LA BELLEZZA
Andrea Macchioni
Partiamo anzitutto dalla definizione del vocabolario che alla voce bellezza recita:
“La bellezza è l’insieme delle caratteristiche percepite tramite i cinque sensi, che suscitano sensazioni piacevoli che attribuiamo a concetti, oggetti, animali o persone nell ‘universo osservato, che si sente istantaneamente durante l’esperienza, che si sviluppa spontaneamente e tende a collegarsi ad un contenuto emozionale positivo, in seguito ad un rapido paragone effettuato consciamente od inconsciamente, con un canone di riferimento interiore che può essere innato oppure acquisito per o per consuetudine sociale. Nel suo senso più profondo, la bellezza genera un senso di riflessione benevola sul significato della propria esistenza dentro il mondo naturale”.
Considerando l’etimologia della parola, scopriamo che bello deriva dal terTnine latino bonus, da cui benelus e quindi bellus, aggraziato, confacente, grazioso.
Ed ecco che immediatamente emerge quell’archetipo tanto caro alla cultura classica che evidenzia come il Bello ed il Buono finiscano per costituire qualcosa di unitario, una sorta di quid che appare ai confini della Coscienza quando l’uomo cerca il Vero con animo puro e qui stiamo parlando dell’attività tout court del massone.
Ponendoci con semplicità di fronte a questo concetto scopriamo ben presto quanto sia difficile definire concretamente la Bellezza. La nostra osservazione spazia dalla Natura all ‘ Arte, dal Misticismo all ‘ Amore: ovunque la Bellezza affiora e finisce per entrare prepotentemente perfino in noi stessi.
A tutti è capitato di esclamare sinceramente: “Com’è bello!” o di pensare di aver fatto una “cosa bella” o anche di vedersi – sì, almeno una volta! – “belli”. Pare quasi che il concetto di Bellezza sia un po’ come quegli aspetti universali che tutti conoscono ma nessuno sa definire. Una sorta di benefico enigma.
Tutti, in un modo nell ‘altro, cerchiamo la Bellezza, perché conosciamo la felicità e il benessere che ci può offrire.
Pensando alla Bellezza, ci viene in mente subito un corpo femminile o maschile attraente – questa è la reazione più comune ed elementare.
Pensiamo anche alla Bellezza frivola e appariscente che ci viene imposta dalla civiltà dei consumi: abiti, automobili, arredamenti, viaggi esotici, la chirurgia estetica.
A molti viene in mente la Bellezza della natura: la grandezza del mare, la maestosità delle montagne, la gioia di un prato fiorito o delle foglie rosse e gialle in autunno, l’incanto del cielo stellato.
Per altri ancora è l’arte in tutte le sue forme che conta più di tutto: una statua o un dipinto, un film o una musica, una poesia o una rappresentazione teatrale.
Certuni riescono a vedere la Bellezza interiore delle persone: la bellezza della generosità, dell’intelligenza, dell’onestà. Una bellezza molto meno evidente, ma più profonda e più duratura.
Altri ancora trovano la Bellezza nelle idee, oppure nell ‘eleganza di un concetto.
Ma c’è anche chi la scopre nell ‘apparente banalità della vita quotidiana, una canzone sentita con gli amici tanti anni fa’, delle vecchie panchine in mezzo a giardini anonimi, una vecchia maglietta consumata dagli anni.
La Bellezza può aiutarci a ritrovare la voglia di vivere, ridarci il contatto perduto con le nostre emozioni, farci pensare in maniera nuova, guarire le nostre ferite più antiche, avvicinarci a un’altra persona, farci dimenticare i nostri problemi e i nostri affanni. Almeno per un po’.
Può capitare di aver paura della Bellezza, una paura non dichiarata, spesso non cosciente. Perché la bellezza a volte è troppo intensa; proviamo a pensare di assistere ad uno spettacolo grandioso nei confronti del quale si riesce ad intuire anche solo per un istante la presenza di Dio, come non sentirsi spaventati ed inadeguati?? Accadimenti come questi non possono che mettere a nudo la nostra pochezza e quindi sentiamo di non meritarla.
Parimenti la repressione o la dimenticanza della bellezza ci fanno star male: depressione, ansia, aggressività. Sono convinto che un po’ più di bellezza nelle nostre vite curerebbe molti dei nostri mali.
Si può considerare la bellezza come un valore assoluto ed oggettivo? Certamente no. o forse sì.
Nonostante per secoli con alterna fortuna si sia tentato di definire la bellezza entro canoni fissi ed immutabili cercando addirittura di teorizzarla e di insegnare, di indirizzare l’apprendimento al bello, questo concetto resta arroccato nella sensibilità personale di ognuno di noi, sia che siamo acculturati o no.
Per godere del bello non occorre essere colti e preparati, anche se ciò a volte può aiutare. Perché l’esperienza del bello sia forte, vera, profonda, bisogna invece essere liberi nel proprio giudizio ed è un esercizio particolarmente difficile anche per noi che dovremmo essere avvezzi alla libertà, quantomeno quella concettuale. E approfondendo la nostra familiarità con la Bellezza, non facciamo altro che venire più in contatto con noi stessi. Diventiamo più autentici, più forti, più sicuri. Avere fiducia nel proprio giudizio estetico non significa volerlo imporre agli altri, significa avere autostima: star bene con se stessi, essere in contatto con le proprie emozioni e sensazioni, avere il coraggio di dire ciò che si prova e ciò che si pensa
Ricordo mio nonno materno, operaio, uomo semplice dalla cultura incerta, al quale nessun maestro aveva insegnato musica, che si commuoveva lacrime ascoltando Verdi: un ‘ autentica, sincera attestazione del la percezione del bello che lui mostrava senza vergogna e senza trovare le parole adatte per esprimerla ad altri.
La percezione della Bellezza cambia quindi dalla differente sensazione dell’individuo, ma ancora dall’epoca nella quale vive o ha vissuto o dall ‘ angolo del pianeta nel quale è nato e vive, perché in questo caso vale anche l’influenza che la società esercita in modo più o meno percepibile su ognuno di noi.
Risulta così difficile discutere obbiettivamente su di questo argomento, senza essere influenzati dal proprio senso e gusto.
Sebbene nella vita comune spesso si indichi con la Bellezza anche il gusto estetico, si tratta di un abuso di linguaggio. Si può però definire bellezza soggettiva quella dipendente dal proprio senso estetico. Possiamo definire bellezza oggettiva la bellezza definita come un insieme di qualità rispondenti a dei canoni prestabiliti e condivisi, per esempio da un gruppo di persone o da un’intera società?
La bellezza oggettiva è funzione del tempo ed alla propria cultura, poiché tali canoni cambiano col passare degli anni e restano validi per il periodo indicato. La bellezza comporta la cognizione degli oggetti come aventi una certa armonia intrinseca oppure estrinseca, con la natura, che suscita nell ‘ osservatore un senso ed esperienza di attrazione, affezione, piacere, salute.
Il processo emozionale attraverso il quale riconoscere quell’armonia che ci permette di discernere e godere del bello deve quindi essere personale e genuino, quasi sorpreso ogni volta e quindi sarebbe importante non avere idee precostituite di che cosa è bello e che cosa non lo è. La spontaneità del bello ci insegna proprio questo. Il bello non può essere racchiuso nelle nostre categorie mentali preconcette.
Il bello, per essere bello, è sempre nuovo, anche quando è vecchio o vecchissimo – quando è una musica che abbiamo sentito già mille volte, un paesaggio visto e rivisto. Ma in quel momento la musica, il paesaggio, ci rivelano qualcosa di nuovo. E’ per questo che il bello ci aiuta a essere veri. Perché se lo cerchiamo seguxndo le nostre idee di ciò che dev’essere bello, non lo troveremo mai. Così la bellezza ci insegna a cogliere l’attimo.
Spesso si afferma che un “oggetto di bellezza” è qualsiasi cosa nel mondo percepito che riveli un aspetto significativo per la persona riguardo alla “bellezza naturale”. La
presenza del sé in qualsiasi contesto umano, indicherebbe che la bellezza è naturalmente basata sul sentimento che suscita negli umani, anche se la bellezza umana è soltanto I ‘aspetto dominante di una più grande ed incalcolabile bellezza naturale.
Secondo il testo “Attaccamento e amore” (Grazia Attili, Il Mulino ed., pag. 59-61) la bellezza umana (e animale – perché non considerarla? – è noto come in tutte le specie le femmine rifiutino determinati maschi), univoca e non opinabile, corrisponde alla cosiddetta “sezione aurea” (presente anche in opere architettoniche, tra cui il Partenone), questa, unitamente ad altri segnali che indichino comunque salute fisica ed assenza di difetti genetici (esperimenti su animali indicano chiaramente che i maschi rifiutati risultano tendenzialmente portatori di svariati difetti nel DNA).
D’ altra parte anche la Natura – e qui ognuno può immaginare chi vuole – ha predisposto che la continuazione delle specie – tutte – passi attraverso una sorta di fascinazione, di attrazione irresistibile, e non parlo dell’attrazione tra sessi diversi, ma delle forme particolare di cui sono dotati i piccoli, cioè i cuccioli, ossia quell’arrotondamento delle forme, quell’impaccio irresistibile dei movimenti, quelle espressioni particolari che suscitano nei genitori un particolare senso di tenerezza e protezione che aiuta i piccoli stessi ad essere sopportati ed amati. Tutto questo corrisponde evidentemente a canoni predisposti e condivisi, basti pensare che la stessa tecnica è utilizzata con successo da chi produce peluche e cose del genere.
Bellezza e gusto dell’osservatore sembrano termini inscindibili, in quanto concepire una bellezza indipendente da un qualche osservatore che stia lì per goderla, equivale a pensare ad un dipinto bellissimo dimenticato in una cassaforte da decenni. Oppure ad un fiore che cresce in mezzo ad una foresta invalicabile da umani ed animali (mancando un osservatore, esiste allora la bellezza?). Tali oggetti possono essere senz’altro concepiti, ma mancano del tutto di quel carattere di interazione pratica (di azione e reazione) con un’intelligenza percettiva, che tendenzialmente riconosciamo al “bello”
“Mentre era seduto un giorno nella sua stanza, i suoi occhi caddero su un piatto di peltro lucidato, il quale rifletteva la luce del sole con un tale meraviglioso splendore che egli cadde in un ‘estasi interiore, e gli sembrò di poter scorgere i principi e il fondamento più profondo di tutte le cose. Dapprima credette trattarsi di un ‘illusione, e per bandirla dalla sua mente uscì nel verde. Ma qui si accorse che poteva vedere il cuore delle cose, i fili d’erba e il prato, e che la natura si armonizzava con ciò che egli aveva visto dentro di sé. Non disse nulla a nessuno, ma lodò e ringraziò Dio in silenzio. ” (Martensen, H.L. Jacob Boehme: his life and Teaching).