I PESCI CIECHI DI BAIDOA

I pesci ciechi di Baidoa

Maestro Venerabile, Fratelli carissimi,

“Vieni con me domani?” mi dice l’amico zoologo. “Vado a Baidoa a campionare i pesci ciechi per il mio museo”.

Eravamo a Mogadiscio nel 1978. Baidoa, per chi non Io sapesse, è un grosso villaggio, chc le recenti corrispondenze giornalistiche dalla Somalia hanno spesso citato, per la devastazione apportatavi da massacri e carestia. Allora era uno dei mille, sonnolenti villaggi africani: muri di fango, tetti di lamiera, mosche, capre, bambini nudi con l’ernia ombelicale.

Come sempre in casi simili, mi butto sull’offerta, e il giorno dopo prendiamo il Land Rover, e via. Nel frattempo l’amico mi aveva spiegato la faccenda. Nell’area di Baidoa ci sono tre pozzi, distanti tra loro qualche chilometro, nei quali si possono catturare esemplari di una rarissima specie, così rara che, se non sbaglio, è conosciuta solo lì. Si tratta di pesci che vivono nel sottosuolo, nell’acqua della falda freatica. Questo è possibile solo in una regione di fone carsismo, nella quale il sottosuolo è ricco di cavità tra loro comunicanti.

Sono pesci molto strani, grigi, bruttissimi, i quali per una ragione di adattamento hanno perso il colore e, soprattutto, la vista.

Raggiungiamo uno dei pozzi, profondo una ventina di metri, e scavato a mano con la stessa tecnica che era in uso nell ‘età della pietra; debelliamo un vecchio che voleva imporci un balzello, e ingaggiamo un bambino che senza problemi scende nel pozzo, cattura alcuni esemplari e ce li porta su. Missione conclusa, rientriamo a Mogadiscio e fine della storia.

Però i pesci di Baidoa mi sono rimasti in mente, e quindici anni dopo. chissà perché, una notte mi sono trovato a ripensarci.

Come è che si era sviluppata quella strana specie, con quei caratteri, frutto di mutazione genetica? Probabilmente, per un evento catastrofico. Migliaia di anni fa, alcuni esemplari di una specie che viveva in acqua dolce di superficie dovevano essere stati risucchiati nella cavità carsica a seguito di un crollo e, intrappolativi, dovevano essersi gradatamente adattati al nuovo ambiente.

Ho cercato di immaginare la vita associativa di quei pesci, e la loro cultura, dando per accettato chc abbiano l’una e l’altra. Gli uomini – anche uomini ciechi – possono amare, odiare, riprodursi, uccidere, pensare, giocare, angosciarsi, ricordare, Possono persino comunicare, o almeno così credono. Forse, allora, anche pesci ciechi lo possono.

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Immersi, come noi, in un fluido dal quale dipendono, come noi dispongono di mezzi di comunicazione precari, anche se bene adattati all’inganno.

Cosa c’è allora nella cultura dei pesci di Baidoa?

Si può pensare che vi sia anzitutto il ricordo della luce. Nei primi tempi dopo quella che potremmo chiamare “la caduta”, sia in senso letterale che metaforico, i pesci conoscevano l’esistenza della luce e di un mondo “delle idee”, se vogliamo così chiamarlo. Inizialmente, ne avevano una conoscenza diretta, mentre per le generazioni successive quel mondo e quel catastrofico evento dovevano aver assunto un carattere mitico. Nei primi tempi, non ancora perduta la vista, i pesci avevano nel loro cielo dei “soli” che erano le bocche dei pozzi. Si può pensare alle diatribe sul significato di tali soli. Complesse teorie elaborate da pesci di mentalità scientifica, in contrasto con la popolare, superstiziosa nozione di quei soli come scorci su un’Atlantide, un mondo perduto.

Più avanti, affievolitasi la vista fino a perdita completa, anche l’esistenza stessa di quei tre soli assunse carattere mitico. Il ricordo della luce era diventato un concetto purarnente intellettuale e speculativo, che qualcuno diceva di possedere, ma di non poter comunicare. Perfettamente adattati all’ambiente, i pesci ciechi non avevano più alcun desiderio di esplorare oltre i confini della falda freatica, ovvero di una prigione tutto considerato confortevole. Come nel mito platonico della caverna, forse qualcuno tra gli incatenati diceva che fuori c’è un altro mondo, e passava per pazzo.

O forse no. Non lo sapremo mai. Ho detto, cari pesci, carissimi Fratelli.

R. Scch,

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