SIMPLICI MYRTO…

SIMPLICI MYRTO…

di M. O.

Ritrovarsi un paio d’ore da dedicare alla lettura in un pomeriggio di domenica piovosa, è un dono inaspettato, da godere ed assaporare subito, ampiamente. Mi invitano « I Dialoghi » di Confucio e, per una lettura comparata di indubbio ausilio a maggiori approfondimenti, Lao-tze con il « Tao-te-king ».

 un invito allettante… e mi immergo nella lettura.

Ne vengo distolta da una visita, non prevista, di una amica. Anche un po’ di tempo da trascorrere con una persona cara è dono prezioso. « Stavi leggendo… Oh! , guarda, Confucio, Lao-tze. Interessanti? Quando li avrai finiti, me li impresti? ».

Prometto.

Rimasta sola, ripenso alle considerazioni che dai due libri sono scaturite.

I Dialoghi sono attribuiti a Confucio come a Lao-tzc il Tao-te-king. Loro non hanno scritto niente e se lo hanno fatto, nulla di autentico è giunto sino a noi. Altri paralleli vengono alla mente. Nulla ha scritto Socrate che, anzi, della scrittura diffidava profondamente come risulta dalla favola che Platone gli fa raccontare nel Fedro e che termina con le parole di Thamus, re dell’Alto Egitto: «O ingegnoso Theuth,… gli uomini, fidandosi del tuo alfabeto e di quanto scritto, non eserciteranno più la memoria e richiameranno le cose alla mente non più dall’interno di se stessi, come dovrebbero, ma dal di fuori, attraverso segni estranei ».

Del pensiero socratico possiamo sapere solo attraverso i suoi allievi, principalmente Platone, così come solo dagli Apostoli, attraverso i Vangeli sinottici o apocrifi che siano, conosciamo la predicazione di Gesù di Nazareth. Altrettanto si può dire di Siddharta. Tutti uomini che non hanno scritto un rigo e che pure tanto hanno insegnato da mutare, influenzare, permeare il pensiero e il comportamento umano. Di tanto in tanto, sulla terra nascono uomini di questa levatura, uomini senza i quali — dice P. Citati — noi tutti saremmo un po’ diversi. E forse un po’ peggiori, oso aggiungere io. Budda, Lao, Confucio, Socrate, Gesù hanno parlato, sì, dialogato molto, con tutti. Essi hanno avuto bisogno solo del dialogo, che è poi la capacità di improvvisare un discorso che diventa insegnamento a seconda degli stimoli che offre l’interlocutore.

Ed hanno insegnato, così, in tutta semplicità, esteriore ed interiore. Socrate se ne andava in giro, facesse caldo o freddo, con il suo chitone, o tutt’al più con il tribòn, disdegnando abiti eleganti ed ogni altro genere di lusso. Con una semplice veste se ne andavano Lao, Budda, Gesù che anche di quella si spogliò, per morire vestito del solo legno di una croce. Confucio, durante i grandi caIori estivi, indossava una semplice tunica di lino grezzo; d’inverno una casacca nera o bianca o gialla.

Sempre Socrate, fermatosi un giorno davanti ad un negozio, in Atene, e guardando tutta la merce esposta, esclamò stupito: « Ma guarda di quante cose hanno bisogno gli Ateniesi per campare! » (da Diogene Laerzio).

E forse non è male ricordare qui a quanto poco avesse ridotto le sue necessità Diogene di Sinope: proprio al minimo indispensabile! Per casa una botte, un mantello come abito e come letto, un catino per mangiare e una ciotola per bere, disfacendosi poi sia dell’uno sia dell’altra dopo aver visto un ragazzo mettere le lenticchie direttamente sul pane e bere nel cavo della mano.

Altri, al suo posto, che cosa avrebbe  chiesto ad Alessandro il Grande il quale, stimandolo molto, desiderando vivamente di poterlo conoscere e finalmente incontratolo, gli aveva detto: « Chiedimi quello che vuoi »? Ma… forse un bel quartierino vicino all’Acropoli e una seconda casa (possibilmente villetta mono-familiare) a Capo Sunion con vista sul mare? E poi… già aveva così ampio campo di richiesta, forse una pensioncina di qualche invalidità, a spese di Corinto o di Atene e, perché no? , anche un posticino da segretario di un Arconte o di un Pritano per un lontano parente? …

No, non ci siamo… Diogene che se ne stava lietamente godendo il sole sulle scale del Craneo, disse: « Ti prego, spostati che mi togli il sole! ». Semplicità. E modestia.

Nessun titolo accademico da sfoggiare, nessuna collezione di lauree comprese quelle ad honoris causam, niente specializzazioni o superspecializzazioni, stages, performances.., Mai andati a ritirare premi o medaglie, a partecipare a tavole rotonde, congressi, meetings..

« Scusi, professore Socrate, desideriamo congratularci con Lei per l’assegnazione della Palma, Andrà a Delfi a ritirarla? ».

« Oh! , professor Gesù, abbiamo saputo che si recherà a Gerusalemme in Sinedrio, ove terrà una conferenza, da tutti attesa con il più vivo interesse. Ci potrebbe anticipare, in sintesi, il contenuto della Sua dotta relazione? ».

« Ecco, abbiamo l’onore di presentarvi l’illustre professore Lao, conosciuto e famoso in tutte le terre di Cina… ».

« Non La vorremmo disturbare, esimio professor Confucio, sapendoLa pronta a partire per Lu dove parteciperà ad una tavola rotonda, la decima vero, nel volger di questa luna… ».

Di tutto questo, Budda, Lao, Confucio, Socrate, Gesù avrebbero non riso, ma solo sorriso, semplicemente e modestamente. Come il sorriso di Orazio:

« Persicos odi, puer, adparatus, displicent nexae philyra coronae, mitte sectari rosa quo locorum seta moretur. Simplici myrto… ». (Lo sfarzo persiano, ragazzo, io lo detesto; non mi piacciono le corone intrecciate di filo di tiglio; tu desisti dai tuoi tentativi di ricercare dove indugi a fiorire la rosa tardiva. Al semplice mir-

Che lo dica per ognuno di noi? Forse sì, per farci memoria della modestia e della semplicità di cui hanno fatto professione nella loro vita gli Spiriti Grandi.

Maestri, Rabbi, Gotama, così li hanno chiamati gli altri, e giustamente perché, come dice Han Yu, « Maestri sono coloro che trasmettono le dottrine, spiegano i dubbi; sono coloro che hanno il sapere, lo conservano, lo custodiscono »

Ma loro, gli Spiriti Grandi, tutti questi appellativi non li hanno mai sollecitati. Anzi…

Lao dice di sé: « Tutti sono intelligenti, io solo sono stupido. Mi pare di essere trascinato dalle onde e non so dove vado. Tutti sono pieni di talento, io solo sono limitato come un selvaggio ».

Siddharta, vicino a morire, così riprende un discepolo: « Tu dici: il Maestro che c’insegnò la dottrina è scomparso: non abbiamo più Maestro. Ma non dovete, Ananda, pensare così. La dottrina e la regola che insieme abbiamo imparato e divulgato, ecco i vostri Maestri quando io non ci sarò più ».

Di sé Socrate, uomo che non lanciava programmi di redenzione né pretendeva di trascinarsi dietro torme di seguaci, diceva: « Io so di non sapere né poco né molto. Tutto quello che posso fare è esercitare la maieutica » e per tutta la sua vita ha posto domande, ha ascoltato risposte, ha chiesto precisazioni per « tirar fuori » la vera conoscenza, aiutando sé e gli altri.

E di sé Confucio disse: Io tramando solo, non creo ». « Forse in letteratura sono pari agli altri, ma a comportarmi da saggio non sono ancora riuscito ». « Non mi affliggo di non essere conosciuto dagli uomini, mi affliggo di non conoscere gli uomini Ma… è tempo di riprendere la lettura dei Dialoghi:

« La via è in noi — disse Confucio — e la cercate lontana; sta nelle cose facili c la cercate nelle difficili ».

Rincontro dopo qualche tempo l’amica che non ha dimenticato la mia promessa: « Hai finito di leggere i tuoi cinesi? ».

Il mio è un « no » alquanto timido e vergognato.

« Non ancora!? Ma se sono due libriccini… piccoli così… Beh! , quando li avrai finiti… Ma… non metterci una vita! ».

Già… sono proprio solo due libriccini, è vero. Non hanno apparenza di tomi importanti per veste tipografica o… per peso (qualcuno giudica i libri anche dai loro etti o chili…!).

Sono in quarto, in ottavo e le pagine neanche molte. E se i Dialoghi si presentano abbastanza decorosi, il Tao-te-king è in veste, ahimé, assai dimessa, per una più lunga frequentazione…

Ma… tutto questo importa?

Vengon da ricordare le sequenze finali di Fahrenheit 45 T. La « Guardia del Regime » convinto e fervido esecutore delle ferree disposizioni che proibiscono ai « sudditi » di leggere, rimane profondamente scosso quando vede un’anziana signora scegliere di rimanere con i propri libri amati (da lui stesso dati alle fiamme) e di morire bruciando con loro.

Ciò che sino a quel momento era stato ritenuto giusto e perfetto, ora appare alla Guardia del Regime in tutta la sua nefandezza; si ravvede (si pente, si direbbe oggi) e scappa in quei boschi fuori confine dove sa essersi rifugiati tutti coloro che hanno amato e continuano ad amare i libri e la loro lettura. Lì, purtroppo, i libri non hanno potuto essere trasportati né possono venire ristampati, ed allora, perché non vadano definitivamente perduti, ogni « rifugiato » ne ha imparato uno a memoria che tramanderà poi, sempre a voce, a figli e nipoti.

Alla Guardia si fanno incontro due fratelli, assai male in arnese, in abiti stinti e sdrusciti. Uno di loro si presenta: « Sono il primo volume dei Fratelli Karamazov, mio fratello ne è il secondo volume. Non ci voglia giudicare dalle copertine… ».

É un monito. Anche noi non siamo forse troppo spesso attratti dall’apparenza che se ricca, ornata, fastosa, ci porta subito a giudizi favorevoli? Ma al di là della piacevole apparenza che tanto facilmente prendiamo per « realtà », sappiamo o almeno tentiamo di vedere, di capire per cercare di giungere al vero « contenuto » ?

Forse solo dietro ed oltre il velo dell apparenza si nasconde e attende che noi lo scopriamo, il « vero » della nostra vita, di noi stessi, di tutti gli altri che ci sono fratelli. I valori, come i tesori, si celano. Richiedono di essere cercati con perseveranza, volontà, consapevolezza. La « Via » per giungervi non è facile e neppure trovarla.

E se provassimo, perintanto, a ritagliarci anche noi un abitino più confacente, di linea semplice a tre bottoni, orlato di modestia? Tu dici, Fratello, che forse risulterà di foggia un po’ vecchiotta, demodée ?

Non credo, sai! Forse che noi che diciamo di essere — e dovremmo esserlo veramente — tutti uniti e uguali nel libero spirito di fratellanza, siamo demodées? I veri valori non hanno stagione… No, Fratello, anzi credo che se ancora non ho trovato il quarto « pomello », tu e gli altri Fratelli mi aiuterete a trovarlo e mi fornirete gli utensili per applicarlo e rendere così il mio abitino più completo.

Quanto all’amica, per non venir meno alla promessa, comincio a prendere in considerazione l’opportunità di provvederle una copia dei due « libriccini », perché se leggere vuol dire capire, ricordare (eh sì, « non fa scienza senza lo ritener aver inteso »), meditare, approfondire, andare oltre il significato apparente delle parole, temo molto che per leggere quei due « libriccini » non mi basterà la vita per quanto lunga mi sia concessa. Capire la « Via » non è cosa da poco…

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