PRASHANTI NILAYAM

Prashanti Nilayam

È il “porto della pace” secondo la traduzione del fr. M. Bianco ed è, se vogliamo essere immodesti, un Miasino un po’ più in grande. E, in fondo, la ricerca della pace interiore per aiutare a capirci ed a capire.

Prashanty Nilayam è un’oasi nell’India ed è un’isola dentro Puttaparthi, piccolo paese caoticamente e rumorosamente indiano con il suo mercanteggiare su ogni cosa, con i suoi derelitti sciancati che con il moncherino ti chiedono una rupia e con i bambini o giovanissime ragazze con un figlio in braccio che non ti chiedono più denaro ma un chilo di riso o una scatola di latte in polvere.

L’esperienza di parecchi viaggi in questa nazione ti porta anche a pensare che abbiano recepito quale sia il miglior tipo di messaggio che sia in grado di colpire in un modo nuovo l’emotività dell’occidentale. Chiedere del cibo che, venduto a prezzo maggiorato da un negoziante, viene restituito allo stesso dal questuante che così ottiene una certa quantità di denaro.

Ogni ipotesi è valida e in molti casi può essere così, però quando vedi che il ragazzino che ha avuto la scatola di latte in polvere viene assalito da una turba di suoi coetanei che cercano di strappargliela e, quando va bene, la scatola ha perso la fisionomia di un parallelepipedo, il dubbio si trasforma in certezza: esiste la vera fame e la fame rende violenti per naturale legge di sopravvivenza.

Perdi di colpo la certezza di aver fatto una buona azione dopo aver imparato a tue spese che i risultati della tua buona azione non erano certamente quelli che ti aspettavi e cerchi quindi di rientrare nell’ Ashram il più presto possibile.

Qui l’aria che pervade questo strano mondo lo rende estremamente distante da tutto ciò che c’è fuori dei cancelli che si chiudono fisicamente al resto del mondo alle 9 di sera, ora in cui tutti sono pregati di rientrare nelle proprie camere.

Anche se partecipi ad un gruppo, nell ‘Ashram sei solo, ti trovi solo con te stesso, ti misuri con te stesso. Vuoi sentirti libero di agire senza il condizionamento delle convenzioni sociali che, per pura e$eriorità, ti obbligano ad una convivenza con altri, sovente formale e fasulla.

E giusto e perfetto quando ti trovi in equilibrio di sintonia con altre persone che ti vivono vicino, siano essi famigliari o amici fratemi come, nel caso specifico, il fr. A. B. con la sua Luna.

Il silenzio è una regola ma non è un silenzio monastico perché quando si parla di silenzio in India (solo in India?) bisogna dare a questo termine un valore estremamente relativo.

Dice Sai Baba: “il silenzio non si riferisce puramente al tenere la lingua a freno. Non soltanto dovreste esercitare il silenzio nel parlare ma dovreste essere silenziosi nei pensieri. La vostra mente deve rimanere libera di tutti i pensieri. Questo è il vero silenzio.”

Per coerenza, nella mensa vi sono due file di tavoli dove vige il silenzio. Con un gioco di parole sulla pronuncia del termine inglese “silent” (stai zitto) sui cartellini che invitano al silenzio sta scritto “Sai-lent”, con un diretto riferimento al Sai di Baba.

Analogamente alle nostre comunità religiose, all’apertura della mensa viene richiesta al divino una benedizione con una invocazione in comune,

Poi, prima dell’inizio del pasto, molte persone, secondo una tradizione ormai persa nelle nostre case ma ancora viva, qualche volta, nella cultura contadina, hanno l’abitudine della preghiera di ringraziamento, nella propria lingua e nel proprio credo, per il cibo che stanno per assumere e che ne viene così santificato.

Appena fuori del perimetro dell’ Ashram, sul fianco della collinetta adiacente, si trova l’albero della meditazione dove si è certi di trovare, nel silenzio dei presenti, quella nuvola di pace che sovente si è cercata e che non sempre si è trovata.

In Prashanti tutto parla indiano. Non tanto la lingua (una delle lingue), quanto le cerimonie e i rituali che sono profondamente e logicamente segnati dall ‘induismo.

Non ci troviamo comunque di fronte ad una nuova religione ma ad un messaggio che Sri Sathya Sai Baba sta trasferendo con forza centrifuga attorno a sé.

Tutte le religioni sono valide al raggiungimento del divino ma al di sopra di tutte, e che le copre come farebbe una chioccia sopra le uova da schiudere, sta una sola religione, quella dell’amore.

E questa la chiave di lettura con la quale, quanto ho vissuto nell’Ashram, è opportuno sia recepito.

“Retti pensieri, rette parole, rette azioni”, Queste parole, che non sono appannaggio soltanto di Sai Baba perché la strada della verità è comune a tutte le correnti spirituali, qui le vivi perché te le senti addosso.

Il fardello del mio io mi rende fecondo, malgrado i miei sforzi contrari, di qualche retto pensiero, mi rende dovizioso di parole che sembrano rette ma mi rende particolarmente parco delle rette azioni, quelle che sono dettate dal cuore e non dalla mente.

Quando le azioni che compio non sono rette mi posso già reputare fortunato se me ne accorgo e se, quando me ne accorgo, ho la capacità di vergognarmene nel mio profondo.

Non parlo di eclatanti ma ti tante piccole meschinità giornaliere, orgoglio del mio io, che qui, nel silenzio, risuonano come un gong che mi assorda le orecchie.

Guardo allora quella strada che attraversa il posto delle fragole e sul cui bordo c’è un cartello a freccia con sopra scritto “maestro” e che indica la montagna dello specchio, Fratelli, quanto è ancora lunga questa mia strada!

La luce che questa strada è la strada dell ‘amore. Amore verso tutte le cose, amore verso tutti coloro che mi sono attorno, amore verso me stesso.

Perché amore? La ragione può essere molto semplice ed era stata espressa molti anni fa, a mia moglie ed a me, dal fr. M. Bianco. Questa ragione, che ci aveva sconvolti perché scuoteva dalle fondamenta una tradizione culturale in cui eravamo nati e vissuti, è soltanto una: la vera unione con Dio. Disse M. Bianco: “io sono Dio”

Oggi a tanti anni di distanza ho capito il messaggio, che era ed è il messaggio di Sri Satya Sai Baba: “Io sono Dio e anche voi siete Dio, solo che voi non ne avete consapevolezza”.

E, senza dubbio, una visione panteistica dove tutto è Dio e che ci porta ad una presa di coscienza molto pregnante, Dio è in tutto.

In tutte le cose che la natura ci dona e che quindi non devono essere sprecate. In tutti gli esseri vegetali o animali che devono essere rispettati. In tutti gli uomini che, creati da Lui a Sua immagine e somiglianza, devono essere visti in quest’ottica di uguaglianza come veri fratelli.

Mi diviene chiaro il “conosci te stesso” e il “ama il prossimo tuo come te stesso”. Si sta parlando del sé e non dell ‘io, e cosa non è altro il sé se non Dio?

La conseguenza per me è molto semplice, amare Dio significa amare tutti e tutto e servire tutto e tutti. L’amore diventa cosi il pemo su cui ruota il rapporto con l’umanità.

Però attenzione: per amore non si deve amare! Non è un controsenso, significa semplicemente amare senza possesso.

Parlando della potenza dell’io e del suo soddisfacimento, dissi un giomo, come paradosso, che, al limite, il fare una buona azione da parte di chi attitudinalmente è portato a questo tipo di comportamento, e facevo l’esempio di Madre Teresa di Calcutta, avrebbe potuto esaurirsi in un certo senso in un mero asservimento all’egoità.

A far pendere l’ago della bilancia dalla parte opposta, e cioè quella dell’altruismo, basta solo aggiungere dell ‘amore sul piatto. E questo che ha reso grande la piccola suora albanese.

Avevo cercato per anni una risposta a tre quesiti su un solo tema: che cosa significasse amare, se io amassi il prossimo e cosa dovessi fare per amare gli altri.

L’ho trovata ed è banalissima: amare il prossimo significa solo mettere i bisogni degli altri prima dei miei.

Non sarà molto, ma per me è valso il viaggio.

Tutti noi in quanto corpo, mente ed anima, siamo un sogno: reale è solo il nostro esistere, la conoscenza, la beatitudine.

In noi si realizza e si esprime la vita dell’universo intero e noi ne siamo il Dio. E il cuore che mostra il fine.

E meglio tacere ed essere piuttosto che parlare e non essere. È bello insegnare se chi parla opera. Uno solo è il maestro che ha detto e fatto, e ciò che ha fatto tacendo è degno del Padre.

Chi possiede veramente la parola del Signore può far udire anche il suo silenzio, può comprendere le cose di cui parla, può essere conosciuto per le cose che tace.

Ignazio di Antiochia (II secolo) Se voi amate solo chi vi ama, perché mai dovreste ricevere delle benedizioni?. Anche i peccatori amano coloro che li amano.

Dio è amore e chiunque vive nell’amore vive in unione con Dio •e Dio vive in unione con lui.

Se qualcuno dice di amare Dio ma odia suo fratello è un falso. Perché non si può amare Dio, che lui non hai mai visto, se non ama suo fratello che lui ha visto.

Baba

Oh! Signore, fa di me uno strumento della Tua Pace.

Dove è odio, fa che io porti l’ amore

Dove è offesa, che io porti il perdono

Dove è discordia, che io porti l’unione

Dove è dubbio, che io porti la fede

Dove è errore, che io porti la verità

Dove è disperazione, che io porti la speranza Dove sono le tenebre, che io porti la luce. Oh! Maestro, fa che io non cerchi tanto ad essere consolato, quanto a consolare ad essere compreso, quanto a comprendere ad essere amato, quanto ad amare.

S. Francesco d’Assisi

Il segreto della grandezza sta nell’aver fiducia in sé stessi ed in Dio. Come prima cosa bisogna aver fiducia in sé stessi. Come può aver fiducia in Dio uno che non l’ha in sé stesso?

La vita umana è molto sacra: con la fede in Dio diventerà un viaggio di conquista, una vittoria dopo I ‘altra.

Baba

Dimenticavo! …. Ancora un invito di Baba: non siate i miei messaggeri, siate i miei messaggi!

Chiudo queste mie considerazioni con due parole, che risuonano sempre nell’Ashram, Shanti e Prema, Pace ed Amore, e che trovano riscontro in altrettante due parole francescane: Pace e Bene a tutti!.

20 novembre 1997 dell’e:. v:. (1 0 Grado)

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