Maguzzano
Maestro Venerabile, Fratelli carissimi,
Il Maestro Venerabile, avendo inserito nel programma dei lavori del secondo semestre di quest’anno una tomata dedicata alla relazione sulle giomate di lavoro di Maguzzano, ha voluto rendere in qualche modo ufficiale una esperienza, ormai triennale, che un gruppo di fratelli ha voluto e sta portando avanti nella convinzione profonda che lavorando sempre di più su se stessi si possa contribuire ad edificare templi alla virtù, scavare oscure e profonde prigioni al vizio e lavorare al bene ed al progresso dell’umanità.
Ora, probabilmente, io deluderò le aspettative del Maestro Venerabile e di quei fratelli che da me si attendono una dettagliata relazione sui lavori svolti in quei tre pesantissimi, oltreché bellissimi, giorni passati a Maguzzano.
Dopo aver tentato, attraverso l’esercitazione della memoria e la consultazione di appunti all’uopo predisposti, di ricostruire il senso di quanto ci si era detto in quei giorni di lavoro ln comune nella stanza messaci a disposizione all’interno dell’ Abbazia, o passeggiando a yuppetti nel parco, o a tavola mentre consumavamo il frugale pasto, o a sera quando stanchi ci si scambiava veloci pensieri nella quiete e nel silenzio; dopo aver tentato, dicevo, di ricostruire tutto questo mi sono reso conto, oltre che delle difficoltà intrinseche di mettere per iscritto una simile esperienza, anche della inutilità pratica di tentare una operazione siffatta.
D’altra parte nella nostra Officina abbiamo da tempo rinunciato a tracciare la tavola architettonica della precedente tomata in modo analitico e completo, risultando tale lavoro praticamente impossibile.
Inoltre Maguzzano è importante non tanto e non solo per i lavori che vi abbiamo svolto, ma, a mio modo di vedere, per il tentativo di integrare tali lavori in una giornata vissuta insieme.
Una continuità operativa che passava da momenti “importanti” alla semplicità di passeggiare insieme, del mangiare insieme, del vivere insieme.
Nel mondo profano, nel mondo del lavoro questo tipo di esperienza viene definita “full immersion” ed ha lo scopo di stimolare, attraverso l’apporto attento, prolungato e privo di distrazioni di tutti i partecipanti, la ricerca di soluzioni evincenti a problemi aziendali.
D’altra parte, consentitemi la battuta, è noto a tutti come anche Gesù Cristo impose la “full immersion” ai suoi apostoli ed il risultato è ben evidente a tutti.
Ma questo è un argomento che riprenderò più avanti volendomi soffermare un poco nella spiegazione di come trascorreva una nostra giornata.
Tutto ruotava intorno ai “lavori” che occupavano gran parte della mattinata, del pomeriggio e, talvolta, anche della serata. Mi riferisco ai lavori di “Gruppo”, molto simili ai lavori di Loggia, per modalità di conduzione e svolgimento, ma più “liberi” in quanto privi, naturalmente, della sacralità del Tempio. Questa maggiore libertà ha fatto emergere, più d’una volta, tensioni ed incomprensioni che, lungi da creare fratture tra i fratelli, hanno in definitiva contribuito a conoscerci ed a capirci meglio. Ho la sensazione che se Maguzzano fosse nata 15 anni fa si sarebbero potuti risparmiare
alla Pedemontana alcuni
dovuti probabilmente anche alla
mancanza di comprensione e conoscenza.
Collaterali ai lavori, anche se non meno intense, erano le pause che venivano utilizzate o per riposarsi o per formare piccoli yuppi che riprendevano, se possibile con più vigore, gli argomenti appena trattati.
Il tutto, come ho già detto, nella quiete e nel silenzio di un luogo bello, sobrio ed essenziale.
Orbene, cari fratelli, dopo questo sintetico flash sulla vita di Maguzzano vorrei esaminare con voi alcuni punti che stanno a cuore.
Il primo è un’analisi sui partecipanti: dopo tre anni di esperienza possiamo dire che intorno al nucleo iniziale di promotori sono mancate completamente ulteriori aggregazioni. Come se una parte dell’Officina rifiutasse aprioristicamente simile esperienza oppure la giudicasse non degna di sostegno ed attenzione.
E quindi necessario parlare di motivazioni ed obiettivi.
E naturale che io presenterò il mio punto di vista invitando già sin d’ora tutti i fratelli ad esprimere il loro.
La prima motivazione, per il sottoscritto, è stata quella di dedicare del tempo a se stesso, cosa sempre più difficile in questo mondo, in un contesto il più possibile iniziatico e non profano. Ed essendo il metodo massonico un metodo che unisce il lavoro del singolo al confronto col gruppo,
quale migliore soluzione poteva esservi di quella di dedicarsi a se stessi all’unisono con altri fratelli?
Questa sintesi, in realtà, si compie già il giovedì sera, ma, a parte il fatto dell’estrema ‘importanza” dell’occasione che, tra l’altro, impedisce un contatto più emotivo tra i fratelli, tale occasione è molto limitata risolvendosi in tre ore al massimo di comunione.
Ecco quindi l’importanza di trovare altri spazi, in assonanza con il nostro metodo, che aumentino le possibilità d’incontro e confronto tra i fratelli.
Occasioni di incontro e confronto che raggiungono un secondo importante obiettivo: CONOSCERCI MEGLIO.
Ora io sono perfettamente consapevole che la ricerca della Luce è conquista strettamente individuale e che la tomata in Loggia ha, tra gli altri, lo scopo di verificare, di mettere in discussioni convinzioni, supposte conquiste fatte dal singolo fratello nel suo lavoro interiore. Quindi, a rigore, non è affatto necessario che tra i fratelli debba esistere un sentimento di potendosi limitare il rapporto alla semplice frequentazione dell’Officina.
Non me la sento, però, di affermare che questo sia giusto.
L’equilibrio, l’armonia, la forza di una Loggia dipendono anche, a cagione soprattutto della nostra imperfezione, dal raggiungimento di una conoscenza reciproca che possa fare da zoccolo alle molte manchevolezze ed imperfezioni di cui tutti noi siamo purtroppo portatori.
L’amicizia aiuta a comprenderci.
Ma, noi lo sappiamo bene, questa è una nascita non sufficiente: da sola non basta, necessita una ri-nascita. Solo così può acquisire un vero valore ed un senso compiuto! Ciascuno di noi dev’essere antro di se stesso per ri-generarsi esattamente come fecero Mitra e Gesù Cristo.
Ed infatti 1a nostra Iniziazione ci fa passare dalla prova della TERRA, nel gabinetto delle riflessioni, immersi nel buio quasi totale, alla prova del FUOCO per ottenere la luce, motivo unico e dichiarato della nostra Iniziazione.
FINE E LA FINE.
Mitra alleato del Sole garantisce la regolarità del ciclo. Il Cristo annuncia un nuovo tempo, con nuovi cicli e nuove terre, dividendo di fatto la storia in prima e dopo di Lui.
cicli non hanno finalità, hanno solo un fine. Il finito è perfetto perché è compiuto, non lascia nulla fuori di sé: con la sua fine raggiunge il suo fine.
È la morte insomma che consente la nascita del nuovo, avendo’ distrutto la vecchia visione, ed appare qual giudice: un giudice che non destina, bensì ribadisce come un ritorno, facendolo così durare in eterno.
In questo ciclo non c’è attesa né rimpianto, non c’è pentimento o aspettativa, come ben possiamo immaginare. La regolarità del ciclo, dove niente può accadere che non sia già accaduto e tutto avverrà nel modo già previsto, ci dà la nozione del tempo: nozione per nostro uso, poiché il futuro è la ripetizione del passato, mentre il presente è il punto di equilibrio, quasi inesistente, che sottolinea e valorizza il passato ed il futuro. Si attende solo ciò che DEVE tomare!
Tutto questo prima di Cristo.
D’improvviso lo scorrere del tempo ed il passaggio degli esseri sulla terra acquista un senso diverso, nuovo. Con la nascita del Dio fattosi uomo il tempo non può più essere un non-senso e si parla di eternità, dando al termine il significato di fuori portata umana.
L’uomo cosi acquista una dimensione escatologica, delinea il concetto che la fine non coincide con il fine; il tempo che scorre diventa “la storia”.
Si può vedere il fluire del tempo come storia solo se, e in quanto, abbiano una visione escatologica, cioè una prospettiva dove il fine prevale sulla fine, e dando quindi al tempo, o meglio una direzione. Scrive Milan Kundera che il tempo non va visto come un cerchio, ma come una linea retta che ci porta in un punto ben preciso.
Alla fine si compie quello che all ‘inizio era stato voluto! !
La fine del tempo è l’Apocalisse, che significa s-velare, dis-occultare: l ‘ Apocalisse rivela quindi tutto il senso occulto del divenire del tempo, facendo VEDERE la storia nella sua piena luce, mentre finora era velata e senza un senso, per noi, comprensibile e compiuto.
RINASCITA.
Il futuro non dipende dall’uomo, ma al contrario è esso
che suggerisce ed irradia aspettative sull’Uomo. L’uomo allora vi proietta i
suoi sensi di colpa o comunque di negatività: forse per
questo motivo tutte le mitologie hanno il bene all’inizio dei tempi e ci fanno vivere il presente come nostalgia e/o attesa.
Nostalgia, che significa dolore (algos) del ritomo (nostos), ma non del ritorno ciclico del tempo e della natura, bensì del ritorno “in patria” che, solo, ci dà il senso del nostro vagabondare: viceversa c’è solo il dolore dell’attesa.
Dicevo delle mitologie primitive che fanno iniziare il tempo dal Paradiso Perduto, o Eden, o Età dell’oro e lo fanno terminare con il ritorno alla salvezza, o alla felicità e al non-ritorno.
Nel tempo ciclico I ‘Uomo ottiene qualche briciola di senso, ma con la visione escatologica pretende la TOTALITÀ DEL SENSO. Ma con esso troviamo anche la sconfitta dell’Uomo, perché il tempo ed il suo senso sono Dio. Ecco il significato di Apocalisse: fine del mondo, o meglio, fine del tempo e dello spazio umano.
Da questa visione nascono utopie e rivoluzioni!
Il Cristianesimo suggerisce la Triade colpa, redenzione e salvezza che nel “sogno” utopico vengono riformulati in passato (malattia), presente (decisione) e futuro (salvezza e felicità).
L’utopia pensa di eliminare tutti i mali con il controllo razionale degli effetti. La rivoluzione invece vuole semplicemente rovesciare e distruggere il MALE, sostituendolo POI con il BENE in modo, di solito, indefinito o molto approssimativo. Dopo ogni rivoluzione si fanno nuovi calendari, nuovi sistemi di misurazione, e subito. A differenza dell’utopia che ha davanti a sé tutto il tempo necessario, essendo un cambiamento PROGRESSIVO e non ESPLOSIVO.
Entrambe, utopia e rivoluzione, sono tutto sommato figlie del Cristianesimo e sono variazioni sul tema della salvezza. Esse sono concepibili solo se la storia ha “un” senso, una direzione univoca di marcia e non possono accettare un “tempo senza meta”.
L’occidente ha accettato questo modello e celebra, nel Natale, non tanto il ri-tomo quanto la ri-nascita, ovvero quanto il futuro può promettere.
[L NATALE CRISTIANO. DONI.
Al Cristo, nato nella grotta, i pastori portano in dono cose materiali o, come diremmo oggi, generi di prima necessità. 1 Magi, viceversa, portarono soprattutto beni “simbolici”.
Di tutto ciò non è rimasto ormai più nulla in quello scambio di doni che ci facciamo ora: oggi i doni sono delle sfide all ‘apparire o delle riparazioni o, ancora, un mercato degli affetti.
Ma, in fondo, che ciclicamente l’intera umanità, e non solo i cristiani osservanti, non riesca a rinunciare a questo stereotipo e che si senta ancora la necessità di questo simulacro di amore e di donare e che vi si aggrappi come un naufrago alla zattera è positivo, vuol dire che l’esigenza di DARE, anche senza contropartita, è ancora viva, anche se non eccessivamente sentita. Di questo però intendo parlarvene in una prossima tavola.
LA FESTA.
Emanata dal sovrano o addirittura dagli dei, un tempo la legge era sacra, escludendo dai propri effetti solo l’emanatore: motivo per cui a re e dei era tutto lecito, essendo al di sopra delle leggi. Sudditi e fedeli potevano partecipare a questa “liceità” durante la festa. Festa, quindi, perché si permette di evitare le leggi date. Ciò valse in special modo per la religione, che giunse persino ad introdurre il concetto di “festa comandata”!
Come interruzione della regola, anche il Natale è festa, intervallo, dove si celebra la *trasgressione e si infrange, in una prodigalità senza misura, la riserva di quei beni che erano stati raccolti e prodotti nei giomi di ciclo feriale. Oggi non è più così, a stretto rigore, ma è ancora rintracciabile il senso di ciò così come è facile rintracciare il filo logico e conduttore del DARE = RINUNCIA = GODIMENTO = ESPIAZIONE.
Potendo disporre di concedere la festa, l’autorità anticipa in piccola misura il godimento ed al tempo stesso rafforza la garanzia del futuro, possedendone i segreti e, volendo, ne spartisce i benefici: in sostanza noi sudditi godiamo non tanto della trasgressione festiva, ma dei potere dell’autorità; di chi, in particolari momenti, volendolo, sospende la legge e concede trasgressioni.
La festa, col suo dispendio quasi senza limiti, dà inizio al ciclo di produzione e sospende ed annulla il sacrificio. La festa allora non la si paga se non nell’idea che ogni godimento si paga non solo con la fatica necessaria ad ottenerlo, ma anche con il senso di Colpa inevitabile per espiare. Questo concetto lo troviamo, a ben guardare, in TUTTI gli insegnamenti (profani).
Il Tronco della Vedova è la possibilità che ci viene offerta, ad ogni tomata, di compiere questo dare, questo sacrificio. Ricordiamocene quando il fratello preposto passerà da noi a noi.
L’INNOCENZA.
Se vorremo distinguerci dai bambini che guardano al Natale con occhi innocenti, togliamogli provvisorietà ed inganno, facciamolo diventare veramente una fede universale e non solo un momento di semplicità ed innocenza!
Sappiamo bene delle difficoltà dell’uomo contemporaneo che disperatamente tenta di uscire dalla propria solitudine, che cerca l’Amore e la Fratellanza. Almeno per un giorno, Natale che non è certo nato per una confezione regalo o per l’esibizione di buoni quanto effimeri sentimenti, sforziamoci per vedere in questa festa l’Uomo, la sua storia e, perché no, anche il chiaro simbolo delle sue possibilità iniziatiche! !
E noi che siamo già rinati trasmettiamo all ‘umanità quel messaggio cui il singolo anela (e che smarrisce quando si trova tra i suoi simili) e che ci viene insegnato dalla nostra tradizione.
Fratelli, stiamo celebrando il solstizio d’inverno, con il Sole al suo momento apparentemente più negativo: con l’oscurità che predomina sulla luce. Ma noi ben lo sappiamo, presto la luce riprenderà poco per volta il sopravvento. E giustamente ne gioiamo! !
Diamo un senso concreto e pratico alla nostra Iniziazione portando all’estero, come segno tangibile della nostra buona volontà, il messaggio di cui è detentrice la nostra Istituzione e che abbiamo la fortuna di condividere.
E per questo che dico che “nascere non basta”. Ed il rinascere deve trovare applicazione.
Maestro Venerabile e Fratelli tutti, con questo il vostro fratello maestro A. Bgg vi porge l’augurio di un BUON NATALE!!
A. Bgg,