LE ORIGINI DELLA VITA
di Odsseus
Esempio di problema scientifico dalle evidenti caratteristiche interdisciplinari non ancora del tutto risolto, il problema dell’origine della vita è il problema della vita tout court ed il problema centrale della biologia, che non può contentarsi di studiare l’essere attuale artificiosamente distaccato dal processo evolutivo da cui dipende.
Il problema dell’origine della vita è il problema della transizione della materia inorganica, soggetta alle leggi della fisica, alla materia vivente. Che cosa è la vita? Come si può definire questo insieme di fenomeni che sono sotto gli occhi di tutti noi e dei quali noi stessi facciamo parte? Qual è la sua origine? Dove e quando è comparsa? E ancora, quali sono i mezzi adatti per risolvere la questione della natura e della origine della vita? In altre parole: il problema è filosofico o scientifico? La trattazione di problemi siffatti richiederebbe un tempo molto più lungo di quanto possiamo concederci, pertanto in questa breve esposizione mi limiterò ad un rapido e breve ma spero non superficiale excursus. La tirannia del tempo obbliga altresì a circoscrivere il problema dell’origine della vita alla Terra anche se questa limitazione può apparire per certi versi artificiosa.
In effetti bisognerebbe partire dall’evoluzione che, nel tempo, ha subito la Terra nel sistema solare: come, attraverso processi di condensazione il sistema solare si sia formato e in esso si sia costituita la Terra, come questa si sia andata poi lentamente trasformando assestandosi sulla sua attuale orbita intorno al Sole, come le condizioni fisico-chimiche alla superficie della Terra si siano lentamente modificate, fino a raggiungere lo stadio attuale. Tutto ciò fa parte di una evoluzione cosmica sulla quale si innesta, ad un certo punto, sulla Terra, un altro processo evolutivo che è forse arbitrario tener distinto dal primo anche se per ragioni concettuali può apparire comodo e conveniente.
Alla superficie della Terra, in un ambiente lentamente variabile nelle suc caratteristiche a causa della evoluzione cosmica che continua, sorge ad un certo punto in qualche modo la vita, che progressivamente conquista un ambiente sempre più vasto, si fa più complessa in forme sempre nuove che si adattano alle condizioni locali, invadendo alla fine tutta l’attuale biosfera.
Allo stato attuale delle cose non è facile dare una definizione scientificamente accettabile del concetto di vita. Generalmente si definisce vivente quell’entità che presenta determinate funzioni biologiche come ad esempio la nutrizione, l’accrescimento, la capacità di riprodursi, la irritabilità, la capacità cioè, di reagire agli stimoli esterni.
Ma queste funzioni che chiamiamo biologiche sono proprie anche di oggetti e fenomeni che noi con il nostro senso comune collochiamo nel mondo inanimato.
L esempio più semplice è quello della fiamma di una candela. Essa infatti si nutre di cera, assume l’ossigeno dall’aria circostante (quindi respira), si riproduce qualora ci siano le condizioni favorevoli, vale a dire altro materiale infiammabile, è eccitabile in quanto reagisce agli stimoli esterni (ad esempio: un sofio di vento o cambiando colore in presenza di sali metallici), muore per mancanza di nutrimento.
Un altro esempio ce 10 fornisce la fisica atomica. Si tratta di un processo che in condizioni opportune si verifica spontaneamente anche se in pratica non è possibile osservarlo in un intervallo di tempo ragionevolmente breve. Consideriamo un ambiente nel quale siano mantenuti in elevata densità neutroni lenti. Un tale ambiente si può realizzare facendo uso per esempio di un reattore nucleare. Immaginiamo di porre in esso un atomo di un elemento di numero atomico intermedio. Il nucleo di tale atomo è in grado di catturare i neutroni lenti che ogni tanto vengono casualmente ad urtarlo. Col passare del tempo quindi il nucleo dell’atomo in questione andrà aumentando la sua massa o le sue dimensioni a seguito delle successive catture di neutroni lenti. Dopo due o tre catture, veramente, la percentuale di neutroni entro il nucleo sarà troppo elevata per la stabilità; il nucleo diventerà radioattivo beta ed espellerà un elettrone e un neutrone, mentre al suo interno un neutrone si trasformerà in un protone. ln tal modo, senza che il numero delle particelle pesanti che lo costituiscono subisca variazioni, il nucleo si riporterà in una situazione di stabilità. Questo processo di ingrossamento, costituito da successive catture di neutroni intervallate da espulsioni di elettroni e neutroni, non potrà tuttavia proseguire indefinitamente: infatti il nucleo finirà col raggiungere le dimensioni critiche per la fissione nucleare. A questo punto, un’ultima cattura di un neutrone determinerà lo spezzamento del nucleo in questione in due nuclei di peso atomico medio. Riprenderà quindi il processo di accrescimento dei due nuclei figli, fino a nuove fissioni.
Come si vede, il sistema è formalmente del tutto analogo a quello di un batterio in un appropriato terreno di cultura. Come il nucleo atomico nel « bagno » di neutroni lenti, così il batterio nel suo terreno di coltura si accresce a spese di materiali assorbiti dall’ambiente, restituisce all’ambiente materiali di scarto, e ad un certo punto si divide in due, dando vita per scissione a due batteri indipendenti i quali a loro volta si accrescono, per poi alla fine suddividersi. Per inciso, questo modello suggerisce altresì l’esistenza di semplici rapporti energetici alla base del processo riproduttivo.
È chiaro, dunque, che un elenco di funzioni biologiche non può bastare a caratterizzare la vita, e ogni tentativo in proposito non ha infatti mai avuto successo. Tuttavia, l’universalità delle funzioni biologiche fondamentali, l’identità delle soluzioni di base, pur nella più grande varietà dei particolari, costituisce un importantisSimo argomento a favore della profonda affinità esistente tra tutti gli organismi viventi anche sul piano funzionale.
Furono i filosofi che per primi tentarono di dare una spiegazione del concetto di essere vivente in tempi in cui il filosofo era anche scienziato. Mi riferisco qui principalmente ad Aristotele il cui pensiero influenzò il sapere scientifico per quasi 2000 anni. Sintetica mente si può affermare che Aristotele crede nella generazione spontanea; egli cioè ammette che la materia non vivente possa in qualsiasi momento trasformarsi in materia vivente (ad esempio vermi ed insetti verrebbero generati da rugiada, fango ecc…). Ma il pensiero del filosofo greco sulla generazione spontanea è tutt’altro che chiaro; egli infatti non precisa Se la trasformazione della materia non vivente in materia vivente avvenga veramente in modo spontaneo o se sia necessaria la presenza di qualcosa di simile a « germi vitali » o addirittura l’intervento di un principio superiore esterno alla materia.
Tale principio fu sostenuto da Platone, la cui dottrina si può definire come vitalismo animistico, e da S. Tommaso che il pensiero di Aristotele sviluppò ed interpretò in chiave cristiana.
In tempi più moderni Leibniz sostiene che tutti i fenomeni vitali sono dovuti all’azione dell’anima; Bergson da parte sua postula uno slancio vitale che presiede non soltanto alla formazione e allo sviluppo del mondo organico, ma è principio creatore, è la dinamica della coscienza cosmica che infonde nella materia, dopo averla superata come ostacolo, la corrente vitale per cui la materia stessa si evolve fino agli esseri viventi più perfetti.
Ma tornando ad Aristotele ed al concetto di generazione spontanea, il primo che cercò di dimostrare la infondatezza di questa ipotesi fu il Redi nel XVII secolo.
E dopo di lui Van Leeuwenhoek, Spallanzani, Pasteur, Tyndall demolirono definitivamente la teoria della generazione spontanea. Si afferma così l’idea che organismi viventi « nelle condizioni attuali d’ambiente » possono derivare soltanto da altri organismi viventi. Ma che cosa è la vita? Una delle più antiche idee dell’uomo radicata nel linguaggio e nei costumi di ogni popolo è che tutti gli esseri viventi hanno in comune qualcosa, una caratteristica, quella appunto di essere « vivi »: l’idea cioè che la parola « vita » isoli e contraddistingua una categoria di entità perfettamente individuata.
L’esperienza comune ha sempre identificato e distinto senza particolari difficoltà le più comuni specie animali e vegetali in base alla affinità dei più evidenti caratteri morfologici ed alla capacità intraspecifica di dar vita ad una prole feconda.
D’altra parte tutti gli studiosi antichi sono sempre rimasti colpiti da due aspetti complementari, ma in un certo senso contraddittori, del mondo vivente: da un lato la evidenza dei caratteri comuni che sembrano permettere una distinzione così netta e facile tra esseri viventi ed oggetti inanimati, dall’altro le diversità irriducibili fra specie e specie per cui ad esempio gli elefanti generano sempre soltanto elefanti e dai semi di una mela non si sviluppano che alberi di mele.
Se da un lato col senso comune si pongono quindi senza difficoltà gli elefanti ed i meli nel mondo dei viventi, è con altrettanta diffcoltà che si può scoprire una parentela tra di essi.
Il concetto di vita è quindi uno solo oppure esistono molte « vite »? Fu merito dei naturalisti del XVII secolo (Linneo in testa) quello di aver ordinato e catalogato in un sistema unico tutti gli esseri viventi a seconda delle loro caratteristiche morfologiche. Essi preparano il terreno alla geniale intuizione di Darwin.
La sua teoria della evoluzione costituisce uno dei pilastri fondamentali della nostra descrizione del mondo. Tutte le specie viventi, questa fu la sua idea, non sono affatto immutabili e non risalgono tutte all’epoca dell’apparizione della vita sulla terra; esse sono in continua evoluzione (forse a partire da un unico capostipite) adattandosi via via al lento cambiamento delle condizioni ambientali. Con la teoria della evoluzione il quadro ordinato dei viventi non appare più un insieme di specie diverse ed indipendenti, perpetuantisi fianco a fianco, immutate, dall’origine della vita sulla terra, ma come un vero e proprio disegno unitario, un unico sistema che evolve di generazione in generazione, modificandosi e suddividendosi in mille forme, diverse ma pur sempre imparentate fra di loro, adattandosi alle varie e mutevoli condizioni ambientali. L’unicità di tale sistema, la sua interdipendenza interna, è messa in evidenza anche dalla sua correlazione con l’ambiente, cioè con il mondo inanimato. L’ecosistema terrestre infatti si basa su tre capisaldi che sono le piante, gli animali ed i protisti. Questi tre gruppi di viventi costituiscono un unico macchinismo chimico esteso nel tempo e nello spazio, intimamente legato all’ambiente terrestre che ha invaso e che lo ospita.
È ciò che a buon diritto possiamo indicare con la parola « la vita sulla terra
Il passo decisivo per ciò che riguarda il riconoscimento della sostanziale unità della vita fu compiuto con la scoperta della cellula.
Lo studio delle strutture cellulari portò alla identificazione delle proteine e degli acidi nucleici (DNA ed RNA, rispettivamente acido desossiribonucleico ed acribonucleico). Le proteine sono sostanze costituite da lunghi polimeri i cui componenti basali sono gli aminoacidi. Essi, in numero di venti, a seconda della disposizione che assumono nel polimero, determinano la specificità e quindi la funzione della proteina stessa.
Questa disposizione è determinata dalla disposizione delle basi puriniche e pirimidiniche nel DNA. Particolare interessante: delle due possibili forme ottiche « l » e « d » in cui si può trovare un aminoacido nel mondo biologico è solo e sempre la forma « I » che si trova presente. Il DNA risulta chimicamente così composto: 1) lo jone fosfato (P04)3
- uno zucchero con molecola ciclica a cinque atomi di C: il desossiribosio (nel RNA c’è il ribosio al posto del desossiribosio per sostituzione di un idrogenione con un idrossilione);
- quattro specie molecolari contenenti azoto ed aventi deboli proprietà alcaline. Due di esse, la timina e la citosina sono basi pirimidiniche (nel RNA la timina è sostituita dall’uracile). Le altre due basi, dette puriniche, sono l’adenina e la guanina.
Gli acidi nucleici sono formati da lunghissimi polimeri di unità basali detti nucleotidi composti da una delle quattro basi, dallo ione fosfato, e da una molecola di desossiribosio o di ribosio. Spazialmente il DNA ha una struttura a doppia elica e non è mai disteso, ma sempre ripiegato su se stesso molte volte. Nel DNA Niremberg negli anni ’60 identificò il codice genetico. Questo codice è universale, è cioè comune a tutti gli esseri viventi; esso rappresenta il pilastro fondamentale, la matrice della vita.
Esistono sulla terra, dalle balene ai ragni, dalle alghe ai pipistrelli, dai batteri all’uomo, forme di vita estremamente diverse tra loro, ma dal punto di vista biochimico i processi fondamentali sono ovunque gli stessi, le macromolecole fondamentali biologicamente significative sono sempre le medesime.
Non incontriamo mai procedure primitive, rozze, di prima approssimazione, per risolvere quei problemi che nelle cellule degli organismi superiori sono risolti da un macchinismo di una complessità estrema e di una strabiliante perfezione.
L’unica molecola di DNA di un batterio è certamente più piccola e più semplice del corredo cromosomico di un essere superiore: ma la sintesi delle proteine avviene nei due nello stesso modo attraverso la trascrizione dell’informazione chimica in una molecola di RNA messaggero prima e poi mediante la transduzione di tale informazione su un ribosoma con la complicità dei transfer-RNA. Tutto ciò oltre a costituire la natura ed il fondamento della vita e a essere prova della unicità della vita stessa, ha probabilmente una spiegazione di carattere evolutivo.
Ogni apparato biochimico, anche di poco più rozzo e primitivo di quello attuale, rappresenterebbe oggi un tale svantaggio, un tale allungamento dei tempi di riproduzione, da portare rapidissimamente alla scomparsa totale degli organismi che ne fossero dotati di fronte alla pressione delle popolazioni concorrenti più perfezionate.
Definita la natura della vita, resta da chiarire dove e quando essa ebbe origine. Abbandonata ormai la teoria di Arrhenius, formulata alla fine del secolo scorso, secondo la quale la vita è in qualche modo giunta sulla Terra dall’esterno, si deve concludere che l’origine della vita sia da ricercarsi sulla Terra stessa.
Volgiamo dunque la nostra attenzione alla Terra per una breve digressione. La prima teoria scientifica sulla formazione del sistema solare è quella di Kant-Laplace formulata alla fine del XXXIII secolo. Secondo questa teoria il sistema solare avrebbe tratto origine da una grande nebulosa di gas rarefatti ad altissima temperatura.
Tralasciando la descrizione delle altre innumerevoli teorie che via via sono state formulate, ci si può limitare a dire che la più moderna di esse prende le mosse dalla nebulosa di Laplace, modificando tuttavia la descrizione del processo di condensazione. Essa viene detta teoria dell’accumulazione (Urey 1952, Gold 1960).
Questa teoria parte dall’idea che la terra si sia formata attraverso la raccolta di polveri fredde. Di essa, per l’argomento che trattiamo, ci paiono interessanti alcuni aspetti sui quali è importante porre l’accento. La formazione di un sistema planetario appare un fatto del tutto normale nel corso della formazione e della evoluzione di una stella. I pianeti ed in particolare la Terra si sono formati per accumulazione di materiale condensato a bassa temperatura.
La teoria inoltre spiega in modo soddisfacente le differenze che si osservano tra i pianeti del sistema solare in dimensioni e composizione, ed in particolare ci rende ragione del fatto che la Terra abbia una gravità suŒciente a trattenere un’atmosfera gassosa ma non l’Idrogeno. Siccome però nel corso della formazione dei pianeti grandi quantità di Idrogeno dovevano essere presenti in tutto il sistema solare, una parte di esso deve essere stata catturata e poi un po’ per volta riperduta dal campo gravitazionale della Terra (che doveva inizialmente possedere un’atmosfera molto ricca di Idrogeno). Questo punto è molto importante, come vedremo. Ma vi è qualche dato che appare indispensabile per la comprensione dei fenomeni che descriveremo.
L’età della crosta terrestre risulta essere, secondo le stime più recenti, di 4+5 miliardi di anni e la sua temperatura superficiale media negli ultimi 3 +4 miliardi di anni non deve essere sensibilmente variata.
Le principali sorgenti di energia alla superficie della Terra sono: la radiazione solare, il calore proveniente dal centro della Terra, la radioattività locale.
L’atmosfera gassosa primitiva attorno alla Terra doveva contenere una grande quantità di Idrogeno e di Elio nonché di Metano, Ammoniaca e vapor d’acqua, mentre l’Ossigeno era del tutto assente. Tale atmosfera era riducente e non ossidante come l’attuale.
Colpisce immediatamente il fatto che 1–120, NH3, CH4, contengono gli elementi fondamentali che compaiono nelle molecole caratteristiche degli organismi viventi. L’ipotesi di Urey, essere cioè l’atmosfera primitiva riducente e non ossidante, offre una semplice spiegazione chimica del fatto che, nelle presenti condizioni ambientali, non sia possibile sulla Terra il sorgere della vita dalla materia inorganica, mentre ciò deve essere stato possibile in un lontano passato. Il sorgere della vita dalla materia inorganica deve infatti necessariamente essere preceduto da uno stadio abiologico, in cui certe grosse molecole organiche si formano e col passare del tempo vanno accumulandosi. Ora, in un’atmosfera ossidante, queste grosse molecole, anche se potessero essere protette dall’immediata utilizzazione da parte di forme di vita già esistenti, verrebbero ben presto attaccate chimicamente e ossidate, con formazione di piccole molecole a forte energia di legame, come HO e CO.
Dobbiamo dunque concludere che, se la vita ha avuto origine sulla Terra dalla materia inorganica, ciò può soltanto essere avvenuto in un periodo in cui l’atmosfera era ancora l’atmosfera primordiale riducente, prima dunque che questa si trasformasse nell’attuale atmosfera ossidante.
Ma di quanto è vecchia la vita sulla Terra? La Paleontologia ci dice che le testimonianze dirette dell’esistenza di organismi viventi sulla superficie della Terra si esauriscono poco prima dell’inizio del Cambriano, e non vanno quindi al di là di circa 600 milioni di anni.
Risposte più esaurienti le troviamo nella Geologia e nella Paleochimica. I metodi di datazione con isotopi radioattivi offrono un conteggio del tempo estremamente preciso e sicuro. Questi ci hanno messo in grado, oggi, di situare in un quadro temporale ben definito tutti i principali eventi di interesse cosmico-evolutivo sulla Terra: essi ci hanno permesso di stabilire con precisione quanto tempo fa la Terra si è formata, a che età risalgono le principali formazioni rocciose o sedimentarie alla sua superficie, nonché l’età da attribuire alle varie specie estinte i cui resti fossili si ritrovano negli strati sedimentari.
La Geologia ci consente di affermare: che è realmente esistita un’atmosfera riducente, del tipo di quella ipotizzata da Urey, dall’epoca di formazione della Terra fino a circa 2 miliardi di anni or sono; che c’è stato un cambiamento della natura chimica dell’atmosfera terrestre da riducente ad ossidante, verificatosi nell’intervallo di tempo compreso grosso modo tra 2 miliardi e 1 miliardo e mezzo di anni or sono; che tale atmosfera ossidante si è mantenuta per l’ultimo miliardo e mezzo di anni.
Ora i più antichi fossili conosciuti sono vecchi di circa 3 miliardi di anni e ci consentono di affermare che in quell’epoca esistevano già forme di vita altrettanto complesse quanto lo sono i nostri batteri attuali; inoltre gli studi di Paleochimica, soprattutto ad opera di Calvin e della sua scuola, hanno permesso di accertare con buona probabilità la presenza di composti organici di sicura origine biologica vecchi di circa 3-7 miliardi di anni.
Possiamo pertanto ipotizzare che nella Terra di 4 miliardi di anni or sono si siano formate le prime molecole biologiche partendo da composti relativamente semplici come 1–120, NH3, CH4.
E per chiarire questo processo classica rimane l’esperienza di Miller. Egli sottopose a scariche elettriche una miscela di gas costituita da vapor d’acqua, NHg, CH4. He, H, simile dunque all’atmosfera primitiva ipoteticamente presente sulla Terra.
Esaminando i composti formatisi egli scoprì la presenza di urea, acido formico, acido cianidrico ed aminoacidi. È dunque scientificamente sostenibile che sulla Terra per effetto delle scariche elettriche dei temporali, della radioattività e dell’energia del sole si siano formati questi composti ed altri cui accenneremo in seguito. Ma queste sostanze sarebbero state rapidamente decomposte dai raggi ultravioletti ai quali oggi fa da schermo l’ozono presente nella stratosfera. Esse quindi devono essere state via via dilavate dalle precipitazioni atmosferiche e raccolte nell’oceano primitivo, al sicuro quindi dagli effetti distruttivi della radiazione ultravioletta. ln quella prima fase dell’evoluzione chimica l’oceano primitivo deve avere assolto una duplice funzione: da un lato deve essere stato il luogo di raccolta delle molecole non gassose via via formate e dall’altro deve aver realizzato le condizioni sufficienti affinché queste molecole potessero reagire chimicamente fra di loro a formare molecole più complesse, cioè le quattro grandi classi fondamentali di biomolecole: proteine, acidi nucleici, polisaccaridi, lipidi.
Chiariamo subito che tra il primo aminoacido ed il primo batterio c’è un lungo periodo di mezzo miliardo di anni o forse anche di più. ln mezzo c’è un tunnel in cui non sappiamo bene cosa sia successo. Ci sono ipotesi, c’è qualche buon esperimento e qualche buona osservazione, manca purtroppo ancora la catena degli avvenlrnenti. Ma proseguiamo.
Il problema della costruzione delle macromolecole presenta due aspetti: da un lato la selezione e l’ordinamento dei singoli costituenti, dall’altro l’effettivo montaggio; quest’ultimo consiste sempre in reazioni di condensazione e disidratazione che richiedono, di solito, una sorgente esterna di energia libera.
Per spiegare come possa aver proceduto tale montaggio nell’oceano primitivo si possono fare due ipotesi: che come sorgente di energia libera abbia funzionato qualcuna di quelle che abbiamo già considerato a proposito dei processi di eccitazione dell’atmosfera primitiva, o che invece la sintesi delle macromolecole abbia avuto luogo nel corso di un processo complicato, comportante anche la degradazione di altre molecole con perdita di energia libera molto elevata, tale da compensate largamente l’aumento di energia libera che tale sintesi comporta.
Quali e quanti siano stati i prodotti intermedi di questa serie certamente grande di reazioni chimiche svoltesi nell’oceano primitivo che, partendo da composti molto semplici, portò alla sintesi delle quattro classi fondamentali di biomolecole non è dato a tutt’oggi di sapere.
Purtuttavia alcune esperienze di laboratorio suggeriscono quella che può essere stata la via di sintesi degli aminoacidi e dell’HCN. L’aver sempre ritrovato l’HCN tra i prodotti di reazioni intervenute su modelli di atmosfera primitiva è di importanza enorme. Si pensa oggi che l’HCN sia intervenuto come sorgente di energia libera nel montaggio delle biomolecole primitive così come l’adenosintritosfato (ATP) è fonte di energia per gli organismi odierni e che sia stato il punto di partenza per la formazione di alcuni gruppi di composti come gli aminoacidi, le basi puriniche (mentre le basi pirimidiniche sembra si siano originate altrimenti da precursori che pure si producono nell’esperienza di Miller) e le porfirine.
L’analisi dei singoli passi, che dovrebbero essersi succeduti nel tempo, dovrebbe naturalmente essere seguita da una completa ricostruzione dell’intero processo. Non si è ancora in grado di fare una tale ricostruzione in modo completo e del tutto soddisfacente. Possiamo però già ora tentare di delineare alcune delle linee fondamentali del quadro.
Partiamo da un’atmosfera terrestre riducente, sulla quale agiscono diverse sorgenti esterne di energia libera. In conseguenza di queste azioni, dal suo stato fondamentale di equilibrio chimico e termodinamico tale atmosfera viene portata e mantenuta in uno stato variamente eccitato, in cui si ha continua formazione di molecole che immagazzinano in forma chimica parte dell’energia libera esterna e che tendono nel loro complesso, attraverso reazioni più o meno lente, a ritrasformarsi nelle forme iniziali, corrispondenti all’equilibrio termodinamico, dissipando via via l’energia libera acquisita.
Queste molecole non rimangono tuttavia nell’atmosfera, ma vengono dilavate costantemente, man mano che si formano, dalle precipitazioni atmosferiche e trasportate nell’oceano primitivo, dove esse reagiscono tra loro e dove si vanno accumulando, col passare del tempo, certe forme molecolari metastabili. ln questo oceano primitivo avvengono dei processi costruttivi « in salita » avvengono cioè reazioni chimiche che, come è già stato accennato, necessitano dell’apporto di energia dall’esterno.
L’intervento di catalizzatori prima inorganici generici (probabilmente joni metallici presenti in soluzione), poi via via più specifici, costituiti da molecole organiche formatesi anch’esse nel brodo primitivo, deve aver accelerato enormemente il processo di montaggio, eliminando o riducendo in modo drastico l’ostacolo costituito dalle energie di attivazione. Tuttavia può essere che l’evento decisivo sia stato non tanto la comparsa dei catalizzatori, la cui efficacia trova comunque un limite insuperabile nella diluizione della soluzione, quanto la sintesi dei fosfolipidi.
Queste molecole, di forma allungata, e con un polo idrofilo e l’altro idrofobo, sono chimicamente esteri di acidi grassi con la glicerina nei quali la terza catena di acido grasso è sostituita da un gruppo fosforico cui si può unire una qualsiasi base. I fosfolipidi tendono a formare spontaneamente nell’acqua micelle e doppi strati con i poli idrofili sulla pagina esterna. Tali micelle possono essersi aggregate tra loro formando strutture lamellari.
Sono così comparse le membrane, altro passo fondamentale dell’evoluzione, dapprima incomplete ed in un secondo momento complete. Si può pensare altresì che all’interno di queste protocellule (così vengono chiamate queste prime individualità, queste unità separate dal mondo circostante) abbia in qualche modo avuto inizio quel processo di accoppiamento tra acidi nucleici e proteine, attraverso la realizzazione di cicli di catalisi mutua favoriti dalla contiguità spaziale di certi tipi di molecole e dall’azione selettiva della membrana, per ciò che concerne l’accesso di altre molecole dall’esterno e la dispersione nel mezzo di prodotti ormai degradati dalle reazioni interne.
Pertanto dal momento in cui i processi di sintesi chimica si sono trasferiti dall’oceano aperto a compartimenti chiusi, limitati da membrane a permeabilità selettiva, il processo evolutivo cambia carattere: si può ritenere concluso il periodo dell’evoluzione chimica e si inizia quello tuttora perdurante dell’evoluzione biologica. È altresì comprensibile come, in conseguenza del trasferirsi dei processi costruttivi all’interno delle protocellule, la direzione dell’evoluzione risulti caratterizzata dal progressivo accorciamento del periodo riproduttivo, la principale « forza motrice » della evoluzione darwiniana. Ma questa accelerazione non si sarebbe potuta manifestare se il fattore limitante avesse continuato ad essere il flusso di materiali provenienti dall’atmosfera. Le protocellule erano infatti in grado di utilizzare l’energia della luce solare solo indirettamente, attraverso le molecole ricche di energia prodotta nell’atmosfera e dilavate poi dalle precipitazioni atmosferiche nell’oceano. Tra le sostanze che si erano andate formando nell’oceano primitivo ve ne erano alcune appartenenti alla classe delle porfirine; e di ciò abbiamo anche la conferma sperimentale in laboratorio. Si spiega quindi come si sia verificato il primo grande passo in avanti.
Alcune protocellule, inglobanti particolari pigmenti, hanno cominciato ad assorbire direttamente la luce solare filtrante attraverso le acque protettive dell’oceano e hanno sviluppato sistemi capaci di trasformare parte di quell’energia in energia chimica. Questo passo fondamentale le ha rese indipendenti dal flusso di materiali ad alta energia dall’atmosfera e ha rappresentato per le nuove celIule fototrofe un enorme vantaggio evolutivo sulle cellule primitive eterotrofe, vantaggio consistente nell’avere ormai a disposizione
una sorgente di energia libera ubiquitaria, molto più abbondante di quella chimica primitiva dispersa nell’oceano.
I nuovi organismi fototrofi forti di questo vantaggio debbono allora essersi rapidamente sostituiti ai primitivi eterotrofi e sfruttando l’energia a loro disposizione devono essere divenuti rapidamente autotrofi, rendendosi così indipendenti dai processi primitivi dell’atmosfera. È comparso così in embrione quel processo che va sotto il nome di fotosintesi clorofilliana.
La comparsa degli organismi autotrofi modifica profondamente l’atmosfera primitiva. In essa cominciano a trovare un gas che prima non c’era o era presente solo in tracce: l’ossigeno. Il rapido moltiplicarsi di tali organismi autotrofi deve aver aumentato a dismisura il ritmo di produzione dell’ossigeno libero, che dall’oceano deve aver incominciato a passare nell’atmosfera con conseguente ossidazione del CH4 a C02 e dell’NH3 a N.
Quando l’ossigeno libero raggiunge una concentrazione dell’ordine di qualche percento di quella attuale, lo strato protettivo di ozono è ormai tale da impedire alla maggior parte dell’ultravioletto solare di raggiungere il suolo e la superficie dell’oceano, mentre la C02 si va disciogliendo nell’acqua, dove viene sempre più utilizzata come fonte di C al posto dei composti primitivi.
La presenza di forti quantità di ossigeno ha aperto la strada al metabolismo ossidativo. Ma questo non ci interessa: per noi che abbiamo cercato di guardare nell’oscurità e nelle profondità del tempo, questa è storia di ieri — quasi cronaca.
Abbiamo così esaurito l’esame, dal punto di vista della possibilità di una evoluzione chimica spontanea che si concluda con l’apparizione dei primi organismi viventi nell’oceano primitivo, dei vari livelli costruttivi e organizzativi attraverso cui tale evoluzione deve presumibilmente passare.
Ma molti passaggi non sono ancora chiariti, molte reazioni sono solo ipotizzate teoricamente, grosse lacune persistono: il quadro generale, di cui abbiamo cercato di tracciare per sommi capi le linee fondamentali è per buona parte soltanto indiziario.
In conclusione, il problema dell’origine della vita non è ancora stato risolto in modo soddisfacente; ad esempio non abbiamo ancora un’idea precisa per ciò che riguarda il modo in cui si è per la prima volta avviato il ciclo operativo acidi nucleici-proteine. Tuttavia questo enorme e complicatissimo problema, se affrontato nel quadro di una concezione evolutiva del mondo in cui viviamo, si dispiega in una lunga serie di passi successivi ed ogni passaggio, dal più semplice al più complicato, può spiegarsi come risultato delle forze chimico-fisiche ed è possibile intravvedere un processo evolutivo dalla materia inanimata fino ai più complessi organismi viventi. Certo ogni passaggio pone dei problemi, ma sono problemi che 1a scienza si sente di affrontare e, a più o meno lunga scadenza, di risolvere.
Di una cosa però siamo ormai certi: la differenza fra materia vivente e non vivente, tra vita e non vita, è semplicemente una differenza di struttura. Il nostro corpo è costituito esattamente dagli stessi atomi che si trovano nella materia inanimata; la differenza consiste nella diversa disposizione degli atomi, nel loro diverso montaggio.
E qui ci fermiamo con un’ultima considerazione: non ci viene forse dalla scienza una lezione di umiltà?
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