razionalità. L’uomo non ha ancora scoperto certe realtà solo perché non le ha ancora pensate. Il non razionale non significa necessariamente non reale ma spesso è semplicemente non noto, come, per contro, ciò che è razionale non significa necessariamente che sia reale.
Prima di Galileo non era razionale pensare che la terra girasse mentre invece era razionale ritenere che fosse ferma, anche se in realtà girava da circa 4,5 miliardi di anni.
Prima di Hertz, che intuì l’esistenza delle onde radio e prima che Marconi scoprisse il modo di dirigerle, le comunicazioni intercontinentali erano inspiegabili con la ragione mentre ora la nostra razionalità accetta le comunicazioni interplanetarie.
Prima di Einstein i concetti di spazio e tempo erano considerati delle verità indiscutibili, delle realtà assolute, delle proprietà caratteristiche della natura. Ora invece sappiamo che sono solo dei concetti relativi, limitati ed illusori, delle semplici costruzioni dell’intelletto, delle realtà puramente superficiali. A queste conclusioni erano già giunte da alcuni millenni le filosofie orientali mentre, nel mondo occidentale il dogma, sostenuto dalla filosofia greca, che considerava la geometria euclidea la vera natura dello spazio, ha resistito per più di duemila anni. Fino a pochi anni fa il concetto di spazio-tempo quadridimensionale curvo appariva irrazionale.
Credere che la realtà sia solo ciò che è visibile, misurabile, rilevabile e comprensibile dall’uomo è quindi un errore.
Un esempio banale, ma eloquente: noi oggi apriamo normalmente le porte della nostra vettura senza neanche toccarle, servendoci solo di un telecomando. Nel secolo scorso ciò sarebbe stato irrazionale e qualche secolo prima addirittura considerato una stregoneria per la quale rischiare il rogo.
Don Ferrante, ne I Promessi Sposi, sostiene che il contagio della peste non può esistere, perché in natura ci sono solo due generi di cose: sostanza e accidente. Poiché il contagio non è né l’una né l’altra, ed egli lo dimostra con un procedimento razionale, il contagio non esiste. Don Ferrante, naturalmente, muore di peste.
I nostri schemi logici sono conseguenza della nostra cultura e non sono parametri assoluti per valutare il reale. Vi è una realtà che trascende la struttura del nostro intelletto.
La nostra realtà è figlia dei tempi, è un costrutto culturale, e non può mai essere quella assoluta perché la Realtà, posto che sia sempre uguale, invece sappiamo che l’Universo è in continua evoluzione, ci apparirà sempre diversa, in relazione alla nostra razionalità, alla nostra soggettività e alla capacità di immaginazione e di intuizione.
Passiamo ad un altro dogma: quello dei nostri sensi, ancora meno affidabili della ragione. Ognuno di noi si è certamente reso conto, almeno una volta, che quello che noi vediamo attraverso i nostri sensi non è obiettivamente reale.
Il Rituale di 2 0 Grado ci dice chiaramente che i sensi sono strumenti che uniscono il mondo esterno al nostro io più intimo ma le cose che appaiono ai nostri sensi sono soltanto il riflesso deformato della realtà”. E come dire: la realtà assoluta è ben diversa da quella che ci appare attraverso i nostri sensi.
Questo ci viene confermato nella vita di ogni giorno in molti modi. Ad esempio la così detta luce non è altro che un fascio di onde elettromagnetiche, aventi frequenze e lunghezze d’onda comprese in un determinato campo e i nostri occhi sono solo dei sensori idonei a captarle. Quelle con lunghezza d’onda minore o maggiore non le percepiamo. Quelle che siamo in grado di vedere, ossia quelle che chiamiamo luce, ci appaiono di colori diversi, solo in relazione alla loro lunghezza d’onda. Non è detto che ciò che a noi appare di un determinato colore, appaia dello stesso colore agli animali, perché potrebbero avere dei sensori differenti dai nostri.
La nostra facoltà di vedere dipende dalla retina che assorbe la luce dal mondo esterno e poi trasmette dei segnali al cervello. La retina non percepisce il colore, è cieca allo stimolo ed è sensibile solo alla sua quantità: … di fatto non c’è né luce né colore in sé: ci sono soltanto onde elettromagnetiche” (Heinz Foester).
Quello che si è detto per la vista vale anche per tutte le nostre percezioni sensoriali. Non ci sono né suoni né musiche ma soltanto delle variazioni istantanee della pressione dell’aria sui nostri timpani. Non c’è né caldo né freddo ma soltanto molecole in movimento con più o meno energia cinetica e così via.
L’uomo non è in grado di individuare ciò che lo circonda. La natura non gli ha fornito sensori idonei a percepire l’intero spettro delle onde elettromagnetiche, infatti non avverte la presenza dei raggi cosmici, dei raggi gamma, dei raggi X, degli ultravioletti, degli infrarossi, delle onde radar e delle onde radio, come pure la presenza degli ultrasuoni e di tutte le altre realtà immateriali. Tra le realtà materiali l’uomo non percepisce alcune di quelle allo stato gassoso. Ci sono infatti gas, definiti incolori e inodori, che i nostri sensi non segnalano, anche se taluni sono letali.
Fidarci dei nostri 5 sparuti e limitati sensi è come dire credo solo a ciò che vedo e significa rinunciare alla ricerca della realtà ultima. Per questa ricerca nessuno dei nostri sensi è necessario, anzi essi possono contrastarla.
Si legge nelle Uppanishad: “Essendosi concentrato su ciò che è di là dall’udito, di là dal tatto, di là dalla vista, di là dal gusto e dall’olfatto, che è indefettibile ed eterno, senza principio e senza fine, più grande dei grande, duraturo, l’uomo si salva dalle fauci della morte”.
Jean Guitton, eminente filosofo cristiano contemporaneo, afferma: “in fondo nulla di quello che possiamo percepire è veramente ‘reale’ nel senso abituale del termine. In certo qual modo siamo immersi al centro di una illusione, che dispiega intorno a noi una cortina di apparenza e di artifici che noi scambiamo per la realtà”.
Cercare di scoprire la verità fidandoci dei sensi e della ragione, ci troveremo “come colui che si accingesse a studiare il canto degli uccelli in una collezione di usignoli impagliati” (Paul Davies).
A questo punto viene spontaneo domandarci: non c’è proprio nulla su cui poter fare affidamento? Sulla scienza, ad esempio? Risposta: no, non c’è nulla di assolutamente certo. Neanche sulla scienza si può con sicurezza contare per poterci avvicinare alla conoscenza.
La scienza ha anch’essa dei dogmi, pur non assoluti e definitivi perché di volta in volta vengono rimossi e sostituiti da altri, per cui finisce di condizionare e limitare la nostra immaginazione.
Newton riconosceva di aver capito poco o nulla: “sono un bambino che si trastulla sulla sabbia a cercare un ciottolo più liscio o una conchiglia più graziosa mentre il grande oceano della verità mi sta davanti inesplorato”.
La fisica quantistica di oggi in realtà ha però fatto molti passi avanti rispetto a quella di Newton e ha dato all’uomo un’altra rappresentazione della realtà.
Essa ha spazzato via molte idee convenzionali riguardo Dio, l’uomo e la natura, ha rivoluzionato i concetti di spazio, tempo e materia. Nessun teologo, nessun credente poteva permettersi questa rivoluzione.
L’uomo di scienza ha dovuto abbandonare le certezze che gli derivavano dalla fisica newtoniana e la stessa sua razionalità si è dimostrata, in taluni casi, non più valida: ad esempio quando sono in gioco velocità prossime a quelle della luce. Egli, anche quando ritiene di fare a meno dell’ipotesi di Dio, è costretto ad ammettere che, come già lo stesso Newton aveva detto, “l’Universo non è solo più strano di come lo pensiamo ma anche più strano di come possiamo pensarlo”.
Paul Davies arriva ad affermare che oggi “la scienza ci offre una strada più sicura per la nostra ricerca di Dio che non la religione”.
Il fisico nucleare Fritjof Capra ritiene che “la fisica ci porta oggi ad una concezione del mondo che è sostanzialmente mistica”.
Di fatto la fisica quantistica abolisce la distinzione tra ciò che è materiale e ciò che non lo è, tra la materia e il suo aldilà. Essa ha infatti scoperto che il tessuto della materia, il suo substrato ultimo, è costituito da entità astratte, immateriali, da campi di forze interagenti e costantemente mutabili ma costantemente in equilibrio, secondo uno schema ignoto che sostiene continuamente l’intero cosmo e fa in modo che in questo cosmo prevalga l’ordine anziché il caos. In questa “danza cosmica di energia”, nella quale continuamente, in tempi infinitesimi e con ritmi pulsanti, si creano e si distruggono particelle, come non scorgere la similitudine con la danza di creazione e di morte del dio Siva che, secondo l’Induismo, sostiene l’universo? Due modi sorprendentemente analoghi per descrivere la realtà intuita.
Riprendiamo, concludendolo, il discorso sulla limitatezza della scienza. Ci sono infatti dei limiti fisici alla conoscenza. Ci sono frontiere che circondano la realtà e che è impossibile, nel modo più assoluto, varcare. Confini identificati poco a poco, spesso anche calcolati, come la “costante di Planck”, cioè l’elemento minimo indivisibile di energia esistente nel mondo fisico. Questi confini pongono degli interrogativi inquietanti: perché esistono e in questa forma così precisa e calcolabile? Chi e che cosa ha deciso la loro esistenza e il loro valore? Che cosa c’è al di là?
Nonostante la scienza e i suoi sviluppi è pur sempre un immenso oceano inesplorato quello che ci sta di fronte. Essendo una scienza umana, ha un campo d’azione limitato dalla nostra capacità umana di comprendere l’inesprimibile.
Questo oceano lo dobbiamo quindi affrontare rinunciando a tutti i nostri punti di riferimento e a tutte le nostre certezze. Solo scrollandoci di dosso l’egemonia della ragione e il condizionamento dei sensi, la nostra mente potrà percepire le intuizioni più profonde.
Fratelli, non è certo facile “passare dalla perpendicolare alla livella”. Per noi occidentali è molto difficile evitare che il nostro pensiero razionale impedisca all’intuizione di esprimersi liberamente. Anche se l’obiettivo è difficile da raggiungere, possiamo tuttavia cercare di avvicinarci il più possibile.
Prima però dobbiamo fare chiarezza nella nostra mente: la verità può nascere, anzi spesso nasce, dall’errore ma difficilmente nasce dalla confusione. Il primo obiettivo è quello di giungere ad avere una visione del mondo più lucida e più equilibrata di quella del profano.
Questa lucidità di pensiero è necessaria per poter acquisire la lucidità di coscienza. Talvolta può sembrare di avere delle intuizioni provenienti dal profondo della nostra coscienza, mentre in realtà sono solo dei falsi contatti, sono solo voci del sistema in cui viviamo.
L’iniziato, secondo le scuole iniziatiche tradizionali, per intuire la verità, deve giungere a trascendere la nozione di se come individuo, deve acquisire il senso della unità fondamentale dell’universo e diventare consapevole dell’unità e della interconnessione reciproca di tutte le cose.
Le fasi evolutive del pensiero dell’iniziato dovrebbero essere: concentrazione, meditazione, intuizione e contemplazione. Io però sono dell’opinione che il personale progresso nella via iniziatica non può essere programmato secondo metodologie fisse e uguali per tutti.
Probabilmente, comunque, al di fuori della “suprema, perfetta illuminazione”, che solo pochi grandi Illuminati hanno raggiunto, cioè senza l’acquisizione di una completa libertà di pensiero, non arriveremo mai ad una completa Conoscenza, intesa come obiettiva e totale consapevolezza di una Verità assoluta, eterna, uguale per tutti gli uomini di tutti i tempi, perché la nostra soggettività, la nostra cultura e il nostro linguaggio pongono dei limiti alla nostra percezione e ne derivano delle interpretazioni soggettive diverse.
La Verità non è “un essere stabile, forte, sempre identico attorno a cui gli uomini si muoverebbero nel loro affannarsi storico” (Gianni Vattimo).
Essendoci modi diversi di concepire la verità non esiste una verità assoluta uguale per tutti. Ci possono essere solo delle porzioni, delle tappe, infinite, diverse per ognuno di noi, che si raggiungono con l’impegno ma anche con la casualità e che spesso, non sempre, sono destinate ad essere, di volta in volta, abbandonate.
Naturalmente per costruire è necessario partire da personali opinioni, con la speranza di arrivare a intuire certezze, che però non devono mai essere considerate assolute e definitive. Occorre infatti diffidare delle soluzioni che placano il nostro desiderio di conoscenza e di verità. Non bisogna stancarsi di cercare anche quando si suppone di avere già trovato. Ritengo che occorra avere sempre il coraggio di verificare, di smontare il congegno, perché spesso ci si accorge che l’avevano costruito mediante la tirannia della logica. Questa verifica occorre effettuarla con la consapevolezza che le nostre conclusioni devono comunque essere sempre considerate provvisorie, perché quelle definitive sono nella mente del G:.A :.D:. U
L’iniziato è stato definito “un uomo che tra dubbi e tormenti cerca il perché della vita”.
Essere degli iniziati non significa aver raggiunto un traguardo, ma semplicemente aver iniziato un processo, in una situazione interiore che deve continuare.
Il non avere certezze assolute e sentire l’esigenza interiore di continuare a cercare la verità seguendo le intuizioni più profonde, è probabilmente l’unico vero dono che l’iniziato ha dalla vita. Saper cogliere questo dono, riuscire a mettersi in sintonia con l’Universo e scoprirlo dentro di se è, probabilmente, l’unico sostanziale patrimonio spirituale di un vero iniziato.
La mancanza di certezze assolute e il travaglio che ne deriva è ciò che ci rende liberi e ci consente di percepire le intuizioni, al di fuori del razionale. Lo stimolo del dubbio ci rende più disponibili all’approfondimento e al confronto. La mancanza di appagamento è la molla che ci spinge ad approfondire la ricerca e che ci stimola a continuare a salire la montagna.
Non è da escludere che qualcuno possa giungere alla Verità per altra via: come Francesco d’Assisi, che arrivò alla luce attraverso il dono improvviso della grazia o come Gotama Buddha che, dopo sette anni di meditazione nelle foreste, in una notte improvvisamente ottiene i} risveglio ossia “la suprema, perfetta illuminazione”.
Molti uomini dicono di avere la certezza assoluta di possedere la verità. Spesso la certezza assoluta è una inconscia definizione di comodo perché la convinzione di conoscere la verità assoluta è molto gratificante, per cui non si vuole mettere in dubbio questa presunta certezza, per non correre il rischio di perderne la gratificazione!
Chi professa un credo religioso, cioè chi è convinto che possa esistere una verità assoluta, spesso si adagia su un “sistema” di verità elaborato da altri, preconfezionato, già pronto per l’uso, dove ogni domanda ha già la sua risposta e dove i dogmi della verità rivelata evitano i travagli interiori e non lasciano spazi a dubbi e a ripensamenti.
Giordano Bruno ha detto: “o si pensa o si crede”.
L’iniziato, cioè colui che non si accontenta della verità degli altri ma la vuole cercare con il suo personale sforzo, cioè colui che ha più bisogno di sapere che di credere, è più indifeso, più scoperto, perché rifiuta la comoda copertura protettiva della certezza assoluta.
All’iniziato, per potersi avviare a percepire, a scorgere un frammento di verità, è richiesto impegno, fatica, costanza e resistenza. All’iniziato la semplificazione del dogma, cioè la verità appresa in modo indiretto, riferita da terzi e non derivante da processi introspettivi e dalla silenziosa elaborazione delle intuizioni più profonde, non dà appagamento. L’iniziato rifiuta questa facile scorciatoia e preferisce salire con i propri mezzi, il tortuoso e accidentato sentiero di montagna.
Il dogma religioso è, per sua definizione, fondato su una verità immutabile che non può cambiare e adeguarsi al mutare delle idee e dei convincimenti, anche quando contrasta con la realtà dei fatti.
L’iniziato è in netto dissenso da coloro che negano la libertà di coscienza e pretendono di obbligare l’uomo a credere in una verità, della quale asseriscono di detenere il monopolio in quanto appartenenti all’unico gruppo provvisto di vera conoscenza e il solo ad essere in grado di comunicare con l’Onnipotente. L’iniziato è sempre stato scettico verso le “verità assolute” dichiarate negli ultimi 5000 anni, dai tempi di Astarte ad oggi, da questi depositari del Verbo.
L’atteggiamento fideistico, cioè l’atteggiamento di chi dice: “io so e coloro che non la pensano come me sbagliano” non è del massone. Si diventa fideistici quando non si vuole più cercare: è una via di fuga! È più semplice affidarsi ad altri che ricercare in proprio. L’iniziato non chiede di essere salvato ma cerca la forza per conquistare la sua libertà.
Il nostro è un compito più gravoso ma anche più affascinante.
Ricordiamoci le parole di Giovanni: “cercate la Verità, essa vi rende liberi” e quelle di Platone: “la libertà sta nell’essere padrone della propria vita, nel non dipendere da nessuno, in ogni occasione”.
Neppure i grandi Maestri delle scuole iniziatiche tradizionali sono in grado di comunicare delle verità ai loro seguaci. I grandi Iniziati hanno solo lasciato dei “segni” sulla via, affinché chi vuole tentarla li trovi e sappia servirsene.
Uno di questi “segni” è la simbologia. Le verità percepite, cioè le personali e parziali intuizioni di essa, sono talvolta espresse attraverso approssimazioni simboliche, che diventano un supporto alla intuizione della verità. Il significato dei simboli non è infatti univoco essendo adattabile, di volta in volta, a persone di capacità e sensibilità interiori diverse. I simboli non possono che riflettere delle percezioni soggettive ma tuttavia sono un valido mezzo per risvegliare le intuizioni e farle emergere dal profondo della coscienza.
Il concetto dell”‘lpse dixit” di Aristotele e specifico delle religioni abramiche, non è mai stato adottato dalle scuole iniziatiche tradizionali. Esse hanno sempre seguito il metodo di Platone, cioè quello della ricerca, della verifica e del confronto.
Quando si riesce ad afferrare uno scorcio di verità essa diventa parte della nostra mente e questa consapevolezza non è assolutamente comunicabile. Il segreto massonico è questo: non può essere rivelato ma soltanto percepito nel proprio intimo, perché l’ineffabile è inesprimibile con parole e tanto meno con concetti razionali.
Lao Tzu, circa 2500 anni fa, ha detto: “colui che sa non parla e colui che parla non
sa”.
Dunque ogni uomo ha la responsabilità di scoprire la sua verità. Per quanto mi concerne io rivendico la mia incapacità di raggiungere e di comprendere la mia verità: la potrò intuire, la potrò parzialmente percepire, la potrò scorgere ma non la potrò certo conseguire, capire e possedere. Dal deserto in cui mi trovo non raggiungerò mai la terra promessa: spero solo di poterne vedere almeno i bagliori nella notte.
Avviandomi alla conclusione, mi preme ricordare, ai Fratelli Compagni e a me stesso, quello che ci ha detto il Rituale di iniziazione al 1 0 Grado: i viaggi simbolici e le difficoltà del cammino. La via iniziatica è una via di liberazione, lunga, difficile e senza pietre miliari. L’importante è non desistere, non rinunciare, continuare il cammino anche quando ci si sente soli e stanchi.
Per un iniziato è normale sentirsi solo: il nostro è un percorso di solitudine, una via da percorrere da soli, con le proprie forze, svincolati da ogni autorità spirituale. Quando ci sentiamo soli spesso siamo sul sentiero giusto: con la solitudine la nostra mente si placa e può diventare ricettiva alla verità e riflettere il trascendente.
Nei momenti di stanchezza e di sconforto, l’unico riferimento che abbiamo e che ci consente di proseguire è l’idea di essere in viaggio, in quel viaggio che ciascuno di noi ha intrapreso con l’iniziazione.
L’iniziato affronta da solo i momenti di scoraggiamento perché preferisce l’avventura e i rischi di una ricerca solitaria vissuta in un rapporto diretto con il trascendente e rifiuta il comodo sostegno offertogli dai dogmi.
Talvolta è sufficiente un momento di pausa, di riflessione, per ritrovare le forze che consentono di superare dei conflitti di coscienza, spesso solo dovuti al contrasto tra il nostro io che sta diventando libero e gli archetipi culturali che abbiamo ereditato.
Nel percorso iniziatico ci troviamo a dover affrontare, senza punti di riferimento, un oceano di relatività talvolta così burrascoso da farci perdere d’animo, perché ci pare di andare alla deriva. Forse siamo invece vicini alla condizione buddhista del “grande vuoto”: al di sopra senza una tegola per coprire il capo, al di sotto senza un palmo di terra per il piede.
Il Massone, cioè l’iniziato occidentale, che vive in un ambiente culturale in cui prevalgono i principi assoluti, ai quali la società profana si aggrappa per ragioni di sicurezza spirituale e psicologica, ha maggior difficoltà ad affrontare il “grande vuoto” rispetto agli iniziati delle scuole orientali, i quali non solo non ne provano sgomento ma ne traggono motivo di serenità interiore.
La ricerca della verità è comunque un cammino obiettivamente difficile. William Maugham l’ha definita: “è come camminare sul filo del rasoio”. Richiede costanza, rigore e determinazione, evitando fideistiche illusioni ma anche preconcetti scetticismi.
L’avvertire crisi di mediocrità potrebbe essere un indice che si è sulla buona strada: “il vero iniziato è colui che non sa di sapere”.
Nel nostro cammino siamo spesso distolti e travolti dal ritmo forsennato ed assurdo di questa era consumistica, di questa cosiddetta civiltà del benessere. La velocità divora il nostro tempo e ci impedisce di riflettere. A volte il rumore ci assorda anche lo spirito !
Di qui la necessità di riunirci ritualmente in Tempio, vera camera di decompressione dello spirito, dove, mediante l’aiuto dei Fratelli a livello sottile, si ha modo di entrare in sintonia con il trascendente.
Stiamo però attenti a non cadere in errore: chi vive nella quiete di un monastero, in Europa o in Tibet, ha forse più facilità a percepire il senso del sacro che proviene dall’Infinito ma a noi è chiesto di scoprirlo e di essere ricettivi ai Suoi messaggi, di intuirli e di tradurli operando ogni giorno nella vita sociale.
La via iniziatica massonica è una via di azione, non di contemplazione. Quando l’ego si dissolve in Dio è quasi sempre a scapito della fratellanza e comunque ciò non appartiene ai principi della nostra scuola iniziatica.
Come potremo realizzare il Trinomio? La nostra azione di ricerca della Verità non deve essere fine a se stessa e non deve significare estraniarsi dalla società civile.
Lavorare alla gloria del .•.U.•., per il bene e il progresso dell’Umanità non significa certo limitarsi alla ricerca passiva di astratti concetti provenienti da una sfera superiore.
Il progredire nella via iniziatica deve avere immediati riscontri nelle nostre scelte operative e comportamentali di ogni giorno assolvendo “il nostro ruolo di promotori di progresso, di giustizia, di libertà, di unione e di amore fraterno in questa società sbandata e priva di ideali”.
TAVOLA DEL FR.’. L. Scglm,