MASSONERIA E T V

Massoneria e TV

di Elio Ambrogio

Può succedere, durante una tranquilla serata, di assistere ad una trasmissione televisiva sulla Massoneria in Italia, e subire sgradevoli impressioni nonostante la familiarità e la piacevolezza dei temi trattati.

Sabato 17 maggio 1997, RAI 2 mette in onda “Non solo logge”, inchiesta sulla Massoneria nazionale confezionata in modo molto anigianale, con un’inflazione di luoghi comuni e di banalità veramente impressionante. Solo parzialmente I ‘intervento in studio di tre autorevoli gran Maestri Franco Franchi, Virgilio Gaito, Giuliano Di Bernardo — contribuisce a salvare la verità dell’istituzione massonica nel nostro paese contro una ricostruzione giornalistica dilettantistica e faziosa. Il filmato sostiene la tesi che la Massoneria italiana è profondamente coinvolta e avviluppata nelle trame mafiose, camorristiche, affaristiche, sovversive che hanno avvelenato la vita italiana negli ultimi decenni.

Nessun approfondimento critico su quello che la Massoneria ha rappresentato e rappresenta nella storia della civiltà occidentale e del nostro paese. Nessun tentativo di comprendere il fatto che la Massoneria è qualcosa di diverso dalla lotta per la spartizione del potere che, sola, sembra interessare il giornalismo italiano. La Massoneria è notizia giornalistica solo se legata alla lotta per il predominio politico, economico, criminale.

È dunque necessaria’ una nuova impostazione del problema. I gran Maestri — incisivo ma purtroppo limitato dalla logica televisiva Franchi; assente e teatralmente ieratico Di Bernardo, esitante, Gaito — si sono visti sottrarre dalla filosofia mediatica della TV l’occasione per riaffermare potentemente la assoluta originalità e la meravigliosa progettualità culturale della Massoneria. Non si è certo trattato di mancanza di abilità e professionalità dei gran Maestri, ma piuttosto della prevaricazione di una struttura-spettacolo che, nella televisione, è divenuta la costante e dittatoriale signora di ogni tipo di trasmissione. Se vai in televisione, devi adattarti a venire schiacciato dalla brevità, dalla semplificazione, dalla banalità, dall’interruzione tollerata, spesso suscitata, dalla impossibilità di comporre un discorso compiuto e logicamente argomentato. Tutto deve essere alla portata intellettuale dello spettatore, soprattutto di quello più modesto. Sono vietati ogni approfondimento, ogni complessità di pensiero, ogni spiegazione articolata, perché lo spettatore può non capire, ma — molto più frequentemente — perché è lo stesso conduttore a non capire.

Ora, ci si può chiedere: perché partecipare a simili trasmissioni quando si è ben coscienti che la complessità e la poliedricità dell’esperienza massonica non possono venire banalizzate e volgarizzate in pochi e frettolosi minuti di trasmissione popolare e divulgativa? Perché parteciparvi quando si sa bene che non si potrà mai rievocare dinnanzi alle telecamere il miracolo della comprensione del simbolo, del rituale, dell’atmosfera massonici? Perché sottoporsi inutilmente all’aggressione dei media quando si sa bene che la voce sottile e pervasiva della tradizione massonica parla solo nella penombra dei templi?

Sicuramente le autorità massoniche hanno il dovere di propagandare il fatto politico della legittimità e della positività dell’istruzione liberomuratoria, ma hanno anche il dovere di valutare l’efficacia del messaggio affidato ai media, altrimenti si rischia l’insuccesso. Non va mai dimenticato che, in Italia, la Massoneria si muove sempre e comunque, anche oggi, in un ambiente pregiudiziale, se non apertamente ostile. Nonostante tutti i nostri sforzi, la società italiana non sa ancora apprezzare il messaggio di libertà spirituale e politica che la Massoneria universale ha diffuso in tutti i paesi civili.

Anche monsignor Bettazzi, ospite illustre della controparte ecclesiastica, ha ceduto allo spirito del tempo, com’è costume di una certa chiesa contemporanea, astenendosi da una radicale critica dottrinale sulle divergenze morali, spirituali, culturali fra quell’istituzione religiosa e la Massoneria, ma limitandosi genericamente e banalmente ad una critica di “scarsa democraticità” e di “scarsa trasparenza” nei confronti delle nostre associazioni muratorie.

Erano certamente più virili e biecamente ma grandemente minacciosi gli anatemi della Chiesa di un tempo, chè almeno aveva il

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coraggio di una condanna netta e spiritualmente forte. E bello, con la Chiesa, divergere o convergere, ma sul piano dei grandi temi spirituali e culturali, non sulle piccolezze della “trasparenza”.

La Massoneria italiana deve uscire dal limitato dibattito sulla sua democraticità, sulla sua legittimità sociale, sulla sua rispettabilità istituzionale. Il discorso puramente di “immagine” è un discorso che diminuisce la sua grandezza storica, culturale e iniziatica. Nulla vieta che ci si batta per una legge sulle associazioni, per il rispetto del principio secondo cui la responsabilità penale è personale e mai “associativa”, per il diritto alla riservatezza come fatto assolutamente conforme ai principi dell’ordinamento giuridico, per il principio di assoluta legittimità della visione massonica in campo morale, spirituale e — perché no? — politico della società. Ma non dobbiamo mai dimenticarci che noi siamo portatori di una civiltà esoterica e civile di alto livello e che su quei principi deve avvenire il dibattito coi medu, non sul singolo massone “deviato” che vive alla periferia e al margine della nostra provincia muratoria, e che certamente può esistere, come esiste ed è esistito il “deviante ln tutte quelle istituzioni le quali da noi pretendono un’ impeccabilità che non sono in grado di garantire a sé medesime.

Un grazie al gran Maestro Franchi per l’equilibrio e la serenità con cui ha affrontato il dibattito e anche a certe sue aggressività che non dispiacciono in chi deve difendere un prezioso patrimonio comune, il nostro patrimonio.

Un solo suggerimento, certamente col senno di poi. Alcune domande che vorremmo rivolgergli, e su cui non è escluso che possa nascere un dibattito futuro. Domande sicuramente non informate al “buonismo” contemporaneo ma che forse contengono in embrione qualche verità.

— Perché abbandonare il tema dell’Opus Dei? Chi moralizza e predica su “trasparenza” e “democraticità” deve essere assolutamente trasparente e democratico. Certo, la cortesia e l’educazione del Gran Maestro hanno prevalso sulla volontà polemica. Resta il fatto che monsignor Bettazzi, assai disinvoltamente, ha eluso la domanda molto diretta del Gran Maestro Franchi, che meritava sicuramente risposta, e che tutt loggi la attende.

— Perché non affermare con forza un fatto indubbiamente vero, e cioè che il Grande Oriente di palazzo Giustiniani ha comunque concepito nel suo seno e nutrito la Loggia P2 di Licio Gelli, salvo poi dichiararne l’illegittimità e l’estraneità nel momento in cui essa finì inquisita dai poteri dello Stato? Sia il gran Maestro Gaito che il gran Maestro Di Bernardo non erano probabilmente piccoli apprendisti negli anni ’70, quando Licio Gelli percorreva il suo cammino massonico nel Grande Oriente.

L’unico fatto indubitabile è che la Gran Loggia di piazza del Gesù era e resta totalmente altra cosa rispetto a quel fenomeno.

— Perché non rivolgere alle competenti autorità (Consiglio superiore della Magistratura, Ministro della Giustizia, Procuratore generale della Cassazione, Presidente della Repubblica) il seguente interrogativo: quanti massoni sono stati condannati, dopo anni e anni di inchieste parlamentari e giudiziarie, per reati “massonici”, reati cioè realizzati grazie all’appartenenza ad una loggia? Quanti sono stati rinviati a giudizio dal procuratore Agostino Cordova per gli stessi motivi? Per quanti massoni è stata provata giudizialmente una responsabilità penale derivante dalla frequentazione dei templi muratori in Italia? Se le cifre saranno consistenti potrà essere ammessa una sorta di “corruzione ambientale” esercitata dalla Massoneria sui suoi appartenenti, ed essa dovrà essere sciolta in quanto associazione tendenzialmente delinquenziale. Ma se le cifre saranno esigue o nulle lo Stato dovrà riconoscere onestamente di aver sprecato una quantità immane di risorse pubbliche per inseguire i fantasmi che popolano la mente di alcuni politici e di alcuni magistrati. E sarebbe consolante, anche se impossibile, pensare di trascinare questi cacciatori d’ombre d.innanzi alla Corte dei Conti per far loro risarcire il danno erariale provocato con le loro inutili e personalistiche indagini.

— Perché non sfruttare la nuova legge 675/1996 sulla tutela della “privacy” per chiedere alle autorità quali e quanti nominativi di massoni italiani sono archiviati nelle banche dati dei ministeri competenti, delle forze di polizia, dei servizi segreti? Non dimentichiamo che l’appartenenza alla Massoneria, implicando convinzioni morali, etiche e religiose, può essere alla base di cosiddetti “dati serisibili”, cioè da8

ti per cui può appunto scattare il diritto alla tutela della “privacy”. Si potrebbe continuare all’infinito, ma forse tutte queste proposte configurerebbero un indebito coinvolgimento dell’Obbedienza in una polemica politico-istituzionale che non le gioverebbe. Si comprendono anche benissimo le ragioni di opportunità che possono indurre i massimi governanti di essa a non proporre con enfasi o aggressiVità certi temi. Restano comunque individuati alcuni punti nodali della nostra “politica obbedienziale” che non possono essere elusi e su cui non sarebbe inopportuno aprire un confronto ad un tempo culturale e istituzionale. Anche a rischio di qualche divergenza che, se è inopportuna oltre le colonne del tempio e in quello spazio iniziatico e atemporale che è la loggia, può essere invece assai produttiva sulle pagine delle nostre pubblicazioni e nei dibattiti dei nostri organi decisionali. Per amore almeno di democrazia e di trasparenza, anche se non proprio per amore di monsignor Bettazz

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