I TRE CATTIVI COMPAGNI

TRE CATTTIVI COMPAGNI

I tre cattivi compagni

Venerabilissimo, Rispettabili Fratelli Maestri,

“Cosi mori Hiram. Cosi deve morire il Compagno d’Arte per rinascere Maestro” Con queste parole si conclude la narrazione simbolica della morte di Hiram secondo il Rituale. Egli fu ucciso da tre cattivi compagni i quali “insoddisfatti della loro paga’ desideravano accedere con qualunque mezzo ai privilegi che, secondo l’ottica limitata del loro grado, erano prerogativa della Maestria,

Fanatismo, Ambizione e Ignoranza sono i loro nomi, Regolo, Squadra e Maglietto, i loro strumenti, Gola, Petto e Capo, i punti del corpo di Hiram colpiti dai tre, Occidente, Mezzogiomo c Oriente, le tre “stazioni del sole” verso cui si aprono le porte del Tempio, i luoghi simbolici dove avviene l’aggressione.

Molto vi sarebbe da dire per sviluppare questo simbolismo complesso e ricco di corrispondenze; mi limiterò tuttavia ad alcune osservazioni che mi paiono di un ccrto interesse almeno al momento attuale.

I tre cattivi compagni rappresentano evidentemente tutto quanto impedisce o quantomeno ostacola, sia interionnente che esteriormente, il manifestarsi della Maestria. Provianmo a considerarli uno per uno.

Il compagno “Fanatismo”, armato di Regolo, è colui che, con la forza, vuole imporre come assoluta la propria visione relativa delle cose; incapace di vedere l’unità dietro alla moltcplicità pretende di estendere i suoi propri limiti alla verità stessa, Egli colpisce la gola, “luogo” di emissione della voce, pcrché deve interdire tutto quanto potrebbe opporsi alla “lettera” della sua legge (il Regolo) la quale diviene pertanto, non come gioco di parole, ma effettivamente, la “lettera che uccide”.

La componente di stolto idealismo che lo caratterizza e, in una certa seppur piccola misura, lo riscatta risulta peraltro assente nel compagno “Ambizione”. Questi non ha più in vista, anche se in modo distorto, il bene collettivo, ma agisce esclusivamente avendo in vista il suo vantaggio personale, quella affermazione individuale che ben corrisponde, del resto, agli aspetti negativi del Sole di Mezzogiomo.

Alla orizzontalità “gcncralizzante” del Regolo si aggiunge qui la verticalità “particolizzante” della affermazione volitiva dell’io sugli altri onde ottenere la Squadra, deterrninando una condizione nella quale il sopruso (non bisogna dimenticare che, avendo il termine ambizione anche un senso legittimo, è di ambizione prevaricatoria che si tratta qui o di “prevaricazione” tout court) può assumere connotazioni anche peggiori che nel caso precedente. Mentre il fanatismo tende alla negazione di quanto lo contrasta fino alla vera e propria soppressione, l’ambizione è piuttosto portata ad asservire ai propri scopi quel che rientra nel proprio raggio di azione; questi rinnega la vita, quella rinnega la libertà. A conferma di ciò, essa, con la Squadra, colpisce il petto il quale, con i suoi moti di espansione e di contrazione determinati dal respiro, rappresenta simbolicamente la libertà relativa concessa ad ogni essere creato per lo sviluppo delle possibilità che questi comporta.

I due cattivi compagni fin qui considerati minacciano comunque il corpo e l’anima dei loro avversari, il terzo invece, “l’Ignoranza”, si pone come obiettivo illusorio la soppressione dello Spirito e, armato di Maglictto, strumento necessario, se usato propriamente, a distruggere progressivamente i limiti che impediscono la visione della Luce, tenta, apparentemente riuscendovi, di uccidere la Luce stessa colpendo direttamente l’Occhio della Conosccnza, detto dagli indù l’Occhio di Shiva, al centro fra Ic sopracciglia.

Chiunque aspiri alla Maestria dovrà prima o poi scontrarsi con questi nemici, ma un fatto curioso è che, nella leggenda, dopo aver ucciso il Maestro, costoro paiono dileguarsi nel nulla senza incorrere nella giusta punizione per il delitto commesso.

La spiegazione di ciò potrebbe trovarsi in quclla “ambivalenza” simbolica la quale, poiché l’ottica esoterica rifiuta fondamentalmente la dialettica degli opposti “irriducibili”, sovente caratterizza la rappresentazione dei misteri ‘trasmutatori” (vi sono esempi del generc anche nel Cristianesimo dove, almeno nei primi tempi, il scrpente, a seconda del contesto, poteva rappresentare sia il Cristo, sia il Demonio).

Da questo punto di vista, abbastanza complesso, si può affermare che i tre cattivi compagni si esauriscono nel loro atto trasmutandosi poi nelle tre potenze che “unendo le propric energie” operano la resurrezione del Maestro, le tre Luci: Saggczza, Forza e Bellezza.

Da ciò può dedursi che, come nel simbolo estremo orientale dello Yin-Yang dove la macchia nera in campo bianco e quella bianca in campo nero indicano la presenza in ciascuna delle duc forze del principio dell ‘altra, i tre cattivi compagni altro non sono se non la connotazione oscura ed illusoria delle tre Luci e che la negazionc di essi permette “tecnicamente”, quasi cadesse una maschera, alle Luci stesse di rivelare il proprio vero volto e di operare la rigenerazione dell’anima.

In tal modo il fanatismo diventa “Epifania”, ovvero manifestazione esteriormente riconoscibile del Principio divino nel mondo, restando così, con il Regolo della vera Legge, la Pace e l ‘ Armonia, la prevaricazione diviene espressione attiva della volontà del Cielo che si impone sulle forze disgregatrici rappresentate dagli orgogli individuali e, rettificando con la Squadra, ripristina l’ordine perduto; infine l’ignoranza si trasmuta nel suo opposto, la Sapienza, per virtù del Maglietto, sulla peculiarità metodologica del quale vale la pena di spendere qualche parola. Si può dire infatti che la percussione del maglietto genera vibrazioni sacre o, si passi il termine, “shock” divini atti a provocare nell’anima delle progressive “illuminazioni”, come se i veli che nascondono “l ‘occhio del cuore” cadessero uno ad uno; questo potrebbe essere l’origine di certe misteriose “crisi” che di tanto in tanto toccano a ciascuno di noi e ci indurrebbero, non opponendovi la dovuta resistenza, ad abbandonare il campo o, meglio ancora, il “cantiere” di edificazione del Tempio.

Si può trarre giovarnento da questi insegnarnenti contenuti nel Rituale abituandosi ad una costante ricerca dei cattivi compagni dentro a noi stessi; il fanatismo con cui difendiarno i nostri pregiudizi profani anche contro l’evidenza, l’ambizione ad occupare posizioni che, per volontà del Cielo, non ci competono e che genera il veleno dell’invidia e soprattutto, radice e tronco pendenti, l’ignoranza che ci impedisce la visione, sulla Tavola da Disegno, del piano d’opera che siamo chiamati ad erigere in Nome e alla Gloria del Grande Architetto dell ‘Universo.

C’è da chiedersi, Rispettabili Fratelli Maestri, se sarebbe opportuno intensificare i nostri sforzi nella ricerca di quel che può significare oggi erigere un Tempio che, dato il carattere non confessionale della Muratoria, non può essere che universale. Certamente tale ricerca non sarà agevole, ritengo tuttavia importante non dimenticare che solo impropriamente noi definiamo come Tempio il luogo in cui ci ritroviamo pcr condurre i nostri lavori; più corretto in effetti è da considerare tale luogo come una “officina” nella quale si apprestano e si marcano le pietre destinate al cantiere ove, secondo un piano tracciato e non arbitrario, si deve erigere un Tempio per l’umanità nel quale regni la Pace illuminata dalla Gnosi e non più turbata dalla presenza minacciosa degli assassini di Hiram, ai quali non possono che essere riservate le tenebre esteriori.

A, Orlnd

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