I COSTRUTTORI

I COSTRUTTORI di Giovanni Piccolis

Allora Salomone disse: «l’ Eterno ha dichiarato che avrebbe abitato nell’oscurità. Io ho terminato di costruire una casa che sarà Tua residenza, Dio, una dimora dove Tu abiterai eternamente».

Salomone è un re saggio, dotto nelle scienze occulte, Egli può leggere le lettere delle Sacre Scritture, è un esperto del linguaggio esotericokabalistico ed ha così la chiave per leggere le Tavole di Mosè; Egli possiede anche il Bastone-misura di Aronne.

Le chiavi dell’Alchimia e dell’Architettura sacra sono in suo possesso, Egli fa il progetto della costruzione del Tempio. Ma le misure gli vengono trasmesse da un documento il cui contenuto doveva riguardare la conclusione dell’alleanza stabilita da Dio con Israele sul Sinai, con l’intermediazione di Mosè. Il re Salomone conosceva le proporzioni cosmiche e quelle dell’unità di misura, ma per costruirlo dovette rivolgersi, non avendone a disposizione, ad un popolo di Costruttori, Ed Hiram-Abi, il Fenicio, in possesso delle chiavi della «antica misura», costruì il Tempio.

Con la collaborazione della magia manuale che Hiram-Abi aveva ricevuto dai costruttori dei Templi egiziani, non è impossibile che al di sotto del Tempio di Gerusalemme il re Salomone abbia fatto costruire, di nascosto, qualcosa che forse è stata la causa dell’assassinio di Hiram-Abi: un locale difficilmente accessibile e totalmente nascosto ove collocare l’ Arca con il suo contenuto.

Quindi per i Templari, monaci e cavalieri, si trattava della custodia della Terrasanta, ma principalmente della ricerca del Santo Graal. Ma quale era anche lo scopo che questi Cavalieri, custodi dei segreti del Tempio di Salomone, perseguivano?

Era quello di costruire un Luogo terreno, un Regnum, a somiglianza di quello Celeste, che avesse sostituito l’attuale stagnante feudalesimo degli Stati. Un Regnum per il quale era necessario incrementare le attività sociali, promuovere la conoscenza di valori sconosciuti alla società del tempo.

Per realizzare questa «Grande Opera l’Ordine si trasferisce in Occidente con tutte le sue ricchezze ed i suoi beni lasciando in Oriente

una piccola parte della sua Milizia; Gerusalemme assume, fino a quando la storia glielo permette, l’aspetto di una sede simbolica, La disciplina dell’Ordine militare e monastico al quale appartenevano i Templari, anche se innestata nel tronco della tradizione occidentale, non fa loro dimenticare l’organizzazione e l’importanza dell’edificio del Tempio: l ‘ Edificio sacro a Re Salomone. L’organizzazione, la divisione degli operai effettuata dal costruttore Hiram-Abi di Tiro in apprendisti, compagni Maestri, non fa dimenticare loro che l’uomo vale per ciò che è capace di fare. Da operaio ad artista, da artista a maestro tutto ciò comporta una elevazione spirituale dell’uomo verso il suo Risveglio interiore.

Il lavoro materiale, grazie all’accordo che poco a poco si stabilisce tra la materia e l’operaio, può portare a questo risveglio. L’operaio passa allora, insensibilmente, allo stato di artista, poiché ha acquistato quella magia manuale, il cui rituale è stato trasmesso tra gli operai di padre in figlio o da maestro ad apprendista, fin dalle epoche più remote, e che l’Ordine benedettino tanto si era preoccupato di coltivare. Ne consegue che l’opera può provocare nell’uomo il risveglio spirituale e più specialmente l’opera architettonica, nella quale l’uomo può spaziare.

Ecco la ragione per cui in tutte le civiltà una posizione particolare è stata riservata ai costruttori religiosi, il cui apprendistato ha sempre richiesto una forma d’iniziazione.

Si tratta di un aspetto che nessuna opera d’incivilimento può trascurare, senza essere incompleta, ed è questo il motivo per cui documenti e tradizioni ci mostrano i Templari così intimamente legati ai costruttori di Cattedrali.

Ottenuto questo risveglio l’uomo viene in possesso della «Chiave». Quella chiave che permetterà di aprire le Porte del Tempio.

E passando attraverso le due colonne, virtualmente trasportate in occidente, i Templari, sotto la guida dei Cistercensi, possessori di una conoscenza rigorosamente celata riguardante la scienza dei costruttori delle piramidi e l’esoterismo orientale, preparano all’uso della squadra e del compasso quei maestri muratori che in seguito eleveranno verso il cielo quegli esemplari di architettura ogivale che prenderà il none di  gotico.

Dal punto di vista architettonico, tra il Romanico e il Gotico, esiste la medesima differenza che c’è tra la statica e la dinamica, il che si traduce in un’inversione delle forze e dei pesi.

La differenza fondamentale tra i due stili riguarda essenzialmente la forma della volta. Le differenze tra le strutture dei muri, delle finestre ecc., derivano da questa differenza fondamentale e non ne sono la causa.

Tra i due stili un rovesciamento dei principi. La volta romanica è una copertura che pesa sui muri. Di conseguenza, l’elemento principale è il muro, che è reso compatto e spesso, per preoccupazione di sicurezza.


La volta gotica invece è un insieme di spinte della pietra, concepito in modo che la copertura non pesi più sui muri, ma sia «proiettata» verso l’alto. I muri hanno, ormai, solo una relativa importanza e si svuotano, trasformandosi in immense vetrate dalle quali cade una rugiada vivificante e purificatrice. In uno scintillio di colori, rubino, topazio e smeraldo, «quest’acqua che non bagna», quest’acqua celeste, si diffonde trasportando i lontani bagliori del Tempio di Gerusalemme. Nella penombra delle Arcate dei Templi d’Occidente l’anima dei credenti si predispone alla penetrazione di un mistero profondo. Non può esistere una transizione tra il Romanico e il Gotico.

Una volta gotica su muri romanici li squarcerebbe, a meno che lo spessore del pietrame non fosse enorme. Una volta romanica, serrata tra due archi rampanti, si piegherebbe e si spezzerebbe a partire dall’alto. Il Gotico è un sistema completamente nuovo — di esso non si riscontra alcuna traccia anteriore —, in cui la volta, sostenuta da due archi rampanti, si fenderebbe sotto la loro spinta, se non fosse stabilizzata dalla chiave di volta. Il peso stesso degli archi rampanti crea la spinta laterale. Il peso stesso delle pietre della volta crea la spinta verticale, dal basso in alto, della chiave di volta. E quindi il peso stesso delle pietre a lanciare verso l’alto la volta.

Il peso ha la propria negazione in se stesso. Si tratta quasi di un fenomeno di lievitazione.

La crociera delle ogive che è l’elemento tipico del Gotico, costituisce un insieme di nodi di tensione, che sono puntellati dagli archi rampanti, appoggiati ai loro contrafforti e bloccati dal peso dei loro pinnacoli, sovente rappresentato con un’immagine barbuta con ali e corpo femmineo scolpita nella pietra. Il Bafonetto dei Templari, che di lì a poco, doveva rappresentare per l’inquisizione l’idolo demoniaco adorato dai cavalieri nelle segrete cerimonie del Tempio.

Si può immaginare quando le volte sono a diverse decine di metri dal suolo — come in tutte le grandi cattedrali — quale somma di conoscenze fosse richiesta al maestro architetto.

Le dimensioni di Chartres presuppongono una conoscenza esattissima del globo terrestre e delle sue dimensioni — giungendo alla conclusione, in mancanza di altre possibili, che i costruttori ed, ancor più, gli ideatori dovessero essere in possesso di un documento scientifico di qualità eccezionale e che questo non potesse logicamente essere che le Tavole della Legge, riportate dai primi nove cavalieri del Tempio.


E certamente straordinario che sia stato possibile trovare tra la popolazione francese, allora assai ridotta, un numero di maestri muratori, di scalpellini, di falegnami, di vetrai, sufficiente ad intraprendere la costruzione di quell’enorme numero di chiese laiche, per tali intendendo le chiese destinate al pubblico che fu costruito in quel periodo.

La formazione di costoro fu sicuramente dovuta ai benedettini ed ai cistercensi, ma bisogna tener presente che dal 1140 al 1277 si ebbe l’apertura di ben 25 cantieri per la costruzione di Cattedrali.

E questo, solo per limitarci ai principali cantieri.

Quanti maestri muratori! Quanti scalpellini! Quanti falegnami!

E bisognava pagarli!

E allora chi pagava? Chi pagava non solo gli operai, ma i cavatori di pietre, gli addetti ai trasporti, i manovali, i sorveglianti, i terrazzieri, gli acquaioli, coloro che tiravano le corde, ed infine, gli scultori, i vetrai ed i carbonai?

Il popolo certamente. Ma esso era povero ed anche se donava in continuazione non poteva farlo che lentamente.

II re, i feudatari, i vescovi, i canonici — le cui offerte sono state accuratamente annotate e, perciò, sono note — non facevano che doni irrilevanti — un altare, una vetrata, un’immagine…

I Comuni? Non vi erano, allora, che dei piccoli borghi salvo Parigi, del tutto incapaci di affrontare, con la rapidità dovuta, simili spese. Doveva esservi un «finanziatore». Tra i finanziatori, l’unico così ricco da «anticipare» tanto denaro era il Tempio.

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