PROPOSTE PER LA DIFFERENZIAZIONE DEI LAVORI NEI GRADI DELL’ORDINE
Mi pare che, da un punto di vista istituzionale e simbolico, nonché dal tenore del rituale di iniziazione, i tre gradi dell’Ordine possano essere così precisati:
L’Apprendista, è ovviamente, chi impara. E chi impara deve soltanto ascoltare quello che vien detto da colui cui spetta (il M.V. o persona da lui delegata, per es. per la lettura di una tavola) o, al massimo, richiedere chiarimenti su passi non ben capiti. Ogni altro tipo di discussione, specie se di impostazione dialettica, è dannoso, a mio parere, per la formazione dell ‘adepto alle prime sue esperienze iniziatiche.
Non si deve dimenticare che il contenuto dell’insegnamento non dipende dal grado di cultura o di buona esposizione di chi lo somministra (questo vale nel profano) ma dalla simbologia e dalla ritualità. Insegnare vuol dire infatti « dare i segni », ossia i metodi; non il contenuto che è frutto di personali disposizioni ed acquisizioni. Occorre inoltre riflettere sul significato simbolico, oltre che effettivo, del silenzio semestrale pensando che sei mesi sono il periodo minimo per l’accesso al grado superiore.
Il Compagno è posto, al momento dell’iniziazione, di fronte alle acquisizioni razionali attraverso i richiami ai grandi pensatori, alle arti e alle scienze. In questo grado dunque mi pare debba svolgersi ogni discussione di tipo dialettico e anche attraverso obbiezioni o contrapposizioni di tesi: la valutazione dovendo essere razionale, non se ne deve prescindere, salva sempre essendo la correttezza e lo spirito fraterno di critica.
Ne verrebbe conseguentemente rivalutato, di fatto, un grado che viene considerato « di transizione », quasi inutile e che invece ritroverebbe in questa strutturazione, una sua effettiva e ineliminabile ragion d’essere.
Il Maestro si trova dinnanzi il valore della super-razionalità attraverso l’esperienza del mistero, di fronte al quale l’unica possibile attitudine — attesa la sua ineffabilità — è quella del silenzio.
Il quale può essere effettivo, dopo l’apertura dei Lavori, e configurarsi come una specie di « Silent worship » dei Quaccheri o come meditazione su una lettura o un concetto tratto da scritture esoteriche; ovvero simbolico, attraverso l’adozione di tecniche che in qualche modo vi si avvicinano, come la lettura corale di brani in una lingua sacra non conosciuta ovvero l’uso di un colloquio fondato sull’espressione di idee emergenti alla coscienza come libere stimolazioni e quindi non razionalmente coordinate fra di loro. La dimensione della fratellanza, in questo grado, dovrebbe evitare ogni timore reverenziale, ogni indebita forma di falso pudore, ogni attaccamento ai formalismi perbenistici: essere insomma veramente « liberatoria » del proprio « io» o tendere a questo scopo che è, se ho capito bene, il fine dell’iniziazione.
12