MASSONI DENTRO E ATTORNO MONTECITORIO

  Alessandro Mola

MASSONI DENTRO E ATTORNO MONTECITORIO

La presenza di massoni nei due rami del Parlamento sin dal passaggio fra Regno di Sardegna e Regno d’Italia è realtà acclarata. Manca però uno studio che indichi in modo incontrovertibilmente documentato il loro curriculum di loggia. Da un paio d’anni si è aperta una sorta di gara tra volumi, articoli e tesi di laurea, corrivi a pubblicare serie di parlamentari e alti dignitari della Terza Italia sotto l’indistinta insegna di ‘massoni’. Si tratta di repertori che poco agoiungono a quanto già si sapeva. E le aggiunte in alcuni casi risultano destituite di fondamenta documentarie. Tali repertori, ad ogni rnodo, non soddisfano la domanda storiograficamente preminente: quanto l’iniziazione e/o l’ affiliazione a questa o quella loggia abbia effettivamente condizionato — o persino dettato — l’azione politica di quei “massoni di lusso”. Prima che sorga un novello Luzio, costretto dall ‘esorbitante pretesa di massonizzazione universale della storia politico-istituzionale, va ricordato che nel quadro politico globale i massoni incisero, quando incisero, per la quota ricoperta (ma spesso si divisero anche su questioni di peso, quali il trasferimento della capitale da Torino a Firenze).

Anche più controversa rimane però la quistione centrale: se la condotta parlamentare dei deputati e senatori affiliati sia effettivamente dipesa da direttive di singole Officine liberomuratorie o di poteri apicali delle diverse Obbedienze d’ascrizione.

La presenza di massoni, soprattutto alla Camera dei Deputati, va però oltre l’assemblea e al governo che da Felice Cavallotti (bene informato anche per la sua giovanile appartenenza all’Ordine. ora provata in via definitiva da Cristina Vernizzi) in polemica con il ‘fratello’ Crispi venne marchiato come “conclave di 33”.

Forte di raffinata cultura storico-giuridica e di decenni trascorsi all’interno di Montecitorio, Mario Pacelli, docente di Istituzioni di diritto pubblico al]’ Università “La Sapienza” di Roma, propone or.a “storie sconosciute” di più reconditi ed efficaci intrecci fra l’ “universo” parlamentare e il mondo delle logge, con particolare attenzione per la presenza di massoni in servizi solo apparentemente secondari: la verbalizzazione delle sedute, i diversi ‘uffici’ e, soprattutto, la Segreçria generale della Camera, che d’altronde non poté certo rimanere impermeabile alla qualità massonica dei parlamentari susseguitisi alla sua presidenza, o per diretta appartenenza all’Ordine (valgano i casi di Tommaso Villa, Francesco Crispi, Michele Coppino, Giuseppe Zanardelli, Domenico Farim…) o per legami parentali con massoni notori (fu il caso di Urbano Rattazzi, la cui affiliazione rimane da documentare, mentre è provata quella del suo congiunto, Giacomo).

Vera messe di aneddoti gustosissimi, accenni illuminanti e giudizi appropriati, il saggio di Pacelli, frutto di quarant’ anni di ricerche, ci conduce dal nonagenario Filippo Delpino, capostcnografo della Cannera subalpina e cofondatore della loggia “Ausonia” (non “Aurora”) I ‘8 ottobre 1859, a Francesco Cosentino, il segretario generalc della Camera assiduamente frequentato dal “dottor Luciani”, ovvero da Licio Gelli.

Asceso al governo. Benito Mussolini rinviò lo scontro diretto con le due principali Comunità massoniche dell’epoca (il Grande Oriente d’Italia e la Gran Loggia, dalla sua seconda sede maliziosamente detta “di Piazza del Gesù”), conscio che fra gli stessi gerarchi parecchi erano transitati in loggia, conservando legami conseguenti. Nel 1925 — quando il Parlamento venne piegato ad approvare la legge sull’appartenenza dei pubblici impiegati ad associazioni. nota come “legge contro la massonena” — l’offensiva non poté esserc rimandata e culminò nell’inchiesta sul personale di Montecitorio. Lo stesso segretario generale, Camillo Montalcini, era sospettato di massonismo. Non si trovò, tuttavia (né sono state reperite ad oggi) prove di sorta a suo carico. Effettivamente massoni risultarono solo funzionari di seconda o terza fila, vulnerabili per piccole inadempienze o lievi abusi di potere. L’ “inchiesta” non si tradusse quindi affatto in epurazione generalizzata e lo stesso Montalcini venne elogiato e proposto Segretario generale onorario. Fosse o meno massone, andava rimosso perché organico allo stile liberale, ormai sconfitto. Gli subentrò Aldo Rossi Merighi. “Il regime era veramente cominciato”. come lapidariamente conclude Pacelli, il quale però attribuisce talora qualità di massone a chi, per quanto non si sa. non solo non lo fu affatto ma anzi prese ripetutamente le distanze dall’Ordinc. E il caso — tra altri- di Giovanni Giolitti, da Pacelli classificato perentoriamente massone, accanto a Giuseppe Marcora (p.65).

Del pari è lecito dubitare che il mancato arresto di Dino Grandi sia dovuto alla triangolazione massonica fra lui, Ubaldo Cosentino e Vittorio Emanuele Orlando. L’ iniziazione del “presidente della Vittoria” al momento è avvalorata da mera tradizione orale; di Ubaldo Cosentino non v’è traccia nella matricola generale dell’Ordine, che annovera anche gli iscritti alle riservatissime logge “propaganda massonica” di Torino (alla quale nel 1925 venne aggregato Guglielmo Ferrero) e di Roma. Quanto a Dino Grandi è certo che intrattenne rapporti strettissimi con massoni notori e ne condivise talora l’animo. Anche la sua iniziazione (all’una o all’altra Obbedienza) al momento rimane però una mera IPOtesi in attesa di prove convincenti.

Talvolta agli studiosi più avveduti accade quanto avviene per gli osservatori prevenuti. Di scorgere presenze, tracce, segni massonici anche nelle decorazioni più ovvie. E’ il caso delle ‘stelle’ ora presenti nella pavimentazione di Montecitorio di Piazza Montecitorio e che si aogiungerebbero ai “simboli massonici. ..profusi in abbondanza all’ interno dell’edificio”, come lamentato dall’ “Avvenire” (p. 197). In realtà non v’è prova alcuna di iniziazione all’Ordine di Davide Calandra, al quale si deve il solenne bronzo retrostante il seggio presidenziale (antimassone, semmai) né di Aristide Sartorio, a differenza, invece, di Giuseppe, iniziato alla “Pietro Micca —Ausonia” di Torino nell’età di Lemmi, quando si affermò quale “scultore dell’epopea risorgimentale”

Il succoso saggio di Pacelli. sorretto da solida erudizione, offre molteplici spunti di ulteriore ricerca e induce infine a porsi una domanda centrale: perché, se davvero sian mai giunti sulla soglia di esercitare tanta influenza sul Parlamento. i massoni non sian riusciti né a varare una legge sulle associazioni a propria tutela né, almeno, a uniformare le aule al modello della loggia, scartando l’emiciclo: fatale progenitore di convergenze al centro, fomite di compromessi e, talora. di giochi alchemici dagli esiti devastanti.

MARK) PACELLI, Interno Montecitorio. Storie Sconosciute, Milano, Franco Angeli, 2000 pp. 198 Lit. 38.000.

MASSONI ANTIFASCISTI

Getta nuova luce sui nessi tra antifascismo militante e massoneria fedele ai suoi principi fondativi il succoso e documentatissirno saggio di Mimmo Franzinelli “Nel retrobottega della polizia fascista”, anteposto alla nuova edizione di “Una spia del regime”: il ‘memoriale’ scagliato da Ernesto Rossi contro la spia prezzolata che allestì la provocazione ai danni di “Giustizia e Libertà” e, ancor più, contro il tartufismo dell’Italia postfascista.

Acuto esploratore degli archivi di polizia, come prova il robusto volume • ‘I tentacoli dell’Ovra. Agenti, collaboratori e vittime della politica fascista” (parimenti edito da Bollati-Boringhieri,Torino, 1999) ma anche sensibile alle diverse correnti dell’Italia laicista, anticlericale e, perché no?, massonica, Mimmo Franzinelli confer»a la quasi completa coincidenza. nella prima fase, tra i militanti attivi in Italia nelle file di “Giustizia e Libertà” e la rete clandestina di ITIassoni rimasti attivi malgrado la persecuzione esercitata dal regime e l’ ordine di autoscioglimento delle logge impartito dai grandi maestri delle due Obbedienze (uno dei quali, Raoul Palermi, venne indicato poi al soldo dell’Ovra: Opera Volontaria di Repressione dell ‘ Antifascismo). Vicenda, questa, che va molto oltre le dimensioni del “fatto personale” e investe aspetti centrali della storia della massoneria in Italia, neppure sfiorati da Angelo Livi nel volume di cui riferiamo in questo stesso fascicolo.

Nell’ambito della ricca messe di documenti prodotti in appendice, Franzinelli pubblica numerosi elenchi di massoni impegnati nella cospirazione contro il regime (a Milano, Padova, Udine. . .). Si tratta di una importante base di partenza per una ricerca ulteriore, anche sui rapporti tra quei nuclei, i massoni dell’esilio (sui quali rinviamo al nostro saggio sul Grande Oriente d’Italia, 1930-1938, pref. di Armando Corona, Roma, Erasmo, 1983) e le Obbedienze estere. Valga, quale spunto. il post scriptum del rapporto redatto da Vezzari sulla base delle informazioni fornitegli da Carlo del Re circa la collaborazione tra Giordano Viezzo]i (poi caduto in difesa della Repubblica di Madrid) c Ramon Franco. massone, fratello del più celebre Francisco, il “caudillo” di Spagna. acerrimo persecutore dei massoni.

Risulta altresì confermata la permeabilità della rete massonica da palte di figure poco commendevoli: rari, ma micidiali, sia sotto il profilo delle ripercussioni pratiche dei loro tradimenti ai danni dei “fratelli”, sia per la credibilità dell’ istituzione: codesta è però un’esperienza vissuta dal mondo settario italiano nel Settecento, come durante la restaurazione e in molti impervi tornanti della Terza Italia. quando la massoneria risultò divisa per motivi politici e, talora, per ragioni noeno nobili e ideali.

Un interrogativo rimane senza risposta; né era compito di Franzinelli darla, giacché il tracciato di questo suo lavoro ha altri intenti. Quei massoni militanti nella cospirazione antifascista e inclini anche all’uso di armi per destabilizzare i pubblici poteri a quale titolo agivano? La responsabilità delle loro imprese e i principi ispiratori loro soggiacenti potevano e possono essere attribuiti al gran maestro confinato a Lipari. Domizio Torrigiani, o a quelli susseguitisi (sino al 1932 come aggiunti, poi da effettivi) alla guida della massoneria italiana in esilio?

E quanto l’una e gli altri condizionarono la rinascita liberomuratoria del 1943-45?

Riteniamo sia venuto il tempo di indagini prosopografiche che, attraverso i profili del più ampio numero possibile di protagonisti, consentano di individuare linee generali di comportamento e capire cesure e continuità: che son poi quelle, più in generale,  storia italiana, tuttora rabberciata a seomenti e a spezzoni, senza un filo conduttore davvero unitario e capace di condurre, con una rigorosa e convincente spiegazione, alla comprensione che è anche sinonimo di autentica pacificazione nella verità.

Ernesto Rossi, una spia del reginze

Nuova edizione a cura di Mimmo Franzinelli, Torino, Bollati Boringhieri. 2000, pp. 396, Lit. 55.000.

L’IDENTITÀ MASSONICA, OLTRE LA CRONACA

Dobbiamo al cinquantenne Natale Mario Di Luca, professore associato presso l’ Università “La Sapienza” di Ronna e condirettore della giovane e già autorevole rivista di esoterismo “Arkete” un saooio che conduce oltre i confini sinora attinti dalla massonografia italiana. Come del resto evidenzia Mariano Bianco nella prefazione, Di Luca ha il pregio di porre al centro della sua ricerca un problema di metodo: evitare la riduzione della Massoneria a mero fastello di ‘fatti’ , di vicende biografiche di questo o di quell’ affiliato, di travagli delle sue varie denominazioni storiche e verificare, nel tempo, la reciprocità fra vicende politicosociali e contenuti propriamente esoterico-iniziatici. La Massoneria — emerge dall’opera in discorso, che vivamente raccomandiamo ai lettori — ha una sua peculiarità specifica: sintetizzata da Bianca nel “fattore G” cioé nel suo fondamento noumenico, nel fattore noetico e in quello di ‘regolarità”. Perciò — come ancora scrive Bianca — il sagoio apre “un filone”, che evita la riduzione della storia della Massoneria a puro e semplice racconto parapolitico (e, fatalmente, di politica “all’italiana’ quando si tratti di cose nostrane: e quindi di conflitti tra partiti o correnti di partiti).

Inevitabile, perciò, che Di Luca giunga ad avanzare interrogativi sulle conseguenze propriamente massoniche di taluni aspetti dell’assetto istituzionale della Libera Muratoria in Italia. “11 conferimento al solo gran maestro del potere di rappresentare l’Ordine nelle sue manifestazioni esterne — egli scrive — fa sì che l’identificazione tra lo stesso gran maestro e la ‘politica’ dell ‘Ordine sia pressoché totale”; al tempo stesso, però, “l’attribuzione di una precisa identità alla massoneria italiana sulla sola base delle pubbliche dichiarazioni dei grandi maestri o attraverso l’esame dei contenuti apparsi nelle sue pubblicazioni ufficiali non è ( … ) procedimento sicuro ed esauriente, anche se probabilmente è l’unico valorizzabile in sede storica”. Occorre saper guardare al “volto sommerso (…) che è quello certamente più autentico delle sue logge e della loro vita interna, ricchissima di individualità e  pur in sintonia con una “società nazionale” i cui “scossoni tellurici” si sono ripercossi sulla vita dell’Ordine. Accuratamente annotato’e arricchito da una bibliografia ragionata di buon livello, il saggio dedica attenzione anche all’ultimo ventennio, formulando giudizi severi sulle vicende del 1 993. Sintetica ma densa ed equilibrata è l’informazione anche su “gli eredi di Saverio Fera”

NATALE MARIO Dr LUCA, La Massoneria. Storia, Illiri e riti, prefazione di Mariano Bianca, R01na, Atanor, 2000, pp. 250. Lit. 28.000.

ANCORA SU MASSONERIA E FASCISMO

I rapporti tra massoneria e fascismo furono “una vicenda tragica ed intricata”, conie bene scrive Luigi Alfieri, ordinario di filosofia politica nell’Universi(à di Urbino in prefazione ad un saogio che ha il pregio di produrre copiosa documentazione anche in anastatica. E il caso della lettera a Mussolini, con la quale Italo Balbo, Comandante generale della Milizia Nazionale respinse l’addebito, assolutamente fondato, di affiliazione massonica. Benché si tratti di cosa nota da tempo, la duplicazione dell’originale aggiunge freschezza e irnmediatezza al documento.

L’autore del saggio, il sociologo Angelo Livi, ripercorre la lotta di Mussolini contro la Massoneria da quando il futuro “duce del fascismo” era capo dell’ ala massimalistica del Partito Socialista Italiano. Livi non tace certo che alcunc tra le tappe fondamentali dell’avvento del fascismo videro in prima fila afTiliati dell ‘una e del] ‘altra Comunità massonica italiana. E il caso della celebre riunione di Piazza San Sepolcro. Ma anche la marcia su Roma del 28 ottobre 1 922, prelusa da una riunione a Torre Pellice, folta di massoni (1 7 ottobre), contò parecchi ‘fratelli’ in primissima fila, come poi la “sfilata” che festeggiò l’insediamento di Mussolini a capo del governo.

Il volume costituisce dunque una cronaca onesta c sorretta da buona informazione. Essa evidenzia l’abbaglio che, pur con differenze di accenti e di tempi, condusse entrambe le Obbedienze ad assecondare o a non ostacolare l’ascesa di Mussolini. Va però detto che le•responsabilità dei massoni risultano minime rispetto a quelle dei partiti i cui parlamentari votarono a favore del governo (e lo fecero molti liberali. il partito popolare di De Gasperi e Granchi, i demosociali di Colonna di Cesarò, parecchi ex radicali…) e a quelle di socialisti (inüferenti dinanzi al crollo dello “Stato borghese” e incapaci di capire che il declino delle libertà impoveriva tutti) e comunisti (inclini a vedere nel fascismo una scorciatoia verso la “rivoluzione rossa”).

Livi pubblica integralmente la relazione della Commissione d’inchiesta, presieduta da Raffaele Paolucci, sul personale e sui servizi della Camera dei Deputati, volta a individuare e a emarginare i massoni (la stessa di cui si occupa Mario Pacelli in “Interno Montecitorio”, di cui riferianw in questo stesso fascicolo). Le conclusioni dell’inchiesta concorrono a rispondere al quesito ricorrente sulla sorte toccata alle molte decine di migliaia di massoni attivi e quotizzanti in Italia nel 1925, cioè all’autoscioglimento delle Obbedienze di Palazzo Giustiniani e di Piazza del Gesù. Mentre la maggior parte dei funzionari. impiegati e addetti di quello che a lungo era e sarebbe stato dipinto quale “covo di massoni” andò indenne da rilievi, anche nei pochi casi sui quali la Commissione si fermò con maggior severità alla antica militanza “tra le colonne” venne contrapposta l’ ‘ opera apertamente fascista” professata da chi era documentatamente massone o creduto tale. Emblematici furono quelli del direttore dell’Ufficio, commendatore Monnosi, già segretario del Grande Oriente d’Italia, nei confronti del quale non venne chiesto alcun provvedimento, e del cav. Caciolli e dei “17 commessi aggiunti. iscritti alla Massoneria di Passa del Gesù (loggia “Patria e Lavoro”, da cui SI sono dimessi in varie epoche, ma tutti prima che la legge ‘contro la massoneria’ fosse votata)” e che dichiararono, creduti, d’essere entrati in loggia su sollecitazione di “alcuni sottosegretari di Stato dello stesso rito’ .

La maggior parte dei massoni sino a poco prirna attivi e quotizzanti rimase al proprio posto, a prezzo – e neppure sempre – di sbrigativi “atti di contrizione”: della cui sincerità i fascisti finsero appagarsi giacché sapevano bene d’essere numericamente minoranza esigua e di dover quindi ricorrere al sostegno di chi già era all ‘ interno dello Stato per giungere ad impadronirsene appieno.

Nell’insieme la vicenda assume dunque i colori di una gigantesca dimostrazione d’ipocrisia e di conformismo, di doppiogiochismo e riserve mentali: una avvilente sceneggiata dalla quale neppure vents anni dopo tanti italiani uscirono, pronti ad una seconda recita: quella della pretesa ‘innocenza’ da ogni collusione con il regime, l’ostentazione di virtù due volte perdute e sulla cui palude di menzogne e compromessi mise inconsistenti basi il ‘sistema’ seguente, che di repubblica ebbe il nome, non la virtù.

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