L’ARCHETIPO SACRO E PROFANO NELLA MASSONERI

L’ARCHETIPO SACRO E PROFANO NELLA MASSONERIA di R. B. ARCHETIPO

  1. In filosofia, modello primitivo delle cose sensibili, ideale secondo Platone. L’idea preesiste, per cui le manifestazioni sensibili della realtà non sono che filiazioni od imitazioni.
  2. Redazione non conservata di un’opera letteraria, ricostruibile attraverso le testimonianze di altri manoscritti o stampe da essa derivati, che rappresenta il testo ipotetico più vicino all’originale perduto.
  • Nella psicologia-religiosa, ciascuno dei moduli ancestrali universali di intuizione e di pensiero che emergono, come rappresentazioni, nei sogni individuali e nei miti religiosi. Rappresentazione, nell’inconscio, di una esperienza comune a tutti gli uomini.


 SACRO

l. Che appartiene alla divinità, che partecipa della potenza divina, anche se non personificata, che è separato dal « profano ».

Il. Di cosa la cui maestosità incute un senso di riverenza e attonito stupore quasi religiosi. Ordine delle realtà e delle potenze che, per natura o per destinazione, sono opposte al « profano ».

PROFANO

1. Estraneo o contrario a quanto si ritiene o si sente attribuibile all’ambito della religione, sul piano delle manifestazioni umane. 11. Non iniziato ai misteri delle religioni per cui « che deve stare fuori del tempio »; non ha il diritto di entrare in un luogo, di toccare, sentire e vedere cose sacre.

Abbiamo voluto premettere questa breve sintesi dei significati tratti dal sapere e dai vari dizionari per disporre di un vocabolario comune, nel nostro caso più indispensabile che mai.

 Infatti nell’esaminare il tema proposto si affronta un campo d’indagine estremamente complesso e oggetto, tutt’oggi, di attente riflessioni, di studi sperimentali, di tesi ancora da dimostrare, soprattutto

da parte di studiosi di psicologia analitica, di esoterici di diverse scuole iniziatiche, di medici che affrontano con nuovo interesse e specializzazione il campo della medicina psicosomatica. Si ritiene di addentrarci nella spiegazione, la più precisa possibile, dei termini stessi, allo scopo di chiarire il significato globale di tali ricerche e nello stesso tempo sottolineare il punto di vista massonico al riguardo.

La parola « archetipo » — letteralmente dal greco principio-tipo — viene usata in letteratura quando ci si riferisce ad un’opera che, per prima, s’è proposta quale esempio da seguire. In filosofia il termine è adoperato per indicare quelle idee che si pongono come sfera trascendente rispetto alla materia, costituendo il modello eterno in base al quale vengono a formarsi tutte le cose. Il significato filosofico trova la sua origine in Platone, nell’opera « Menone » e, soprattutto, nel Fedone:

« compito della filosofia è quello di distogliere l’anima dall’indagine fatta con gli occhi, con gli orecchi e con gli altri sensi, di raccoglierla e di concentrarla in se stessa, in modo che essa scorga “l’essere in sé”, e proceda così dalla considerazione di ciò che è sensibile e visibile alla considerazione di ciò che è intellegibile e invisibile. ». Si ricorda che la famosa teoria delle idee di Platone non fu mai organicamente formulata: Platone si rifiutò, celebrando il principio del suo insegnamento, di trattarla sistematicamente. Essa era oggetto di quelle « dottrine non scritte », di cui egli stesso parla nella Lettera VII (34 r c).

Ma il termine « archetipo » è stato reso celebre da Carl Gustav Jung, il quale, nella sua concezione dell ‘inconscio collettivo, ha affermato la presenza di idee madri per l’appunto gli archetipi — nella psiche arcaica. Ciò sarebbe testimoniato dall’affinità fra i rlti ed i culti dei primitivi e le immagini dei sogni, che sono simboli radicati nel profondo dell’anima collettiva come serbatoio perenne, mantenendosi inalterati nel corso dei secoli. Gli archetipi o immagini primordiali sono gli elementi strutturali dell’inconscio collettivo, cioè elementi strutturali collettivi e non personali dell’anima umana in generale, che, come gli elementi morfologici del corpo umano, si trasmettono in via ereditaria. Carl G. Jung afferma: « Come il corpo umano presenta, al di là di ogni differenza razziale, una anatomia comune, anche la psiche possiede, al di là delle differenze di cultura e di coscienza, un substrato comune da me deflnito « inconscio collettivo ». Questa psiche inconscia, che è comune a tutta l’umanità, non consiste tanto in contenuti atti a divenire consci, quanto in disposizioni latenti a certe reazioni identiche. L’inconscio collettivo è semplicemente l’espressione psichica dell’identità della struttura cerebrale al di là di ogni differenza di razza. Questo spiega l’analogia e addirittura l’identità dei motivi mitici e dei simboli, e in generale la possibilità d’intesa tra gli uomini. Ecco quindi che attraverso lo studio degli archetipi, dei simboli comuni al genere umano in tutti i tempi, ci si addentra in quella sfera spirituale in cui il termine « fratellanza » acquista una luce particolare: solo gli iniziati, i fratelli della « vera luce » possono, meglio dei profani, averne giusta conoscenza, perché « se l’uomo sbagliato si serve di mezzi giusti, allora il mezzo giusto agisce in modo sbagliato ».

Il dizionario della lingua latina Ernout et Meillet afferma:

« Ciò che è sacro (sacrum) si oppone a ciò che è profano (profanum); ciò che è sacrum appartiene al mondo del divino ” e differisce essenzialmente da quel che appartiene alla vita corrente degli uomini ».

Tale definizione non illumina molto sulla reale differenza tra ciò che è sacro e ciò che è profano, sostituendo l’incognita « sacro » con l’incognita « divino ».

Si può però approfondire la differenza, rifacendosi all’etimologia della parola « profanum » aggettivo composto dalla particella « prô » — davanti — e « fanum » — tempio —; aggettivo che qualifica perciò qualcosa che è esterno, in particolare esterno ad un luogo, in cui, per elezione, si svolgono i « riti ». Il termine profano è dunque legato all’idea di qualcosa di esteriore, quindi di apparente. L’aggettivo profano si può applicare a qualsiasi cosa, perché si riferisce sempre a qualcosa che è percepito dall’esterno. Ma non sono le cose, di per se stesse, profane in sé, bensì il modo in cui sono osservate, la loro posizione nei confronti di chi le guarda.

Qualsiasi realtà è ad un contempo esteriore ed interiore: il profano è dunque quella persona che vede solo la parte apparente, alle volte disordinata, di ciò che osserva; l’iniziato invece è quella persona che compie il cammino per penetrare nell’interno di esse. Le cose, così come ci appaiono nella toro veste esteriore, non sono, ad ogni momento, altro che il simbolo di se stesse, la loro realtà risiedendo in qualche modo nel loro interno.

Sacro, essendo il contrario di profano, sarà dunque tutto ciò che è conosciuto dall’interno. Parallelamente a quanto detto al riguardo dell’aggettivo profano, si può affermare che non esistono cose sacre, ma un punto di vista sacro; o meglio ogni cosa, ogni essere è sacro o profano a secondo che gli sguardi che lo toccano sono sacri o profani, diretti all’interno o limitati all’esterno. E il punto di vista sacro è il punto di vista della realtà, il punto di vista profano è il punto di vista dell’illusorio.

La lettura quindi e l’interpretazione degli archetipi deve tenere conto di questa profonda differenza di « punti di vista ».

Sacro-profano, infine, sono aspetti di un’unica realtà, coppia di concetti, esempio tipico di opposizioni. Nella ricerca antropologica culturale sono « opposizioni » quei particolari aspetti dualistici che contraddistinguono comportamenti e significati riconosciuti come base fondamentale soggiacente alle varie strutture ed ai vari modelli culturali: maschio-femmina, puro-impuro, natura-cultura.

Negli archetipi sono racchiusi dei grandi tesori utili al progresso spirituale del singolo e quindi a mano a mano di tutta l’umanità. I grandi miti della creazione, dell’eroe, della trasformazione, cioè gli stadi mitologici dello sviluppo della coscienza, contengono dei segreti inaccessibili ad una mentalità profana. Come intendere il simbolo dell’Albero del mondo, della pietra grezza e della pietra tagliata, della scala, della catena d’unione se non si è iniziati? Pervenendo ad una prima conclusione, non esistono archetipi sacri o profani, ma esiste il modo in cui questi archetipi sono letti: l’iniziazione massonica fa di ognuno di noi non solo delle persone che possono conoscere, ma delle persone che possono penetrare nell’interno dell’insegnamento e « non rimanere in un sonno profondo anche da svegli ».

Simboli diversi tra di loro, custoditi tra quattro pareti ad angolo retto che partono e si chiudono ad oriente, definite dalla volta celeste e dalla pavimentazione mattonellata in bianco e nero, essi stessi simboli, sono, secondo alcuni fratelli, l’archetipo sacro, il luogo fisico dove spazia il punto di vista ideale, quello della realtà se vogliamo degnamente celebrarlo!

Vi sono tuttavia ancora molteplici chiavi di lettura a seconda della interpretazione che si dà al termine « archetipo » accettando per sacro ciò che è « in » e per profano ciò che è « out ».

L’enciclopedia filosofica della Garzanti, a pag. 44, ad esempio, recita al riguardo: « termine usato nella tarda antichità ellenica per indicare l’idea platonica ossia il modello originario delle forme di cui le cose sensibili sono semplici copie ».

La teoria degli archetipi venne sviluppata da Plotino e da Procio: gli archetipi erano i materiali con cui Dio aveva creato il mondo delle idee e sul cui modello aveva poi formato il mondo sensibile. Per questi connotati teologici la teoria degli archetipi è stata accolta dai padri della Chiesa ed adattata alla concezione cristiana.

Sant’Ambrogio delinea la contrapposizione dell’uomo come immagine a Dio come archetipo; per Sant’Agostino gli archetipi sono gli infiniti modi in cui Dio pensa la natura divina o il logos e questi modi di pensiero costituiscono i modelli delle cose create e la condizione della loro intellegibilità.

Quello che stranamente non dice l’enciclopedia filosofica è che Talete di Mileto « il più saggio dei sette sapienti » (Diogene Laerzio I, 28-33), iniziatore della riflessione filosofica (Aristotele), usa per primo, pare, il termine archetipo intendendo il principio primo di cui tutte le cose sono costituite (e che per Talete era l’acqua). Il « pare » in corsivo si riferisce al fatto che di Talete non ci è giunta alcuna opera, né alcun frammento, ma che le sue idee sono riportate da altri AA.

Quindi il concetto di Talete dell’archetipo non ha niente da spartire • con quello platonico.

Altra interpretazione di archetipo è quella di C. G. Jung nella sua psicologia analitica dove parla delle manifestazioni dell’« inconscio collettivo… che si presentano… nelle visioni dei mistici, nei miti e nei riti religiosi… esse sono dette archetipi… » ed ancora « l’archetipo si manifesta nel simbolo, ecc. (pag. 746 ibidem) » e vi tralascio il resto per la fratellanza che ci unisce.

Ma concludendo per Jung « l’archetipo ha il significato di potenziale momento di sintesi dialettica tra la coscienza e l’inconscio ».

Quindi il significato dell’archetipo sacro e profano nella L. M. varia a seconda di ciò che noi vogliamo intendere per archetipo e da questo rapido escursus ci pare che ognuno possa trovare l’interpretazione che più gli si confà, quindi non è possibile né vi può essere una univocità interpretativa al tema in discussione; ed è giusto che sia così, perché altrimenti non sarebbe più muratoria, né, tantomeno, libera.

Se poi qualche lettore più curioso volesse chiedere quale sia la nostra interpretazione ovvero quale preferiamo, ebbene avremmo delle perplessità a rispondere; ma due sono le interpretazioni che preferiremmo: la prima è quella ambrosiana, l’uomo immagine dell’archetipo Dio; e le implicazioni quali: il profano immagine del sacro, il lavorio dell’out per divenire in, dell’uomo per arrivare a Dio, la ricerca della perfezione, il « bisogno » di Dio dell’uomo, ecc… sino al « et sicut Dei eritis » … e così via.

L’altra totalmente opposta è più semplice, taletiana, e potrebbe formularsi così: quale è il substrato che differenzia il sacro dal profano nella L. M.?

È qualcosa che per noi è già nell’animo umano, quasi una predestinazione per cui alcuni uomini ricercano i valori dello spirito che altri hanno in non cale.

Anche qui il discorso diverrebbe lungo, interminabile ed ognuno può farlo per conto proprio.

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