RELIGIOSITA’ ED ALIMENTAZIONE

Religiosità ed alimentazione

(parte I A – Ebraismo e Cattolicesimo)

Tra quelli che si usa definire i bisogni primari dell’uomo, l’alimentazione è certamente al primo posto.

Se non si mangia si muore!

Ma sc l’alimentazione effettivamente risponde ad un’esigenza fisiologica basilare, a ben vedere, trascende questa caratteristica per imporsi, anche e soprattutto, come fenomeno sociale e culturale.

Le abitudini gastronomiche, i tabù verso certi alimenti, i rituali spesso complicati che accompagnano le consumazioni del cibo, espressi da gruppi ben definiti di persone, non hanno nulla a che fare con le esigenze organiche di sopravvivenza, ma sono assurte ad elementi caratterizzanti di ben definite differenti società.

Il modello dietetico di ciascun popolo è dettato dall’appartenenza di questo popolo ad una determinata arca geografica, ma ancor più ad una precisa arca culturale.

Ad esempio, l’ordine dei piatti nei nostri pasti, con una partenza da cibi salati ed un finale riservato al gusto dolce, frutta o pasticceria, non è altro che la rappresentazione gustativa e reiterata di una storia a lieto fine.

Così, sempre trascurando il fattore fisiologico del nutrirsi, la cena con gli amici, la colazione d’affari o il pranzo commemorativo, sono momenti aggregativi di persone o di gruppi socialmente uniti da interessi comuni.

Nelle comunità del Nord America, come nei kibbutz israeliani o nelle mense aziendali (per citare casi disparati c molto lontani fra loro) il pasto viene consumato in comune.

Quando un elemento della comunità comincia ad isolarsi ed a consumare i pasti da solo, vuol dire che la sua vita comunitaria sta finendo, si sta allontanando dalla sfera degli interessi del gruppo ed è quindi ormai pronto ad andarsene.

Uno dei fattori che maggiormente ha contribuito a differenziare culturalmente e spiritualmente i popoli, attraverso un rigido dettato alimentare, è stata certamente la religione.

Quale più, quale meno, ogni tipo di religione ha cercato di aggregare attorno a sé i propri adepti, differenziandoli dai seguaci delle altre religioni, oltre che attraverso teorie e pratiche spirituali e dottrine teologiche originali, anche attraverso rigide regole dietetiche e tabù alimentari, più facilmente comprensibili da parte di masse non sufficientemente istruite per assimilare difficili concetti filosofico-teologici.

Per averne una conferma cerchiamo di scoprire la connessione dottrina-alimentazione, nei modi in cui si estrinseca nelle più diffuse religioni del mondo.

L’antico concetto biblico di differenziazione e separazione degli ebrei da qualsiasi altra società si poggia interamente su due pilastri, rappresentati dalla santità e dalla purezza.

L’ordine naturale, cosi come è configurato nella Bibbia, è composto da tre elementi e ad ognuno di essi si adatta ogni forma di animale: nel ciclo volano gli uccelli, che hanno due zampe e le ali; sulla terra corrono e saltano gli animali, che hanno quattro zampe; nel mare nuotano i pesci, caratterizzati dalle squame e dalle pinne.

Questi animali sono santi e puri, quindi possono essere mangiati con la massima tranquillità, sia per il corpo che pcr l’anima.

Ma vi sono animali che sono estranei a questo ordine: l’anguilla, ad esempio, sta nell ‘acqua, ma non ha le pinne, così come non hanno squame e pinne i crostacei.

Serpenti, lombrichi e tutti gli animali che strisciano e vivono sulla terra, ma sono sprovvisti delle quattro zampe prescritte dall ‘ordine biblico.

Ogni tipo di animale, che non è equipaggiato per il giusto tipo di movimento assegnatogli per l’ambiente in cui vive, non è santo e puro ed il mangiarlo porta anche I ‘uomo a perdere la sua santità e purezza.

Chi magia questi animali fuori posto è come una bestia a quattro zampe che voli.

Ecco, quindi, che l’alimentazione, così strettamente regolamentata, diviene per gli ebrei un preciso fattore di unione, che li rende uguali fra loro e differenti da ogni agglomerato sociale. Col passare del tempo e con l’evolversi dei modi di vita, queste regole alimentari si sono adattate alle nuove condizioni, addolcendosi e perdendo per via alcune delle indicazioni più drastiche.

Assistiamo, quindi, al formarsi di due nuove aggregazioni all’interno dello stesso gruppo: gli ortodossi, uniti nella stretta osservanza e nella rigida applicazione delle antiche regole, ed i progressisti che, pur percependo parte dei dettami che li differenziano dagli altri gruppi religiosi, si trovano meglio inseriti in un ordine nuovo, più adatto agli stili di vita attuali.

Quanto il cibo è importante, regolamentato e discusso nel Vecchio Testamento, tanto è di scarso interesse e di poca rilevanza nel Nuovo Testamento.

A dire il vero, nei primi anni del Cristianesimo, si ebbero infinite discussioni sulle possibili regole alimentari da far seguire ai credenti, ma le continue ed insanabili controversie fra il ramo giudaizzante della Chiesa, più vicino al Vecchio Testamento, e quello ellenizzante, più pragmatico e innovatore, misero i teologi in una situazione di stallo che si risolse solo con il concilio di Gerusalemme, che si limita a mettere un tabù alimentare solo sulla carne delle bestie strangolata e di quelle impiegate per fare sacrifici.

Un nulla di fatto, quindi.

D’altro conto il concetto di impurità di alcuni animali, rispetto ad altri, propugnato dalla legge ebraica, non poteva essere recepito nel credo cristiano per il quale, essendo tutti gli esseri viventi frutto della creazione divina, non poteva esistere in natura nulla di imperfetto.

Fu l’apostolo Paolo a sancire definitivamente questo concetto, sostenendo che nulla è impuro per proprio conto.

L’usanza, più che la regola, di non mangiare come il venerdì è piuttosto recente ed è stata poi abbandonata; in essa vi si poteva vedere il ricordo simbolizzato dei lunghi digiuni di un lontano passato.

Il Cristianesimo non ha stabilito, dunque, regole di comportamento nei confronti dell’alimentazione, ma ha anch’csso impiegato l’ideologia del cibo per rendere accessibile a tutti la comprensione del proprio dettato.

Momenti di grande religiosità si trovano nell’Ultima Cena, preludio alle grandi sofferenze che il Cristo sta per affrontare per la redenzione degli uomini, ma l’apice della simbolizzazione cristiana avviene là dove i più semplici ed universalmente noti elementi della tavola – il pane ed il vino -, nel rito dell’Eucarcstia, divengono divinità che può essere assunta da ogni credente

C. A.

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